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Terremoto 1873

Il “tremore” del 1783, un sisma che cambiò la Calabria da Reggio a Mileto

Mercoledì, 5 Febbraio 1783. Ore 13:00, circa. 

Un movimento inatteso, improvviso e brusco del sottosuolo, smuove la terra dalle sue più profonde viscere. Vengono rasi al suolo interi villaggi. Da Reggio Calabria a Mileto, capitale Normanna, fino a Briatico.

È il tremolizio della Calabria Ulteriore. Per i poveri cristi appesi alla zappa è la fine. Urla, pianti, grida. Morti a numeri pari da non raggiungere mai i dispari. Disperazione. Perdizione e follia.

Tutto quel che un attimo prima c’era, un attimo dopo non c’era già più. Una perdita di aveva colpa la terra, che fomentata dalle sue più vili profondità aveva sconquassato tutto ciò che gli uomini avevano costruito sopra di essa. La loro vita compresa. 

I movimenti tellurici avevano da sempre spaventato la Calabria. Avevano sempre segnato una fine e un nuovo principio. E la Calabria mancava, per questo, di segni concreti di continuità nella sua storia. 

Anche Briatico, piccolo villaggio della Calabria Ultra, sotto la giurisdizione dei Pignatelli, duca di Monteleone, venne rasa al suolo, perdendo circa 90 dei suoi già pochi abitanti. Un tragico epilogo che segna per sempre la vita di questa comunità. Molti, raccontava lo studioso, Padre Scalabriniano, Maffeo Pretto, colti dalla disperazione, impazzirono. Tutto presagiva la fine. Mancavano le forze, ma anche i mezzi per ripartire. La capacità di ricominciare. Poveri già si era, e più poveri si diventava. Ma non poteva finire davvero tutto così. Per un colpo di coda della terra. 

Dunque, se nella storia della Calabria si è alla ricerca di un preciso riferimento temporale da indicare come inizio dell’era della ‘resilienza’ di questa terra, si consideri pure il 5 febbraio del 1783.

Se cè una certezza che accompagna il mondo, è che la vita è sempre davanti agli uomini. Anche nello sconforto e nel disfacimento.  

Nel piccolo villaggio di Briatico, che sorgeva maestoso, con il suo medievale castello, sopra un monte di pietra dolce, tra i fiumi Murria e Spataro, tornava a sorgere il sole la notte stessa in cui tutto appariva perduto. 

Tra i resti della chiesa del Franco, la statua lignea della Madonna Immacolata, detta Maria del Franco, o del ginocchio per la postura datagli dall’artista, veniva ritrovata integra. Neppure un graffio l’aveva scalfita. 

Un segno. Una speranza. Un prodigio del cielo che indicava che bisognava crederci ancora. Che si doveva e si poteva ancora sperare. E sia, si dissero i superstiti.

Il 4 aprile del 1783, la comunità proveniente dalla vecchia Euriatikon, incominciava la sua seconda vita. Dal sopra il monte, ove la città era stata distrutta, ci si spostò al cuore della sua marina. Ai piedi della torre saracena, ancora oggi vigile e viva, veniva siglato un nuovo principio. E da contadini ci si ritrova anche pescatori. 

Grazie alla Madonna e anche al duca Ettore Maria Pignatelli, che per bontà d’animo e grazia di Dio, sulle sue vigne, ai sopravvissuti concedeva, benevolmente, di costruire le prime nuove baracche. Così che da terremotati si ritornava ‘uomini’ (gsc)