di FRANCESCO RAO – La Calabria e tantissimi calabresi, hanno lentamente intrapreso l’arduo cammino del riscatto sociale per il quale, la narrazione ha un ruolo determinante per meglio raggiungere l’obiettivo prefissato per mettere da parte quel passato e quei modelli di vita, in parte poco edificanti, annoverabili tra le cause determinanti che nell’arco degli anni hanno “costretto” sei milioni di calabresi a scegliere di realizzare la loro vita lontano dalla loro terra, partendo con la speranza di poter un giorno ritornare ma impossibilitati nel poter realizzare quel sogno a causa di un lentissimo processo di cambiamento che spesso, mi è parso di poter associare più ad una dinamica riconducibile al Medioevo che alla nostra Post modernità.
Quel tipo di sistema che vorrei sperare fosse ormai posto alle nostre spalle, ha determinato anche un fortissimo senso di sfiducia tanto nei Calabresi quanto nei potenziali investitori, puntualmente scoraggiati da statistiche per le quali questa terra non poteva garantire quella solvibilità economica e sociale indispensabile per poter avviare processi di investimento capaci di generare sviluppo.
Purtroppo, devo prendere atto pubblicamente, a seguito delle numerose incompiute di Stato, che il primo esempio negativo, in termini di propensione allo sviluppo, è riconducibile a quell’insieme di investimenti pubblici rivelatesi tanto nella misura quanto nella direzione utili più a demoralizzare le persone facendoli sentire impotenti al cospetto delle faraoniche opere poco utili a suscitare processi di sviluppo. Per fare qualche esempio vorrei citare la Liquichimica di Saline Joniche, figlia del pacchetto Colombo, costata ai contribuenti 300 miliardi del vecchio conio e rivelatasi poi un duplice fallimento, in prima istanza per la violenza ambientale praticata sui 700.000 metri quadrati di territorio che ha letteralmente aggredito la realtà eco-ambientale preesistente per poi costringere lo Stato ad accollarsi anche la cassa integrazione di quanti, dopo aver lavorato meno di una settimana, hanno maturato la contribuzione pensionistica rimanendo a casa; anche per il Quinto centro siderurgico di Gioia Tauro ci sarebbe molto da dire.
Varato sempre dal Governo Colombo quale misura compensativa a seguito della scelta di Catanzaro quale capoluogo della Regione, motivo per il quale si è giunti all’insurrezione popolare del 1970 registrata proprio a Reggio Calabria e da noi tutti conosciuta come “Moti di Reggio”, circostanza che costrinse il governo a inviare i carri armati per “liberare” la Città dai manifestanti, la realizzazione dell’opera ha comportato la cancellazione di Eranova, con l’abbattimento dell’intero centro urbano e la profonda ferita arrecata agli abitanti, costretti a vedere frantumate dalle ruspe la loro casa per poi sotterrare con le macerie la loro cultura ed i sacrifici di una vita.
La lista delle incompiute si estende a ospedali, Rosarno e Gerace, al Palazzo di Giustizia di Reggio Calabria, alla Diga sul fiume Metramo per poi passare alla Bovalino-Bagnara e alla Pedemontana della Piana di Gioia Tauro. Opere pubbliche importantissime che se fossero state ultimate per tempo, avrebbero sicuramente rallentato o, addirittura impedito, l’inarrestabile processo di spoliazione demografica registrato nelle aree interne offrendo opportunità di sviluppo. A prova di ciò, vi è la dimostrazione occupazionale registrata grazie al Porto di Gioia Tauro.
Fortunatamente, in questo ultimo periodo, si registrano importantissimi segnali di ripresa. Agli occhi di chi non vuole vedere, questi recenti segnali, saranno inutili quisquilie; quanti invece hanno a cuore le sorti della Calabria, intravedono già importanti energie da canalizzare in un percorso che dovrà essere condiviso e al contempo virtuoso. Naturalmente c’è ancora tantissimo lavoro da svolgere e, al momento, tale risultato può rappresentare l’inizio di una inversione di marcia strutturale per la Calabria e anche per i calabresi.
