Le Associazioni per il recupero dell’integrità del territorio hanno espresso la propria contrarietà al progetto per realizzare la funicolare nella Vallata annunciato ufficialmente dai sindaci di Roccaforte del Greco e Condofuri e ribadito la necessità di «abbandonare i comportamenti che stanno mettendo a dura prova la Terra, della quale siamo ospiti e non padroni».
A dirlo sono Serac Condofuri, Gruppo Archeologico Condofuri, Sentieri d’Aspromonte RC, Conservatorio Grecanico RC, Cop. Tutela dell’Aspromonte Condofuri, Banda Pilusa di Bovalino, Altrosud Roma, Squilibri Editore Roma e Lab. Territoriale Condofuri-San Lorenzo.
«Anticipiamo – si legge nella nota – la convergenza tra le osservazioni qui esposte e un documento tecnico delle associazioni ornitologiche e ambientaliste in fase di elaborazione e dichiariamo subito di non avere intenti polemici e divisivi, non vorremmo essere simili a quei soggetti in questo momento intenti a soffiare sul fuoco di una polarizzazione emersa nella nostra vita civile che, al di là delle buone intenzioni di ognuno, di fatto rischia di agevolare pratiche di governo autoritarie e meramente emergenziali proprio grazie al polverone sollevato dalla caccia al capro espiatorio, contro il buon senso e fuori da ogni discussione pubblica degli interventi programmati sul territorio, di fatto impostati sulla riproposta delle medesime ricette che oggi costringono ad inseguire l’emergenza».
«A tal proposito – continua la nota – non possiamo evitare di ricordare che qualche mese fa davanti al Colosseo, immaginando di non essere ripreso e registrato, Draghi ha detto a Franceschini di avere ormai imparato a evitare i pareri degli esperti “altrimenti le cose non si fanno”. Non è dunque importante come si concepiscono e si realizzano i progetti, con quale utilità sociale e quali risvolti ambientali e paesaggistici, l’importante è fare a tutti i costi eludendo la discussione sul merito con figure competenti e con i cittadini. Noi vorremmo piuttosto provare a coinvolgere davvero gli amministratori della nostra area, portatori probabilmente di visioni e abitudini non adeguate ai tempi, in un processo collettivo tendente al recupero della responsabilità, rimossa negli ultimi decenni, nei confronti dell’ ambiente, del paesaggio e della produzione del cibo».
«Al riguardo si tenga presente che, soprattutto per gli effetti energivori e inquinanti dell’agricoltura e dell’allevamento convenzionali e per la crescita continua dell’ urbanizzazione e delle cementificazioni – hanno scritto le Associazioni – il problema della sicurezza alimentare è diventato cruciale o, per essere più precisi, esplosivo a livello internazionale. I cittadini e i loro rappresentanti istituzionali con la testa sulle spalle si dovranno battere da ora in poi affinché la produzione del cibo non venga messa in pericolo dalla nostra principale tragedia nazionale: il furioso e autolesionistico consumo di suolo, vero e proprio stupor mundi, spettacolo orrendo di un Belpaese consegnatosi nelle fauci delle colate».
«Dovranno ripartire – si legge – dai disegni di legge del 2012 (poi ripresi e unificati ma non approvati l’anno dopo dal successivo governo e definitivamente affossati dal governo Renzi deciso a profondere il suo massimo impegno nella messa a punto del purgante decreto Sblocca-Italia) di un ministro dell’ Agricoltura, Mario Catania, capace di comprendere i termini reali della questione, come si evince già dai titoli dei medesimi: “Disegno di legge quadro in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo di suolo”; “Costruire il futuro: difendere l’agricoltura dalla cementificazione. Perdita di terreni agricoli, approvvigionamento alimentare e impermeabilizzazione del suolo”».
