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La sanità, una ferita che in Calabria non smette di bruciare

di ANGELO PALMIERIC’è una ferita che in Calabria non smette di bruciare: la sanità. Ogni anno oltre 300 milioni di euro lasciano la regione per pagare cure altrove. È la cosiddetta migrazione sanitaria, il più grande esodo silenzioso del Mezzogiorno. Madri e padri svendono i loro beni per accompagnare un figlio a Milano, bussano a una banca per un mutuo o si aggrappano alla Caritas come a un’ ancora di salvezza. Anziani già provati dalla malattia si trascinano in viaggi infiniti per una chemioterapia a Bologna, trasformando ogni chilometro in una prova di resistenza. Giovani senza reparti adeguati finiscono a Roma o Napoli. In Calabria curarsi non è un diritto garantito: è un lusso che può costare la vita.

Le opere che tardano a guarire

I presidi della Piana, di Vibo e della Sibaritide furono previsti dall’Accordo di programma del 2007. Dopo quasi vent’anni, tra rinvii e rifinanziamenti, i cronoprogrammi ufficiali parlano ancora di consegne a partire solo dal 2026. Le situazioni, però, non sono identiche. Il nuovo polo sanitario della Sibaritide è in costruzione: il cantiere è avanzato, con l’involucro esterno quasi completato e le opere strutturali ultimate. Mancano però finiture, attrezzature, infrastrutture e soprattutto personale. Una promessa che prende corpo ma resta incompiuta, sospesa tra progetti e realtà.

Il 14 luglio 2025 è stato ufficialmente avviato il cantiere per il nuovo ospedale della Piana, con la consegna delle aree e i primi interventi preliminari (recinzione, allacci, scavi). Resta incerto se le fasi successive – realizzazione della struttura, collaudi, attrezzature – rispetteranno il cronoprogramma che prevede la consegna entro il 2028. A Vibo Valentia, nonostante l’apertura di alcuni cantieri e le dichiarazioni pubbliche che indicano il 2027 come orizzonte di completamento, persistono incertezze tecniche, burocratiche e finanziarie. Le fonti giornalistiche parlano di una scadenza auspicata entro la fine del 2027, ma gli atti ufficiali mostrano che solo di recente è stato approvato il progetto esecutivo, per un importo complessivo di 239 milioni di euro. Ad oggi, tuttavia, non risultano clausole contrattuali che rendano vincolante tale termine: il 2027 appare più come una previsione di programmazione che come un obbligo giuridico.

Secondo alcuni esponenti del Partito Democratico, gli appalti restano parziali e il quadro dei finanziamenti non è ancora del tutto chiaro. Nel frattempo, il vecchio Jazzolino è spesso descritto dalla stampa come un ospedale in affanno: reparti sguarniti, carenze di personale, un pronto soccorso congestionato dove i pazienti attendono anche per giorni. 

Le visite effettuate da rappresentanti politici e sindacali segnalano inoltre liste d’attesa interminabili, scarsità di posti letto e criticità organizzative che aggravano la fragilità complessiva del sistema sanitario provinciale. Non si tratta soltanto di problemi ingegneristici: quelle opere raccontano la cronica distanza tra progetto e realtà, tra promessa e compimento. Anche i cantieri oggi in corso sono il segno di un tempo istituzionale che non coincide con il tempo della sofferenza dei cittadini.

Le mani sulla salute

Numerose inchieste giudiziarie hanno mostrato come il sistema sanitario regionale sia stato un terreno privilegiato di penetrazione delle cosche. L’indagine Onorata Sanità, nota come procedimento 1272/07 della DDA di Catanzaro, ricostruì relazioni sospette tra apparati pubblici, interessi politici e ‘ndrangheta nell’ambito di gare e assunzioni (procedimento 1272/07, Senato). Nel 2019 il Consiglio dei ministri sciolse l’ASP di Reggio Calabria per gravi anomalie amministrative e possibili interferenze criminali, con decreto del 11 marzo 2019 pubblicato in Gazzetta Ufficiale.  Nel 2021 l’operazione Inter Nos, coordinata dalla DDA di Reggio Calabria, portò all’arresto di 16 persone – 9 in carcere e 7 ai domiciliari – nell’ambito di un’inchiesta sugli appalti della sanificazione in campo sanitario. Vicende diverse, ma segnate da un copione ricorrente: forniture gonfiate, gare sempre agli stessi soggetti, contratti pilotati. Ne emerge un sistema esposto, dove la salute diventa occasione di profitto e leva di potere.

