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IL RICORDO / Francesco Gagliardi: In morte dell'on. Giacomo Mancini, quante lacrime di coccodrillo

IL RICORDO / Francesco Gagliardi: In morte dell’on. Giacomo Mancini, quante lacrime di coccodrillo

di FRANCESCO GAGLIARDIParce sepulto, frase dell’Eneide di Virgilio. Significa abbi rispetto per il sepolto, abbi rispetto per chi non è più in vita, per chi è morto. Quindi non si deve continuare a parlare male di lui, ad odiarlo, a disprezzarlo, a calunniarlo.

È morto. Non c’è più. Non può più difendersi. Ma io oggi, dopo aver letto due articoli dell’amico Paletta e del Direttore Pellegrini sull’on. Mancini, leader del Partito Socialista Italiano e Sindaco della città di Cosenza, morto 20 anni fa nella sua città che amava tanto, vorrei scrivere qualcosa con gli occhi ancora pieni di lacrime vere e sincere e con un cuore che fa a bizze gonfio di dolore immenso, per la commemorazione della sua morte, non di un amico, ma di un uomo che ha dato lustro a Cosenza, alla Calabria e all’Italia intera. Non ho avuto la fortuna e il privilegio di stare vicino a lui o di lavorare con lui come il Direttore Pellegrino, tuttavia abbiamo militato insieme nel glorioso Partito Socialista Italiano.

Io l’ho conosciuto attraverso la televisione, i resoconti giornalistici, la lettura di Parola Socialista, del settimanale Candido e di Cuore, i vari comizi alla Villa Vecchia e a Viale Trieste, le assemblee di partito, i congressi provinciali. Non è mai venuto nel mio paese di origine, San Pietro in Amantea, neppure quando io ricoprivo la carica di vicesindaco. Ricordo, come se fosse ieri, il giorno dei suoi funerali. Tutti piangevano, perché non solo avevamo perso un leader, anche se vecchio ed acciaccato, ma un eroe di altri tempi, un meridionalista convinto, un difensore della legalità e della democrazia, un grande della politica italiana e calabrese in particolare. In Calabria, dopo di lui, il vuoto.

Ho dovuto assistere durante i suoi funerali a scene che non avrei mai voluto partecipare. Quante lacrime di coccodrillo sono state versate, quante facce contrite, quanti elogi infarciti di retorica e fuori luogo ho dovuto leggere sui giornali. Anche questo ho dovuto sopportare. E quanti avvoltoi in Piazza ostentavano il garofano rosso nell’occhiello della giacca. Sono passati venti anni dalla sua morte e ancora oggi, purtroppo, sono costretto a leggere cose che non avrei mai più voluto leggere. Io questa sera al Rendano non ci sarò causa indisposizione perché sono vecchio ed acciaccato quando Claudio Martelli, ex ragazzo prodigio del P.S.I. commemorerà l’on. Mancini. Vorrei osservare uno per uno i presenti all’incontro. Ma dove erano costoro quando a Reggio Calabria durante la rivolta del “Boia chi molla” la sua effige veniva bruciata in piazza.? Dove erano costoro quando un giornale per mesi e mesi lo accusava  di essere un ladro, scriveva si scrive leader ma si legge ladro ( C’è una prima pagina del giornale Candido nell’articolo scritto da Paletta).

Era una campagna giornalistica montata ad arte per screditare l’uomo politico che si batteva per portare in Calabria qualche fabbrica, per portare fino a Reggio l’Autostrada del Sole, per avere anche in Calabria un aeroporto ed una Università, per evitare il sacco della Valle dei Templi in Agrigento, per dotare gli ambulatori comunali degli ottomila comuni italiani di un frigorifero per conservare il vaccino contro la poliomielite. Ricordo le invettive, i sarcasmi, le ingiurie, i pettegolezzi, le calunnie. E i giornali ogni giorno inventavano nuovi scandali. Erano cose tutte inventate.

I giornali di allora lo facevano per screditarlo perché aveva rifiutato l’abbraccio mortale con certi personaggi e che non voleva nulla a che fare con quella sinistra giacobina, forcaiola e stalinista. Per i compagni comunisti era “Un Califfo”. E dove erano costoro quando nel 1966 venne condannato dal Tribunale di Palmi per “Concorso esterno in associazione mafiosa”? Calunniato, oltraggiato, offeso, vilipeso, umiliato, sospeso dalla carica di Sindaco della Città. Poi, però, venne assolto. Ora che non c’è più mi vengono alla mente le parole che pronunciò nel lontano 1974:- Quando si muovono i falliti, le mezze calzette, i cani t’azzannano-. Gli amici di un tempo lo avevano abbandonato, i giornali lo avevano già condannato.

È stato un gioco al massacro, lui indomito socialista, costretto a subire l’onta del disprezzo, dell’odio, dell’isolamento. Quante battaglie ha dovuto combattere e quanti nemici, anche nel suo stesso partito, ha dovuto affrontare. Voglio augurarmi che Claudio Martelli ricorderà tutte queste cose che ho cercato di ricordare. E ricorderà sicuramente quel buffetto sulla guancia destra che ha ricevuto da Mancini dopo essere intervenuto ad un Congresso Socialista quando il nostro leader ricopriva la carica di Segretario Nazionale del PSI. Martin Luther King e il Profeta Isaia  avevano un  grande sogno: I figli dei neri andare insieme ai figli dei bianchi, il lupo pascolerà un giorno insieme all’agnello. Anche l’on. Mancini aveva un sogno: lasciare il posto di Sindaco in eredità ad una donna che lui stimava tanto. Il sogno si è avverato.

Purtroppo, la signora Catizone dopo alcuni anni è stata disarcionata. Dopo la morte del grande leone socialista, però, le vecchie calzette, i vecchi tromboni, i vecchi sciacalli si sono svegliati dal lungo letargo e i danni che stanno combinando sono sotto gli occhi di tutti. A distanza di lunghi 20 anni si parla ancora di lui. L’On. Martelli lo commemorerà stasera al Rendano, Leporace ha scritto un libro che uscirà fra breve, il Dott. Pellegrini e il Dott. Paletta hanno scritto due interessantissimi articoli sulla sua vita. Avrebbe, forse, voluto intervenire anche lui, lui che in vita è stato un fiume in piena.  

Non ascolterà, però, quello che diranno. Non leggerà gli articoli. Quella tomba nel cimitero di Cosenza coperta da tanti garofani rossi non sarà scossa dall’eco dei discorsi che il vento porterà dalla Villa Vecchia. Murata nel cemento non ascolterà le parole di qualcuno che lo ha fatto tanto soffrire e poi morire. (fg)

In copertina, foto di Giacomo Mancini Jr