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Giusy Staropoli Calafati

La lettera della scrittrice Giusy Staropoli Calafati: «Caro Augias sono io la Calabria»

Una vigorosa lettera aperta della scrittrice calabrese Giusy Staropoli Calafati in risposta agli insulti di Corrado Augias:

Caro Corrado Augias,
sono la Calabria, quella tanto discussa terra all’insud che non ha pace.
Dopo il suo ultimo squallido e vile delirio, ho deciso di voler replicare. Perché, mi creda signore, ho ancora una dignità anch’io.
I giudizi a iosa, che da tempo ormai vengono gratuitamente dati sulla mia pelle matura, da chi meramente mi conosce appena, e si concede (aggratis o dietro compenso poco importa), senza un minimo di ritegno, alle orge televisive e inconcludenti (di questa o quella emittente chi se ne frega), senza un minimo di precisa analisi, soffermandosi esclusivamente sulla conformità esteriore del mio corpo, non conoscendo neppure l’ode che per me scrisse il mio amato Leonida Repaci, in cui rammenta a quelli che non sanno, il giorno in cui io nacqui, indicando come soggetto imputabile esclusivamente il corpo frastagliato che ho, senza procedere ad un vero e serio screening che rimembri in primis l’anima mia, incominciano a scartavetrare ogni genere di materna pazienza, che sempre tenni dalla Magna Grecia fino a oggi.
Ho sopportato invasioni, furti, insulti, bestemmie, e anche maledizioni, ma la mia educazione, il mio credo e la mia grandezza, non vengano giammai scambiata per cazzoneria.
A parlar di me di certo non ci guadagno io, e lei lo sa bene. Chi lo fa, più male lo fa, meglio gli torna il conto. Credo che si guadagni davvero bene a mettere alla gogna l’unica terra che ancora porta gli strascichi dell’Unità d’Italia. Così si va giù duro, infilzandomi il muscolo del cuore, che è l’unico di tutto il corpo, e lei sa bene, che rischia di spappolarsi per primo.
IRRECUPERABILE e PERDUTA.
A chi, Augias? A chi?
Dice a me, lo so. Lo so bene che dice a me.
E scommetto che anche lei, assieme a tutta la compagnia dei NoCalabria, si è sempre domandato quale cazza di capa storta ha avuto la genialata di mettermi al mondo così puttana e perversa, perduta e irrecuperabile, ma troppo bella e coraggiosa per non esistere.
Augias, Augias, la sua esternazione non è la prima e non sarà l’ultima, ma a parte il fegato che ho che mi aiuta a resistere nei secoli, ai corpi e agli urti, il tempo è breve e le parole di taluni intellettuali, nella cui cerchia oggi lei stesso si classifica, sono più brevi ancora. Troppo per perderci il mio tempo.
È vero, sono una terra irrecuperabile. Maledettamente irrecuperabile. Ma sa cosa le dico? Ne vado fiera. Quaggiù, tra i boschi, in riva al mare, dall’Aspromonte al Pollino, chi fino a ieri si è permesso di farsi il fatto suo con la mia roba e sulla mia pelle, oggi non non va grasso più. E allora sì che sono IRRECUPERABILE. È per questo che lo sono. Con dignità e orgoglio, lo sono. E sono anche fortemente PERDUTA. Perduta dai reader di quell’Italia che mi ha sempre voluta serva del sistema, arricchendosi sulle mie spalle e privandomi delle mie cose. Dalle fabbriche a tutto ciò che qui, nella mia pancia, nacque. Pure alla gioia d’essere io la Prima Italia.

La mia è una lunga storia, Augias. Triste e bella, profonda e travagliata. Sono caduta innumerevoli volte, ma mi sono rialzata. Ho visto molti dei miei partire, altri li ho visti morire. Ho visto uomini farmi la guerra, e subito dopo trascinarmici dentro. Ho visto le mie famiglie fare sacrifici, chiedere aiuto e pane, proprio quando da quelli come lei, illusi di vivere nella vera Italia, gli veniva portato via.
Eppure, quando ho dato all’Italia il suo vero valore, l’UNITÀ su tutti, perdendo tutto ciò che avevo conquistato con il mio coraggio, il sacrificio e le forze, e i figli sono la cosa più cara che una madre ha, nessuno ha pianto con me, o è venuto a portarmi consolazione. Ma se lo ricordi, Augias, in questo mondo, nella nostra piccola Italia, nessuno si salva da solo.
Ma se proprio è certo di ciò che contro di me ha affermato, occhi negli occhi, lo dica anche al procuratore Nicola Gratteri che la Calabria è irrecuperabile e perduta. Ma mi raccomando, glielo dica dopo lo stremo di una delle sue sudate operazioni, per cui non gli è venuto giorno e neppure notte. E poi con la stessa facilità con cui mi giudica, gli tacci come inutile il suo lavoro, tanto per le cose perdute nessuno può far nulla, neppure lui. Infine, da buon Italiano meritevole, si faccia portavoce al mondo del mio lutto, e dica: la Calabria è morta. È Morta, lo urli. Perchè vede, è la morte, solo la morte che rende le cose e gli uomini definitivamente perduti e irrecuperabili.
Ma io, caro Augias, io sono viva e sono qui, alla punta dello stivale, a reggere una Patria intera con la forza delle mie gambe, e con quella delle braccia date da sempre al resto della Nazione.
Sono viva Augias, e sono qui perché non permetterò a nessuno, né oggi né mai, che quelli come lei vadano negando la speranza ai figli miei, a quelli nati ieri, a quelli venuti alla luce oggi, e a tutti quelli che nasceranno domani. Perché bambini che sognano, in Calabria, ne nascono ancora. E io sono la loro terra. Terra di malaffare? NO, Terra dei calabresi onesti, puntuali, lavoratori. E se cerca la terra di nessuno, non sono io. Nessuna terra lo è, Augias. Ogni terra ha la sua gente e ogni uomo la sua terra. Tutti lo stesso mondo. E lei è semplicemente vittima del suo ego.
Ma da buona terra accogliente quale sono, la invito, Augias, la invito a venire quaggiù a fare il suo prossimo viaggio. Si scoprirà sorpreso, vedrà. Dietro al grigiore con cui tutti fomentano la mia fine, e millantano di sapere come salvarmi, ci sono tanti colori che invece mi danno, anzi mi garantiscono la vita.
È vero, la ‘ndrangheta esiste, hai voglia se c’è. Conosco bene le mie debolezze, le mie grandi pene, ma la gente che lavora, che si sacrifica per sé e per me, e che lotta senza sosta per estirpare la malapianta dal mio grande giardino, esiste il doppio e anche di più.
Scoprirà, caro Corrado, che l’amaro in bocca che oggi ha e che forse anche la tormenta, con cui mi si scaglia contro ferocemente, potrebbe diventare dolce. Più dei fichi di fiore. Si ricordi che sui monti di pietra nascono i fiori, e anche dalla terra dura si può dissotterrare un tesoro.
Il mio invito è sincero, Augias, ma la prego, lasci ogni stereotipo fuori dai miei confini prima di arrivare, eviterà il giorno dopo di dire: scusate mi ero sbagliato.
Certa e sicura che il mio sarà per lei un gradito invito, la saluto affettuosamente dai due mari, ricordandole, per i suoi futuri interventi sulla mia pelle e sulle mie ossa che, “LA DIGNITÀ È IL LATO POSITIVO DEI CALABRESI. (Corrado Alvaro)

(rrm)