Il privato come terreno fertile

Come osservano magistrati e analisti, il settore privato prolifera dove il pubblico arretra. In Calabria lo squilibrio è netto: alcune cliniche rischiano di trasformarsi non solo in luoghi di cura, ma anche in possibili strumenti di riciclaggio. Non si tratta di accuse puntuali, ma di una vulnerabilità segnalata da più rapporti e monitoraggi antimafia. Lo Stato riversa miliardi nelle casse regionali, i cittadini si indebitano, ma i profitti evaporano nelle tasche sbagliate. Come denuncia l’ex commissario dell’Asp di Reggio Calabria Santo Gioffré, «sono riusciti a farsi pagare la stessa fattura anche quattro volte».

«Questa cosca – sottolinea spesso il medico – deve essere stata molto protetta negli ultimi vent’anni per riuscire a ottenere quattro pagamenti per la stessa prestazione: così siamo entrati nel Piano di rientro. Chi ha beneficiato di quel sistema? Proprietari di grandi strutture private e studi diagnostici, grossi studi di avvocati, alcune multinazionali del farmaco, istituti di factoring e banche».

Una denuncia che racconta meglio di ogni statistica il cortocircuito morale ed economico di una sanità che spende molto ma cura poco: dove i bilanci tornano, ma i pazienti restano in fila.

Una comunità divisa e in esodo

Il sistema di assistenza non genera solo malati: produce migranti. È un doppio flusso: pazienti che partono per farsi curare e medici che abbandonano la regione per carriere più stabili. Chi resta, rimane imprigionato in un sistema impoverito.

Si crea una stratificazione feroce: chi ha risorse parte, prende un treno o un aereo, affitta una stanza vicino a un grande ospedale del Nord; chi non le ha si arrangia con visite in nero, raccomandazioni, favori, e talvolta dorme in macchina, pur di non rinunciare a una cura. Il diritto alla salute si trasforma in privilegio per pochi: il cittadino si riduce a cliente di un meccanismo di favori e intermediazioni. I viaggi della speranza non sono soltanto vicende individuali, ma un rito collettivo al contrario: treni notturni pieni di famiglie, autobus organizzati, pensioni di periferia a Bologna, Roma o Milano trasformate in dormitori della diaspora sanitaria regionale. Una comunità che si ricompone lontano da casa, attorno alla malattia. Sociologicamente, è una cittadinanza dimezzata: quando un diritto universale diventa un lusso, lo Stato perde la sua funzione di garante e la legittimità sociale si sbriciola. In quel vuoto, la ’ndrangheta si insinua, offrendo scorciatoie, posti letto, contatti “utili”. Non solo potere economico, ma potere simbolico: decidere chi può curarsi e chi deve attendere.

Medici cubani, sintomo non soluzione

L’arrivo dei medici cubani, presentato come svolta, è in realtà il segnale di un sistema al collasso. Se una regione non trattiene i suoi giovani professionisti né rende attrattive le proprie strutture, il problema non è numerico, ma di credibilità.

Un appello: vigilanza reale

Non bastano protocolli di legalità o commissari straordinari a tempo.  Occorre una struttura di controllo permanente, autonoma e competente, capace di vigilare ex ante ed ex post su gare, convenzioni e affidamenti, pubblici e privati. È indispensabile un monitoraggio puntuale sull’uso dei fondi pubblici destinati al privato accreditato, per garantire che le risorse pubbliche finanzino davvero prestazioni erogate e non si disperdano in logiche speculative. Serve una rendicontazione economica e gestionale trasparente, con pubblicazione periodica dei dati di spesa, dei beneficiari e degli esiti sanitari: una vera accountability di sistema, non solo formale. Può sembrare difficile, quasi utopico, ma è ciò che occorre pretendere: un organismo terzo, capace di rompere la catena opaca degli affidamenti e di restituire fiducia ai cittadini. Non è una concessione: è un diritto democratico. Il sistema di cura calabrese è la cartina di tornasole del Paese. Qui si misura se lo Stato è più forte della mafia o se continua a cedere terreno. Non è una sfida di cifre, ma di dignità. Curarsi non è una gentile concessione del potere, è una prova della sua legittimità. E in questa terra quella prova lo Stato continua a non superarla. Finché la Calabria resterà ostaggio di clientele e interessi criminali, il prezzo continueranno a pagarlo i più fragili – malati, poveri, chi non ha voce. (ap)

[Courtesy OpenCalabria]

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