di ALDO MARIA MORACE – Nel 2016 dedicavo un mio volume, Alvaro nel labirinto, ai volontari della Fondazione Alvaro. Scrivevo allora (e lo ripropongo, senza nulla modificare, alla luce tristissima di quanto è ingiustificatamente avvenuto): «Sono passati ormai quindici anni da quando il Consiglio d’Amministrazione mi ha chiamato a presiedere la Fondazione; e – se devo compiere un bilancio, un rendiconto, un consuntivo – sono stati anni di grande afflato umano e scientifico: i più intensi, ricchi e densi del mio itinerario culturale, scientifico e accademico [e di] quella che viene ritenuta – a torto – la ‘mia’ creatura, ovvero la Fondazione, che nell’arco di un decennio ha assunto un rilievo, nazionale e internazionale, neppure ipotizzabile al suo sorgere. Dico ‘a torto’ perché la Fondazione è di chi la nutre giorno dopo giorno con il suo sacrificio silenzioso e anonimo, sacrificando famiglie e interessi personali; è di chi, vent’anni fa, rifiutò di arrendersi al peso degli oggettivi elementi di dissuasione che la realizzazione di un sogno (o meglio di un’utopia) comportava.
[…] La lezione di Alvaro (che, partendo da San Luca, era approdato alle pagine dei quotidiani più importanti come narratore, prosatore di viaggio, elzevirista e intellettuale di respiro europeo) ha operato, indubbiamente, nel manipolo di sanluchesi che si sono riuniti all’insegna del suo nome, per legare al volo del suo figlio più noto l’ansia di riscatto di un paese, di una terra, contro il determinismo della non-speranza.
Per valorizzarne ed approfondirne criticamente l’opera – divenuta nel mondo intero l’icona stessa della Calabria – il 24 gennaio 1997 è così venuta alla luce, dopo uno strenuo lavoro di preparazione presso gli enti fondatori, la Fondazione «Corrado Alvaro», ubicata a San Luca nella restaurata casa natale dello scrittore e patrocinata dal Comune, dalla Provincia e dalla Regione.
Le tappe della sua realizzazione e della sua espansione sono consegnate alle (e scandite dalle) cronache giornalistiche, poi in parte raccolte in due volumi che ripercorrono questo itinerario difficile ed esaltante: un caleidoscopio di eventi, giorni, volti e figure, ma anche un modo di sottrarre all’usura dei giorni, alla consunzione della memoria, le tappe di questa esemplare avventura. Essa dimostra che è possibile sconfiggere una maledizione storica e che è possibile creare cultura lì dove questo valore sembrerebbe destinato a una vita soffocata.
Ancora due anni dopo la sua costituzione, per il ritardo nell’erogazione dei contributi necessari allo start-up, la Fondazione non possedeva un numero telefonico, un computer; pochi mesi più tardi – grazie alla volontà tenace e inespugnabile del suo gruppo promotore – era già in grado di impiantare una mostra memorabile nel romano Teatro dei Dioscuri, presso il Quirinale; e poi, in rapida successione, di dar vita a seminari, convegni nazionali e internazionali, laboratori di scrittura creativa, rappresentazioni teatrali, edizioni impeccabili di opere alvariane e su Alvaro, nonché a dodici edizioni di un premio letterario, articolato in varie sezioni, che si è imposto tra i più rilevanti nell’ambito italiano.
È stata ambasciatrice della cultura calabrese presso le comunità dei diasporati, in Italia e nel mondo (Parigi, Salamanca, Berlino, Mosca, New York); ha acquisito un importante nucleo di autografi alvariani, che sono stati digitalizzati e – prossimamente – messi in rete. Ma il compito più nobile, sul piano civile, che essa si è assunto, è stato quello di promuovere l’incidenza della legalità in un contesto inquinato alle radici dalla enfatizzazione del codice malavitoso e di avere esercitato in molteplici occasioni tale funzione, come quando la sua voce si è levata alta e forte dopo l’eccidio di Duisburg, contribuendo concretamente a riattestare la presenza dello Stato in un tempo di deragliamento coscienziale e mediatico.
Molto di tutto quanto è stato realizzato si deve, indubbiamente, a coloro che hanno creduto nelle possibilità e nelle funzioni della Fondazione: come alcuni illuminati esponenti delle istituzioni […]; e come gli intellettuali e gli studiosi che hanno accettato di spendersi per essa, primi tra tutti i membri del Comitato Scientifico, composto (in passato e nel presente) dai nomi più prestigiosi dell’accademia italiana. Ma tutto questo sarebbe stato vano – o neppure posto in essere – se non ci fosse stata in San Luca quella meravigliosa équipe di volontari (che, per il diradarsi dei contributi istituzionali, ha troppo spesso pagato di tasca propria, rifiutando i rimborsi per le spese effettuate), entusiasticamente votata alla causa della Fondazione: giorno dopo giorno, con dedizione totale, essi hanno formato le strutture umane della sua possibilità di esistere e di espandersi, tanto da consentirle di giungere a mete razionalmente improponibili.
La carriera accademica mi ha riservato gratificazioni che sono andate al di là delle mie stesse speranze; ma quella che mi è più cara è rappresentata dall’aver partecipato a questa appagante avventura, contribuendo alla vita della Fondazione, cui mi sono donato senza remore. Sono stato ricompensato – in misura di gran lunga maggiore di quel che ho dato – dalla loro amicizia e dedizione, tanto che mi hanno voluto cittadino onorario di San Luca, e che continuano più che mai, ora come allora, a spingere la ‘loro’ creatura verso nuovi traguardi.
Ho avuto tante volte – per l’aggravarsi degli impegni istituzionali – la tentazione di passare la mano; poi guardavo gli amici sanluchesi negli occhi, che mi guardavano con fiducia e affetto totale, e il coraggio veniva a mancare. Nulla, davvero nulla, mi ha gratificato e mi gratifica quanto questo stupendo contatto umano. Sono parole, queste, che in tanti anni sono rimaste effuse fra noi come un magnetismo, ma senza che mai siano state pronunziate. Erano parole del silenzio: ora sono state scritte, nel loro nome».
Le ripropongo ora, con commozione: una riattestazione di fiducia. Nel potere, lento ma indistruttibile, della cultura. (amm)