«Anche noi abitanti della Vallata dell’Amendolea – hanno proseguito – impoveriti dal furto dell’acqua inutilmente convogliata nello scellerato bacino del Menta a beneficio di un capoluogo incapace persino di usarla, non possiamo permetterci ulteriori contrazioni del paesaggio agrario e ulteriore degrado della fisionomia storica del territorio, dei terrazzamenti sostenuti dai muri a secco, degli antichi sentieri e dei pascoli; dobbiamo entrare nella fase del recupero e del restauro, le modalità di uso dei beni comuni ambientali come il suolo, l’acqua, la vegetazione, gli habitat non possono più contemplare la distruzione. Il nostro futuro è connesso alla nostra specificità: i presidi di economia locale legati alle risorse territoriali nonostante tutto presenti (le aziende agrituristiche, il trekking con le cooperative e i gruppi culturali che lo alimentano, i produttori di miele e cibo biologico) sarebbero enormemente danneggiati da un’infrastruttura impattante anche esteticamente, che eserciterebbe sulla Vallata una pressione negativa con la desertificazione dei luoghi attraversati dai cantieri».
«Lo spostamento veloce degli uomini – si legge ancora – è una necessità e un mito del vecchio mondo in corso di sgretolamento al quale dobbiamo togliere la possibilità di assestare altri micidiali colpi di coda. Alla morfologia tormentata di siti collinari e montani affascinanti (quando sono ancora come ce li hanno consegnati i nostri meno forsennati e più avveduti predecessori ) non si possono applicare gli standard dei luoghi di pianura (così come è assurdo sventrare ancora una volta l’Appennino per realizzare il collegamento ferroviario ad alta velocità Salerno – Reggio Calabria, con un risparmio sui tempi di percorrenza previsto inferiore ai trenta minuti mentre la linea disponibile è sottoutilizzata almeno del 50%): si tratta di contrade e paesi che richiedono passione per uno stile di vita sobrio e basato sulla cura, anche faticosa, di ogni particolare».
«Potranno resuscitare – si legge – solo se ripopolati da abitanti pervasi da orientamenti anticonformisti, da gente di nuovo capace di riparare le armacere ( anch’esse ecosistemi), di usare il grassello di calce per i restauri degli edifici e di dedicarsi con i semi antichi all’agricoltura di sussistenza; e allora sarà possibile e bella l’invenzione di nuove iniziative e attività in dialogo con il genius loci, sarà originale, consapevole, di caldo e ampio respiro ogni elaborazione e le trasformazioni culturali non avranno finalmente nulla a che vedere con la colonizzazione di comunità in fuga da se stesse, immolate sull’altare del boom economico. Il turismo sostenibile non si può fare nello sfacelo, ed è molto più attrattivo un posto bello da raggiungere avvalendosi di una viabilità lenta, tortuosa, capace di dare la misura del viaggio con un avvicinamento progressivo all’anima e non alla superficie della destinazione rispetto a una località bruciata dalla banalizzazione richiesta da mentalità e prassi di tipo cittadino».
«Del resto – continua ancora la nota – le poche persone residenti a Roccaforte, anche nel malaugurato caso di necessità ospedaliere, avrebbero bisogno di autoambulanze e presenza medico-infermieristica piuttosto che di funivie, dovrebbero reclamare a gran voce il ripristino delle condizioni operative di qualche lustro addietro del “ Tiberio Evoli” di Melito Porto Salvo, chiedere conto allo stato italiano dei duri colpi inferti ai servizi pubblici (le cosiddette e tanto accanite privatizzazioni), in particolare dei massicci definanziamenti della sanità, della ricerca e della istruzione, e dell’acqua di tutti rimasta a disposizione dei profitti di pochi a dispetto dell’esito del referendum da cui sono ormai trascorsi dieci anni».
«Sono su altri fronti, dunque – conclude la nota – da cercare le soluzioni ai nostri problemi, gettando nel dimenticatoio le vecchie ricette che ce li hanno procurati e alle quali dobbiamo, per fare un esempio tra tanti, il parcheggio da centro commerciale che ha deturpato per sempre Motta Sant’Aniceto». (rrc)
In copertina, foto del Gruppo Archeologico “Valle dell’Amendolea”