LA CORTE D'APPELLO DI REGGIO LO HA CONDANNATO (PENA SOSPESA) SOLO PER ABUSO D'UFFICIO A 18 MESI;
Mimmo Lucano

RIDATI ONORE E LIBERTÀ A MIMMO LUCANO
«L’EX SINDACO NON HA MAI PRESO UN EURO»

di SANTO STRATI – C’ è un giudice non solo a Berlino, ma anche a Reggio Calabria: in Corte d’Appello è stata riconosciuta l’onestà di Mimmo Lucano e riformata la sentenza di primo grado che lo aveva condannato a 13 anni e 2 mesi di reclusione. Gli è stato contestato soltanto l’abuso d’ufficio con una condanna (pena sospesa) a 18 mesi. L’ex sindaco di Riace, il “cittadino del mondo” (il prestigioso magazine Fortune lo aveva collocato nel 2016 al 40° posto tra i 50 leader più influenti del mondo), aveva avviato un riuscito modello di integrazione e inclusione multietnico e multiculturale, interrotto da un’inchiesta giudiziaria (Xenia) che gli imputava pesanti accuse: associazione per delinquere, truffa, peculato, falso e abuso d’ufficio. Un’enormità di infamanti sospetti, tramutati in pesanti accuse accolte dai giudici di primo grado che gli avevano inflitto una pena degna d’un criminale incallito, ma decisamente spropositata. I sostituti procuratori generali Adriana Fimiani e Antonio Giuttari in appello avevano accolto le tesi accusatorie ma richiesto una diminuzione della pena a 10 anni e 5 mesi. La difesa, rappresentata dagli avvocati Andrea Daqua e Giuliano Pisapia (già sindaco di Milano) hanno smontato la richiesta della pubblica accusa, definendo la ricostruzione dei fatti come un “accanimento non  terapeutico” e sostenendo che un uso distorto delle intercettazioni ha provocato uno stravolgimento dei fatti. Per cui ne hanno chiesto l’assoluzione.

La decisione della Corte d’Appello di Reggio che riconosce solo l’abuso d’ufficio (infliggendo una condanna di 18 mesi, con sospensione della pena) restituisce la libertà e soprattutto l’onore a Mimmo Lucano, che – come si evince dal dispositivo – non ha preso per sé mai un euro, spendendosi  a favore degli immigrati e della popolazione multietnica che a Riace aveva trovato rifugio, casa e lavoro.

Un modello, ripetiamolo, che, pur qualche inevitabile debolezza, avrebbe dovuto ispirare soluzioni ottimali per l’accoglienza e l’integrazione. Gli immigrati (soprattutto profughi se in fuga da guerra, miseria e povertà) possono costituire una risorsa pe  il nostro Paese se anziché mantenerli nei centri di accoglienza come “prigionieri” con qualche spicciolo per la vita quotidiana, si offrisse loro un percorso di formazione, inclusione e integrazione nel tessuto dei tanti borghi desolatamente spopolati della nostra Calabria. Quello che in un certo qual modo aveva provato a fare (riuscendoci in buona parte) Mimmo Lucano nella sua Riace, divenuta ben presto un simbolo di fraternità e accoglienza.

Quando venne condannato in primo grado, Lucano si era sfogato con i giornalisti: «La mia vicenda giudiziaria inizia con l’arrivo del nuovo prefetto di Reggio Calabria. Da subito il suo atteggiamento fu molto sospettoso: cercava di contrastare ciò che avevamo fatto fino ad allora a Riace». Perché «tanta violenza contro di me? – si era chiesto l’ex sindaco – Non mi spaventa la condanna la ma delegittimazione morale della mia persona e del mio operato».

Qualche settimana fa, Mimmo Lucano aveva scritto un’accorata lettera ai giudici: Sono passati cinque anni da quando sono stato arrestato con l’accusa infamante di svolgere la mia attività di accoglienza e integrazione dei migranti per finalità di carriera politica e di lucro. Sono passati due anni da quando mi è stata inflitta la condanna in primo grado a una smisurata pena detentiva quale non tocca spesso ai peggiori criminali. È passato un anno da quando la Procura generale ha nuovamente richiesto la mia pesante condanna che descrive il sottoscritto come responsabile di gravi reati e addirittura di essere stato il capo di un’associazione a delinquere. Ebbene, nel confermare piena fiducia agli avvocati difensori che si occupano della mia sorte, condividendone le argomentazioni difensive, una sola cosa sento il bisogno di dichiarare a voi, rispettosamente, prima che vi riuniate in camera di consiglio. Ho vissuto anni di grande amarezza e di sfiducia nella giustizia, non solo e non tanto per la limitazione della libertà personale, quanto per l’ingiusta campagna di denigrazione che si è abbattuta sull’esperienza di ripopolamento del borgo vecchio di Riace aperto all’accoglienza dei migranti. Non appena è stato possibile, durante questi anni di iter processuale, ho continuato a dedicarmi a tempo pieno, da privato cittadino, alla riapertura e alla gestione del Villaggio globale di Riace che ha ospitato e continua ad ospitare bambini e persone con fragilità. Non si è interrotta, dunque, quella che considero la missione della mia vita, a prescindere da incarichi pubblici e finanziamenti statali. Altro che associazione a delinquere. Al termine di questo processo vi invito a visitare il Villaggio Globale di Riace, sarete i benvenuti».

