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San Rocco

Oggi si festeggia San Rocco: le origini del culto

di PINO CINQUEGRANA Tra la fine del Trecento e la prima metà del Quattrocento si sviluppò, in tutta Europa e nell’Italia meridionale, la necessità di essere rappresentati da un “santo patrono”. Ogni città ha bisogno del proprio santo protettore. In questo periodo si sviluppa il culto per la Madonna nei diversi attributi: della “Salute”, del “Soccorso”, delle “Grazie”, della “Provvidenza”, della “Luce”, della “Lettera” e così via. San Rocco sarà il giovane pellegrino francese a cui la gente guarderà con grande fiducia e nel corso del Quattrocento il suo culto si diffonde rapidamente dapprima in nel Nord Italia e, successivamente, al susseguirsi di terribili pestilenze, al centro e al sud. Al santo di Montpellier vengono offerti ex-voto come grano, animali, frutta, dolci a forma di membra umane, passaggio dei riti campestri ereditati dalla cultura greca che ha caratterizzato fortemente l’area del Mediterraneo.

Dopo l’epidemia del 1348, vengono dislocati lontano dai centri abitati dei lazzaretti, lebbrosari, ospedali per incurabili dove lenire le sofferenze di tanta gente che affidava la sua guarigione alla preghiera.

Il pellegrinaggio, il canto devozionale, l’offerta votiva, la flagellazione, divengono sempre più il praticato sentire del popolo all’interno della festa che polarizza l’attenzione, scuote la sensibilità. Siamo difronte ad una “la religiosità popolare nel suo insieme, vista cioè come folklore o manifestazioni di riti superstizioni o magico-sacrali, rappresenta un’autentica espressione di fede  e di pietà, da cui possono scaturire anche comportamenti  di moralità individuali e collettivi …Essa è ricca di valori  che possono condurre  ad un vero incontro con Dio in Gesù Cristo, come ha affermato Paolo VI nel difendere la validità della religione popolare per evidenziare i limiti e le manchevolezze”. (Guglielmelli 1985:109). Nel popolo gioia e dolore si toccano quando riflettono il problema della vita e della morte; della vita che confina nella morte e della morte che tende, irresistibilmente, a sconfinare nella vita. E proprio a questo sentire si lega la comportamentalità ritualistica degli “Spinati” della Madonna della Catena di Dinami, degli “Spinati” di San Rocco di Palmi, degli “Spinati” di Laureana di Borrello che processionalmente, a piedi scalzi, donne, uomini, giovani indossano la apatica (cappa di asparago) e ancora gli incappucciati di spine per san Pantaleone a Limbadi. Saga rievocativa-esistenziale, grido di fede dalla terra al cielo che unisce il linguaggio parlato a quello gestuale che divengono per esprimere l’inesprimibile: la richiesta di una grazia.

Come scrive Monsignor Agostino la pietà popolare è un linguaggio immediato nella categoria del sentire anziché del ragionare. Ed è in questa lettura che San Rocco è stato e continua ad essere uno dei santi più amati al mondo.

Per la gente di Calabria, il principe-santo rimane la figura a cui rivolgersi per ogni tipo di malattia: ieri la peste, la spagnola; oggi l’Hiv, la Sars, H1N1 e non ultimo il Covid-19.

Ieri come oggi abbiamo bisogno dell’intercessione di san Rocco con la preghiera voluta da Papa Gregorio XVI che scrisse in occasione del colera del 1837, con indulgenza per colui che l’avrebbe recitata una volta nella giornata con profonda devozione.

Il principe pellegrino

di Montpellier

Il culto di San Rocco della Croce, principe di Montpellier (l’antica Agatopoli), è popolarissimo nel mondo protettore contro la peste e contro ogni forma di malattia epidemica ed ogni calamità.  A Torino, la Confraternita di San Rocco ha sempre mantenuto rapporti con casa Savoia, ne sono testimonianza la documentazione del 1620, relativa ad alcuni confratelli che si recarono ad Arles per ottenere una reliquia del santo, che venne in seguito riposta in un’urna di cristallo donata da Madama Reale Maria Cristina e collocata sotto la mensa, patenti. Montpellier fu città di commercio con le Repubbliche marinare italiane e di nobiltà, e qui sorgeva nel XIV secolo una delle più importanti università di medicina d’Europa.  In questo luogo, Giovanni e Liberia fecero voto di potere avere un figlio, al punto che un giorno, una voce dal cielo interruppe l’agire del Governatore Giovanni: serena l’anima, le tue preghiere hanno persuaso la divina bontà a concedervi un figlio.

Rocco nasce con una croce purpurea sul lato sinistro… predestino di colui che dovrà dare sostegno agli altri.  Studiò nella Casa dei Domenicani, devoto alla Madonna, divenne francescano del Terz’Ordine. Dopo la morte dei genitori dono le sue ricchezze ai poveri e mendicò il pane durante il suo viaggio verso la Città Santa per pregare sulla tomba del principe degli Apostoli, San Pietro.

