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Perché l'incontro tra le due eccellenze mondiali di Reggio Calabria?

Perché l’incontro tra le due eccellenze mondiali di Reggio Calabria?

di PASQUALE AMATOHo preso spunto da una felice riflessione di Salvatore Settis (“Noi ci portiamo la Grecia in testa, soprattutto perché siamo figli di questa civiltà”)  per focalizzare le tante “buone ragioni” per cui vi è un’eccezionale sintonia tra il contesto storico-culturale-artistico che ha generato i Bronzi e il Museo e la Città che li custodiscono: I due capolavori sono stati ideati e realizzati nel V secolo a.C, età d’oro di quella civiltà ellenica che ha dato vita alla civiltà europea e occidentale. Civiltà che ebbe tra i suoi cuori pulsanti le città-stato della Magna Grecia e della Sicilia. Civiltà in cui brillò la polis Reghion (la prima della Calabria e una delle più antiche d’Italia, fondata nel 730 aC). Civiltà che si estese da Tanais alla foce del Don sul Mar Nero a Mainake (odierna Màlaga) con una miriade di pòleis (Città-Stato) con 156 Costituzioni indipendenti diverse, unite dal filo rosso di una comune cultura e da una lingua comune sebbene suddivisa in quattro idiomi differenti.  Civiltà che pertanto non diede mai vita ad uno Stato greco, nato soltanto nel 1831 al termine della Guerra di Indipendenza dall’Impero Ottomano iniziata nel 1821.

A Reghion operò nello stesso V sec. aC la Bottega di Scultura in Bronzo di Clearco, la più prestigiosa nell’Occidente ellenico, allo stesso livello di quella ateniese. Massimo esponente di quella Bottega fu il grande scultore Pitagora di Reggio, la cui arte eccelsa gli valse l’inserimento fra i cinque massimi scultori “greci” (assieme a Fidia, Policleto, Mirone e Lisippo) da parte del critico d’arte e scrittore Senòcrate di Atene.

Proprio a Pitagora di Reggio diversi studiosi (tra cui il prof. Daniele Eligio Castrizio) hanno attribuito la realizzazione dei due Bronzi di Riace sulla base delle testimonianze unanimi di autori greci (Diogene Laerzio) e latini (Plinio il Vecchio). Significativa è la descrizione di quest’ultimo. Pitagora Reggino fu “capace di rendere come nessun altro i riccioli di barba e capelli, e di fare “respirare” le statue, cioè rendere perfetta l’anatomia dei vasi sanguigni”. Elementi che ammaliano tutti coloro che visitano nel Museo reggino i Due Guerrieri.

I Bronzi di Riace sono certamente “greci”, come ha affermato il professor Settis. Ma in che senso? “Essere greci”, non essendo la Grecia mai esistita come Stato sino al 1831, significa per Settis (come per tutti gli studiosi dell’antichità) fare parte di quella eccezionale civiltà che si sviluppò in una miriade di città-stato indipendenti dal Mar Nero al Mediterraneo e raggiunse il suo massimo splendore nel V Sec. a. C.

I due capolavori sono pertanto figli di quella straordinaria fioritura culturale e artistica e il Museo della Magna Grecia di Reggio Calabria è la loro legittima casa naturale. È stato un destino benigno (e non una disgrazia, come qualcuno afferma a sproposito da molti anni) quello che li ha fatti naufragare vicino alla costa jonica della Calabria, nel cuore di quella parte dell’Italia dove ancora si respira la cultura greca. Vi sono a Sud di Reggio comuni dove si parla ancora il Greco. E non è un caso che l’altra comunità di lingua greca in Italia si trovi nel Salento. La punta e il tacco dello stivale sono tuttora aree di lingua e cultura greca, appartenenti alla stessa civiltà che ha generato i due Guerrieri.

I Bronzi di Riace hanno pertanto il pieno diritto di essere, e lo sono, i Beni Identitari e Inamovibili del Museo Archeologico della Magna Grecia di Reggio con il suo concentrato di Primati: pensato da Paolo Orsi, ottenuto da Orsi e da Umberto Zanotti Bianco, progettato (per la prima volta al mondo come edificio museale) dall’architetto Marcello Piacentini, ristrutturato da Paolo Desideri, prezioso per i tanti tesori che lo hanno reso uno dei più importanti e prestigiosi del mondo assieme a quelli di Atene e di Berlino.