In buona sostanza, non hanno retto in appello le tesi accusatorie che avevano portato i giudici di Locri a emettere, in primo grado, una sentenza clamorosa e decisamente, a prima vista, spropositata.

Ai microfoni della webzine reggina CityNow, Mimmo Lucano, poco dopo aver appreso la sentenza non ha nascosto l’immensa soddisfazione: «Sono contento per tutti quanti ancor prima che per me stesso – ha detto  –. C’è tanta emozione, la speranza non mi aveva mai abbandonato. Oggi è la fine di un incubo, è il senso di essere libero di nuovo. Sono stati anni lunghi, che hanno influito sulla mia vita e sul mio carattere. Non mi sembra vero quello che ho vissuto, ancora oggi penso ‘ma che cosa ho fatto?’.

«Mi dedicavano film e canzoni, il modello Riace veniva elogiato in tutto il mondo e parallelamente c’era un’azione giudiziaria nei miei confronti. Impossibile da capire, Tutto è sempre stato fatto in maniera spontanea.

«Riace è stata un’idea globale nata qui e apprezzata in tutto il mondo. Qual è il segreto? nessuno, tutto è stato fatto per andare incontro al dramma che vivono le persone. Ad un certo punto una bella pagina era diventata una storia criminale.  Come è possibile che un documento di identità fatto da me diventava un reato penale? Avevo capito benissimo che c’era qualcosa dietro, volevano cancellare una pagina di umanità. Su di me non potevano trovare nulla perchè non ho nulla. Anche il colonnello della Guardia di Finanza ha chiarito durante il processo, ‘il sindaco non aveva alcun interesse economico’».

La sua compagna insieme con gli altri 16 imputati è stata assolta, il processo accusatorio fondato sul nulla si è momentaneamente concluso. E ora cosa farà Lucano? Sempre a CityNow ha dichiarato: «Non posso immaginare oggi il mio futuro, è troppo presto. Di sicuro sarebbe bello che quel sogno di una Calabria diversa e rivoluzionaria possa ricominciare. Io ho provato in tutti i modi a portarlo avanti, evidenziando come i migranti possono diventare una risorsa.  Il sogno di una giustizia vera oggi è rinato con questa sentenza. L’insegnamento ricevuto? Che anche nei momenti più bui e difficili, tutto può rinascere».

La difesa dell’ex sindaco ha insistito sul fatto che l’innocenza di Lucano fosse “documentalmente provata” e fatto rilevare che la trascrizione delle intercettazioni non fosse fedele: un po’ quello che è avvenuto con la vicenda dell’ex senatore Marco Siclari, condannato in primo grado a 5 anni per mafia, e poi completamente assolto in Appello, quando è stato riconosciuto un vero stravolgimento del contenuto di intercettazioni, che se fossero state trascritte in modo corretto avrebbero dimostrato da subito la totale estraneità del politico di Villa San Giovanni.

Per Mimmo Lucano è avvenuta più o meno la stessa cosa e l’uso delle intercettazioni (legittime e fino a oggi utilissime per stanare e condannare veri criminali) quando non smodato deve però offrire la massima limpidezza nelle trascrizioni. Ne tenga conto il Ministro della Giustizia Nordio: non vanno abolite, ci mancherebbe, ma va tutelato il principio di non colpevolezza, sancito dalla Costituzione, e salvaguardata la privacy di persone estranee alle indagini.

Per troppo tempo il tribunale mediatico di molta stampa ha condannato anzitempo e anche solo per un indizio persone perbene (poi riconosciute estranee ai fatti delittuosi delle accuse) che si sono viste rovinare reputazione, attività lavorativa, la vita stessa, con famiglie rovinate e messe in seria difficoltà.

Ha esultato l’avv. Giuliano Pisapia che aveva preso molto a cuore la vicenda di Lucano: «La decisione della corte d’Appello testimonia che Mimmo Lucano ha sempre operato per i soggetti più deboli e mai per se stesso. Sentenza importante sia dal punto di vista giuridico che sociale. Sentenza dalle ripercussioni politiche? Un conto è la giustizia, un’altra è la politica. Quando la politica entra nelle aule, la giustizia ne esce inorridita. Oggi parliamo di giustizia e di diritti. La sentenza di oggi fa emergere la giustizia, in nome di tutte le persone che si sono spese per i più deboli. Una sentenza del genere, riconosciuta da giudici giusti, mi ha emozionato».

Il famoso giudice di Berlino di Bertolt Brecht dovrebbe essere, però, ovunque, perché prevalga la verità: siano condannati, senza esitazione a fronte di prove certe,  i mafiosi, i corrotti, i malavitosi di mestiere e chiunque delinque, ma sia rispettato, sempre e comunque, l’imprescindibile principio di innocenza.  (s)

(Foto di copertina courtesy Telemia)