Quindi, oltre alle gambe forti, serviranno menti aperte e lungimiranti per affrontare con determinazione quella pletora di cortigiani, convinti di potersi garantire potere e dominio a tempo indeterminato ignorando lo stato di diritto, la propensione dei tantissimi calabresi intenzionati a liberarsi dall’oppressione e dell’ignoranza attraverso un sapere appreso grazie al ruolo svolto dal mondo della Scuola e alla diffusione delle notizie dalla televisione. In merito alla qualità dell’informazione, ci terrei a puntualizzare la pericolosità crescente delle “false notizie”, spesso costruite ad arte per alimentare proprio quella reputazione negativa utile a mantenere l’habitat dei mediocri.
Anche questo è un obiettivo da raggiungere per restituire dignità alle persone ed ai territori, pretendendo sempre la narrazione del vero come esigenza di vita. Purtroppo, per vendere qualche copia di giornale in più o per aumentare l’audience televisiva o mediatica, ci sono ancora lanzichenecchi pronti a mettere sotto i piedi quell’etica utilizzata dai grandi giornalisti e indispensabile per informare in modo neutrale i Cittadini, senza aggiungere alla notizia giudizi o pregiudizi, nascenti da faziosità partitica oppure con l’intento di poter guadagnare sul campo un ruolo più prestigioso nella tripartizione del potere locale, auspicando infine di poter esportare su reti nazionali realtà illogiche e, in parte, irreali per trarne benefici personali.
La buona cultura è in crescita e le congiure di Corte, particolarmente evidenziate in un certo mondo della politica, sono in via d’estinzione. La strategia della tensione e la delegittimazione pubblica, da sempre hanno rappresentato quel modello d’azione utile a contenere le rivolte, eliminare dalla scena gli oppositori e far passare la punizione all’occhio del Popolo come l’unica medicina sociale somministrata per restituire alla collettività la calma perché mancava la capacità, ieri come oggi, per affrontare e risolvere quelle disuguaglianze sociali poste alla base di un diffuso malessere.
Lo stato di diritto, per fortuna, non vive su tale paradigma. La generalità e l’astrattezza delle norme punisce ogni abuso finalizzato a rendere il potere mezzo prediletto per generare crisi, povertà, isolamento sociale e ingiustizia. Su queste basi, grazie alla diffusione di una cultura positiva, la permeabilità di quella “malavita”, per moltissimo tempo impegnata ad attanagliare la crescita, lo sviluppo e l’affermazione dei diritti, facendoli passare di volta in volta come favori utili a divenire moneta di scambio da utilizzare per alimentare quella “servitù” elettorale praticata a favore di politici mediocri, non trova più ampi consensi.
A fronte di questa riflessione, i segnali positivi che dimostrano una certa controtendenza rispetto al passato, vorrei condensarli nella recente risposta resa a Bruno Vespa nel corso della trasmissione “Porta a Porta” dallo scienziato austriaco Georg Gottlob, oggi docente presso l’Università Calabrese, il quale ha spiegato brevemente i motivi del trasferimento accademico da Oxford all’Unical affermando: «lascio Oxford per la Calabria perché penso che è un luogo ideale per lavorare con l’Intelligenza Artificiale, ci sono le due colonne, quella simbolica che è la rappresentazione della conoscenza e sub simbolica che sono le reti neurali».
«L’Università della Calabria ha lavorato per tanti anni su questo e ciò mi attira molto».
Il nostro compito, oltre a proseguire l’opera di sensibilizzazione verso le bellezze della nostra terra, dovrà essere anche quello di stigmatizzare quegli eccessi di potere, praticati per impedire lo sviluppo e il progresso di una Regione che per peculiarità naturali ancora non ha potuto esprimere tutte le sue potenzialità.
[Francesco Rao sociologo e docente a contratto presso l’Università “Tor Vergata” – Roma]