di GILBERTO FLORIANI – Nei giorni scorsi ho letto un appassionato appello di un giornalista che invitava gli intellettuali e gli scrittori della nostra regione a dar voce alla sua complessità. Una terra ricca di talenti e potenzialità, ma anche segnata da profonde contraddizioni e sfide ancora irrisolte.
Vivo in un contesto troppo ristretto per esprimere un punto di vista generale sulla regione, ma alcune vicende le ho vissute, alcune anche molto dolorose, molti mi conoscono e sanno chi sono e cosa ho fatto nella mia vita lavorativa, altri non lo hanno mai capito o non lo h
Un racconto della Calabria positiva e virtuosa è quello di Giuseppe Smorto, con il suo ‘A sud del Sud’, libro nel quale ha raccontato della creatività e del coraggio delle realtà positive calabresi, forse non è un libro esaustivo e molti altri dovrebbero seguirlo su questa strada. La mia esperienza diretta conferma che denunciare le storture in Calabria è un’impresa apparentemente facile, sono sotto gli occhi di tutti, ma molti ritengono che non sia sempre utile e prudente, specie se è una voce che viene dal di dentro. Chi parla apertamente, soprattutto se ha visibilità, rischia isolamento o avvisaglie e si mette comunque in uno spazio di opposizione. Non voglio dire che vi sia un clima di omertà, ma essere contro non è utile per chi persegue interessi personali e clientelismo.
Ciò nonostante, non mancano voci di resistenza e denuncia, ma chi ha il potere cerca di isolarle. Inoltre, la realtà calabrese, con le sue radicate problematiche, viene spesso accettata passivamente, come una sorta di normalità. Molti preferiscono tacere, per non avere problemi o per ottenere favori dalle istituzioni. Il giornalismo locale, spesso condizionato da interessi economici o politici, raramente approfondisce le questioni più delicate.
Il potere in molti comuni calabresi è nelle mani di clan familiari e logge massoniche, spesso in collusioni con figure poco raccomandabili. I partiti politici, svuotati della loro storia, anche a causa dei sistemi elettorali vigenti, sono diventati strumenti per carriere personali, le leadership trascinanti latitano. Anche chi dovrebbe o vorrebbe essere libero da condizionamenti finisce per piegarsi alle logiche del potere.
Alcuni studiosi di grande valore hanno analizzato e continuano ad analizzare le grandi problematiche regionali, ma i loro lavori, di grande utilità, all’altezza della migliore tradizione meridionalistica, spesso sono troppo specialistici, e mancando un sistema di diffusione del pensiero e della cultura ai livelli più bassi della società, spesso rimangono confinati all’ambito accademico.
La domanda è: esiste una via d’uscita? Purtroppo, la rassegnazione e l’insicurezza frenano il cambiamento. Chi crede nel mutamento si scontra con un muro di indifferenza. Il peso della storia, rassegnazione e pessimismo, le radicate abitudini mentali e l’ignoranza diffusa sembrano condannare la regione a un eterno immobilismo. (gf)