Oltre ai due capolavori identitari, annovera i due Bronzi di Porticello (il Filosofo – primo ritratto in bronzo nel mondo di una persona vissuta, anch’esso attribuito a Pitagora Reggino da Daniele Castrizio come ritratto di Pitagora di Crotone – e la Testa di Basilea), il Kouros di Reggio (pregevole statua in marmo del VI sec. aC), i Dioscuri e i Pinakes di Locri, la Testa in marmo dell’Apollo di Cirò Marina.

I Bronzi e il Museo sono un binomio inscindibile: insieme costituiscono il bene culturale principale della Calabria, il simbolo della storia plurimillenaria di essa e dell’intero Sud, un orgoglio per la cultura ellenica madre della Civiltà europea e occidentale, il centro di attrazione primario per chi ama la cultura e l’arte”.

In sostanza sussistono “validissime ragioni storiche e culturali” per sgombrare il terreno da false verità e impedire la “deportazione dei Bronzi” prospettata da strani connubi tra aspiranti predatori (in particolare uno) e ascari* locali, complici o succubi 

Passando all’altra eccellenza mondiale,  ho trattato l’infondatezza di  luoghi comuni e  comportamenti errati che non hanno consentito al Bergamotto di Reggio Calabria la popolarità che avrebbe meritato e merita. E ho ribadito i cardini della campagna del Comitato per il Bergamotto di Reggio Calabria. Una  campagna lunga ma giusta, condotta con idee chiare, argomenti solidi, perseveranza e determinazione:

La storica sottovalutazione della sua unicità. Per secoli la commercializzazione è avvenuta senza mai chiamarlo per nome e cognome, privandolo in pratica della sua identità. Il contrario di quanto è avvenuto per l’Aceto Balsamico di Modena, dal 1600 commercializzato nel mondo con un unico Brand che ha procurato fama, prestigio e ricchezza a Modena e alla sua provincia.

La Regione lo ha declassato a “prodotto tipico”, tentando di appropriarsene e, comunque, privandolo della sua identità reggina.Il tentativo più serio fu quello del 1998-99 (DOP Bergamotto di Calabria). Tentativo che venne sventato grazie alla crociata condotta da Pasquale Amato e pochi altri. Quella crociata sfociò nel riconoscimento storico della “Dop Bergamotto di Reggio Calabria Olio Essenziale”. Se oggi si può parlare ancora di Bergamotto di Reggio Calabria e si può lanciare il Menù della Città Metropolitana con specialità al “Bergamotto di  Reggio Calabria” lo si deve a quella campagna risoltasi con esito positivo.

É una voce priva di fondamento quella sui rapporti quantitativi tra i Bergamotteti. Si confonde il Centro Storico Cittadino di Reggio con il vasto territorio del Comune, che si estende sulla costa da Bolano e Catona a Pellaro e Bocale e nelle falde aspromontane sino a Tre Aie di Podargoni, con vasti Bergamotteti sia sulla costa che sul versante della montagna sino a Gallina e Armo. In questo territorio la presenza dei Bergamotteti è ampiamente radicata e diffusa. È quello dove la pianta ha avuto la sua prima espansione nel ‘700 dopo la nascita del Principe nel cuore del Centro Storico, in cui comunque è tuttora presente; il caso del nostro Agrume è esattamente eguale a quello del “Prosciutto di Parma”.

Si chiama così perché quando l’area di produzione coinvolge più Comuni di una stessa Provincia prende il nome della Provincia. Caso diverso è quello del Formaggio Parmigiano Reggiano. Ha questo nome perché l’area di produzione coinvolge Comuni di due province: quelle di Parma e di Reggio Emilia. Diverso è ancora il caso delle Clementine che sono Calabresi perché l’area di produzione coinvolge Comuni di tutte le 5 province della Calabria. Altro esempio è quello del Grana Padano: essendo l’area di Produzione diffusa in comuni di più province di diverse Regioni ricadenti nella Valle Padana hanno trovato il nome che le poteva unificare;

Il “Prosciutto di Parma” è prodotto in diversi Comuni della Provincia di Parma ma non in tutti. Però tutte le Aziende lo chiamano “Prosciutto di Parma”, specificando giustamente a parte il nome dell’Azienda e il Comune in cui si trova la stessa Azienda. Nessuno dei Comuni e nessuna delle Aziende produttrici ha mai contestato la denominazione “Prosciutto di Parma”, magari sostenendo che gli allevamenti di una zona sono più numerosi di quelli di altre zone o della Città Capoluogo. E nessuno ha mai messo in discussione il brand “Prosciutto di Parma”;  “Aceto Balsamico di Modena”.

