di SANTINA SANTAMBROGIO – «Io dico a mia madre che è una leonessa perché è veramente fortissima, è una donna straordinaria non perché è mia madre, ma perché ha avuto il coraggio di denunciare». Le parole della figlia di Ciro Russo e Maria Antonietta Rositani, Annie Russo, durante il ricovero in ospedale della madre, sfregiata dal marito con l’acido nel 2019.
Nel 1999, con la risoluzione 54/134, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha istituito la “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”, un momento cruciale per riflettere su una piaga sociale ancora troppo diffusa.
È una violazione dei diritti umani che ha radici profonde e che, purtroppo, si perpetua ogni giorno all’interno di ogni contesto della sfera umana.
La violenza sulle donne, e non solo, è un problema che riguarda tutti e di cui è importante parlare per aiutare non solo le donne ,ma quelle vittime invisibili che rimangono spettatori impotenti di questo fenomeno, oggetti di sentimenti malati.
I figli, infatti, non sono semplici spettatori passivi, piuttosto protagonisti indiretti degli atti di violenza, vittime di un ambiente familiare segnato dalla paura, dal dolore e dall’assenza di sicurezza.
Ciò che passa in secondo piano è il loro ruolo, spesso, determinante. Molte donne maltrattate trovano proprio in loro la forza per reagire, per denunciare gli abusi e per iniziare un percorso di liberazione dal loro aggressore. I figli riescono, talvolta, a “far aprire gli occhi” alle donne intrappolate in relazioni abusive. Allo stesso tempo, diventano una motivazione potente per rompere il silenzio, per lottare non solo per sé stesse, ma anche per garantire un futuro sicuro e sereno ai propri figli.
Ma questi ultimi, purtroppo, possono essere anche vittime dirette della violenza domestica: testimoni silenziosi di soprusi che li segnano profondamente, creando cicatrici emotive che, se non attenzione e “curate” rimangono sono devastanti e durature.
Il peso morale che grava su di loro è immenso e può manifestarsi in modi diversi e spesso dolorosi. Gli adolescenti si rivelano spesso incapaci di elaborare il trauma, evidenza che li induce a diventare vittime o carnefici in un sistema che li spinge a cercare una valvola di sfogo nei luoghi più sbagliati.
Questa tendenza, potrebbe condurli a chiudersi in se stessi, evitare relazioni affettive per il timore che si ripresentino dinamiche violente simili a quelle vissute nella propria famiglia, oppure in forme più introverse, come l’autolesionismo, in cui il dolore viene diretto contro sé stessi.
Per i figli maschi, il rischio è duplice: non solo rischiano di sviluppare insicurezze e difficoltà relazionali, ma, in alcuni casi, potrebbero interiorizzare i comportamenti violenti osservati nell’aggressore, riproponendoli da adulti nei confronti delle proprie mogli o figlie. Questo tragico ciclo di violenza si perpetua, trasformando vittime innocenti in futuri protagonisti di comportamenti abusivi, alimentando così un’eredità di sofferenza.
Purtroppo le forme di violenza, nella società odierna, non sono unicamente fisiche piuttosto che verbali. I suoi confini si sono ampliati con l’avvento dei social media e delle nuove tecnologie, dando vita a una forma di violenza “moderna”, subdola e spesso invisibile: l’uso dei social per esercitare pressioni psicologiche, intimidazioni e umiliazioni.
La violenza a distanza, resa possibile dagli strumenti digitali, è una delle espressioni più preoccupanti di questo fenomeno. È qui che si rende necessario un intervento deciso e sistematico. Le istituzioni, le scuole e le comunità devono lavorare insieme per offrire ai figli delle vittime strumenti di supporto psicologico, educazione emotiva e percorsi di recupero che possano spezzare il ciclo della violenza. È fondamentale insegnare loro a riconoscere, elaborare e gestire il trauma, evitando che si trasformi in un’eredità di sofferenza perpetua.
La normativa dettata dalla legge n. 4/2018 volte a dare concreta attuazione alla Convenzione di Istanbul, in materia di prevenzione e lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica, istituisce dei fondi destinati agli orfani di crimini domestici.
Riconoscere il ruolo dei figli, sia come vittime che come potenziali catalizzatori del cambiamento, rappresenta un passo fondamentale per costruire un futuro libero dalla violenza, con il vero convincimento che solo attraverso un continuità e profondo lavoro all’interno del tessuto sociale e familiare sarà possibile avere dei reali cambiamenti. (ss)
In copertina la campagna “Non toccatemi la mamma” lanciata a dicembre del 2017 da Ai.Bi. – Amici dei Bambini, in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
Anna, Rosaria, Laura: nomi di fantasia che, però, raccontano storie vere. Violenza ripetuta, abusi e terrore che le hanno portate fino alla prostrazione e alla fuga. Donne e madri vittime delle angherie dei propri partner che, allo stremo delle forze o dopo l’ennesimo episodio, non di rado proprio attraverso uno sguardo agli occhi impauriti dei propri figli hanno trovato la forza di chiedere aiuto. Racconti agghiaccianti, in più di qualche caso provenienti dalla famiglia ‘della porta accanto’, quella che non ti aspetteresti. Raccolti dagli operatori di Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini che hanno ascoltato il loro grido di dolore, prendendosi cura e accogliendo le mamme e i loro bambini all’interno delle proprie strutture protette.