Giunto ad Acquapendente, vide che la città era flagellata dalla pestilenza. L’ospedale della città era pieno di povera gente. Si mise, con la preghiera, a dare conforto a tanti ammalati e molti guarirono per sua intercessione. San Rocco sacrificò la sua gioventù al servizio degli appestati e curò la putridità delle piaghe, nel fetore di un ambiente malsano e pericoloso per il contagio. Possiamo dire che alla corona reale scelse quella di spine e si mise a sostenere gli ammalati con il cibo raccolto con la carità e asciugare i putridi bubboni. La sua figura ricorda il nostro San Francesco di Paola che curava con la preghiera e con le erbe e dormiva tenendo come cuscino un grosso macigno.

San Rocco e il mito

del Re Pescatore

A San Rocco si lega il mito del Il Re Pescatore (pêcheur e pécheur (“pescatore” e “peccatore”); è un personaggio che appare in alcune opere del ciclo arturiano come ultimo discendente della stirpe dei Re del Graal, custodi della preziosa reliquia. 

Viene caratterizzato in modi anche molto diversi da diversi autori; in ogni caso, ha una menomazione alle gambe o ai genitali, e ha difficoltà a muoversi. La sua menomazione si ripercuote sul suo regno, che si è trasformato in un luogo deserto e devastato, “La terra desolata”, la “terre guaste” (Waste Land). 

La ferita del Re Pescatore ha in generale la connotazione di una punizione per peccati commessi in passato; alcune opere sviluppano questo tema stabilendo un’analogia fra la ferita del Re Pescatore e la ferita al costato subita da Cristo sulla Croce. Bastone, tabarro, conchiglia, zucca e bisaccia sono i connotativi di San Rocco che l’iconografia arricchisce con il dito indice che mostra la ferità della peste e poi accanto un cane o un angelo e, in alcuni casi entrambi. Dalle ultime ricerche Rocco di Montpellier è individuato quale studente in medicina ed ecco perché alcune opere d’arte lo riportano con delle lancette (bisturi) in mano necessari per incidere i bubboni della peste. Attraverso l’ordine francescano il suo culto si diffuse nel mondo. La sua data di nascita è accreditata tra il 1348/50, la sua data di morte, ormai certa a Voghera, tra il 1376/1379. Viene nominato santo durante il Concilio di Costanza nel 1414. Nel 1595, Papa Clemente VIII volle una reliquia di un braccio, mentre la Chiesa di Montpellier chiese una tibia.

Il sacrificio salvifico

dell’offerta dei pani-dolci

a San Rocco

nella tradizione popolare

I Vuti esprimono un profondo significato salvifico di levitica memoria che, nella sua dimensione storica, ha segnato le vicissitudini dei popoli del Mediterraneo. Un agire religioso nella convinzione che qualunque azione umana, senza il favore della divinità è destinata al fallimento.

Questi pani-dolce, ex voto suscepto ovvero  secondo la promessa fatta, termine che inizia a partire dal XIX secolo, vengono offerte dai fedeli a San Rocco quanto alla Madonna del Soccorso a Monterosso Calabro, a San Foca nel borgo di Francavilla Angitola, alla Santa Croce presso Polia, a San Francesco di Pizzo Calabro, a Sa Rocco nel paese di Maierato, a San Domenico di Soriano.

I Vuti assumono i linguaggi del chiedere e del ringraziare, un do ut des in quanto atto vitale, testimoniato e rivolto all’ascolto del santo che deve perorare la causa fino alla concessione della grazia (atto risolutivo della richiesta). I vuti, determinano il sacrificio offerto alla divinità per il tempo impiegato alla realizzazione, l’impegno a renderlo prezioso (colori, cioccolatini, confetti ed altri elementi coreografici), all’atto donativo fatto gestualità che incarnano l’intensità della richiesta o del ringraziamento per la grazia ricevuta. Un modus agendi che ha origini antichissime, ad Atene, venivano preparati per le Tesmoforie, durante la festa annuale primaverile in onore di Demetra e Kore (la fanciulla), durante la quale si preparavano delle “focacce di sesamo e miele raffiguranti gli organi femminili, proprio per celebrare e propiziare la fertilità dei raccolti” (Mento; 2003:2). Nei riti festivi della cultura spagnola, il pane appare sotto diverse denominazioni: pan bendito (pane benedetto), pan caridad (pan carità), roscas del santo (ciambelline del santo), una tradizione che nell’Italia meridionale continua ancora nella sua evoluzione votiva.

Consuetudini paesane del vivere il sacrificio, la cui decifrabilità sta proprio nell’essenza del Vutu stesso quale segno tangibile di rinnovata fedeltà all’Onnipotente; rigenerazione funzionale e spirituale; momento catartico nell’auspicato momento dell’annullamento delle negatività della propria esistenza. Sicurezza e protezione per sé e per la famiglia, per gli animali e per i campi è quanto si chiede con i Vuti dai quali, pertanto, dipende la numia (volontà) di intercessione o concessione diretta da parte del santo per cui i Vuti vengono preparati e offerti.

Una ritualità che gli antichi Romani chiamavano indignamenta da indignare, cioè invocare (D. Chilleni/M. Chiarello: 2011:3).  I vuti sono visti e sentiti, quindi, quale atto sacrificale, espiazione e redenzione attraverso il tempo sacro in onore alla divinità, per la quale la comunità fa festa, ed è questo il momento che viene scelto dal popolo che implora l’intervento miracolistico. Il dies festus diventa, perciò, il tempo del chiedere e del ricevere. ν