I produttori modenesi lo hanno reso famoso nel mondo dal 1600 commerciandolo ovunque come “Aceto Balsamico di Modena”. Lo hanno imposto continuando a insistere sempre sulla stessa denominazione. E lo hanno fatto quando non esistevano né l’Italia, né l’Europa, né la normativa della DOP. Anche i loghi e i marchi fanno parte del Brand e non li hanno cambiati mai. Infatti il Brand è la somma intangibile delle caratteristiche di un prodotto e rappresenta l’insieme delle percezioni della mente. La confusione delle denominazioni confonde il pubblico e provoca danni per l’immagine e per il riconoscimento certo. Io e tanti altri, per fortuna sempre più numerosi, non abbiamo bisogno di alcun politico per dire e scrivere “Bergamotto di Reggio Calabria”

Il nostro è l’unico luogo del mondo in cui si è costretti a discutere di argomenti di questo genere. Continuo a sperare, con paziente determinazione, di occuparmi non di questi argomenti ma di come sviluppare e diffondere in tutto il pianeta, tutti insieme come Reggini Metropolitani, con creatività e intelligenza, il brand unico al mondo: il “Bergamotto di Reggio Calabria”, Principe Mondiale degli Agrumi.

Pertanto, il brand unico “Bergamotto di Reggio Calabria” è fondamentale più che mai nella comunicazione della società globale dei social. Senza l’uso del Brand unico anche le iniziative più brillanti sono destinate a esiti modesti e privi di prospettive.

Siamo giunti alla quarta edizione del “Premio Bergamotto di Reggio Calabria”, riconoscimento destinato a chi abbia contribuito con azioni, iniziative e/o opere alla promozione, diffusione e salvaguardia del Bergamotto di Reggio Calabria. Gli insigniti del 2023 sono stati:  l’avv. Ezio Pizzi, Presidente del Consorzio di Tutela del Bergamotto di Reggio Calabria, Presidente dell’Unionberg e instancabile promotore e diffusore anche mediatico  del Principe Mondiale degli Agrumi sino all’estensione della Dop europea del 2001 dall’olio essenziale al frutto e suoi derivati. Iniziativa presentata lo scorso lunedì con i partners Camera di Commercio, Università Mediterranea e tutte le associazioni di Coltivatori;  il Mastro Spiritaro Vincenzo Amodeo, esperto nell’estrazione antica a mano con spugna della preziosa essenza.

È la forma di estrazione che dà il risultato più intenso e gradevole, ricercato dai migliori profumieri del Mondo e dai nostri chef, pasticceri e gelatieri. Il Comitato per il Bergamotto di Reggio Calabria ha lanciato la proposta agli enti metropolitani e al Dipartimento di Agraria di organizzare un master o un Corso in cui il Mastro Spiritaro Amodeo insegni ai giovani questa arte antica il cui valore plurisecolare ha diritto a non venire disperso e a continuare nel futuro. Il Mastro ha offerto una suggestiva dimostrazione pratica della sua arte.

Per coerenza, con l’obiettivo primario di valorizzazione del prodotto identitario il Premio, sin dal 2019, è un manufatto realizzato artigianalmente dall’artista reggino Enzino Barbaro affiancato da Olga Mafrici con legno dello stesso preziosissimo agrume.

La conclusione più gradevole tocca all’arte della pasticceria e gelateria a base di Bergamotto di Reggio Calabria organizzata dalla Conpait (Confederazione Nazionale dei Pasticceri Italiani). Presente con il Tesoriere Nazionale Davide Destefano, con il Presidente Regionale Rocco Scutellà e con un gruppo di Pasticceri del territorio metropolitano. Il reggino Angelo Musolino – Presidente Nazionale dei Pasticceri Italiani – è stato presente con i suoi Dolci ma per la prima volta assente perché impegnato a tenere un Corso formazione a Berlino su invito della Confederazione dei pasticceri tedeschi. Una testimonianza ulteriore del valore della grande tradizione reggina e dell’area metropolitana dello Stretto.

In conclusione l’Incontro ormai tradizionale tra le due Eccellenze di Reggio Metropolitana ha confermato la positività della strategia proposta con costanza e determinazione dal Comitato per il Bergamotto di Reggio Calabria. Una strategia che ha come riferimento il no all’autolesionistico detto  “Reggio non ha venduto mai grano”. 

Con un sì al “Bergamotto di Reggio Calabria, che da secoli profuma il mondo, cura il mondo, delizia i palati del mondo”. (pa)