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Gianfranco Maiolo

Soverato piange Gianfranco Maiolo

di FRANCO CIMINO – È morto Gianfranco Maiolo. Soverato è più povera. Se n’è andato così, improvvisamente.
Il giorno stesso – sette giorni fa – dell’attacco violento che l’ha colpito in piena vitalità, mentre continuava il progetto della sua vita, e della sua vita spesa per gli altri.
I sei giorni di lotta clinica per restare qui non contano. Conta quell’attimo in cui Gianfranco se n’è andato. E facendo rumore, lui che è stato per tutta la vita timido, discreto, riservato, quasi in soggezione. Mai, appunto, facendo rumore.
E invece ora chiasso da vivacità incontenibile, turbolento, per quell’istinto che si accende in tutti noi quando vogliamo per forza litigare su qualcosa, con qualcuno, per qualcosa e per qualcuno.

Rumoroso, turbolento, chiassoso: Gianfranco non lo è stato neppure per quella passione e per quell’amore sempre accesi, da quando praticamente è nato, cioè nato alla vita sociale, all’impegno per gli altri, alla comprensione del ruolo che ciascuno di noi deve avere nella società per poterla servire secondo gli ideali palpitanti in noi.
La sua grande passione: la Politica.
Il suo grande amore: la Democrazia Cristiana.
La sua passione: il Comune.
Il suo amore infinito: Soverato.
E di queste passioni, di questi amori soltanto dico, perché non posso neppure mentalmente raggiungere quelli che lui nutriva per la sua famiglia.
Quella originaria – genitori, fratelli, cugini, nipoti – e quella costruita dalle sue mani e dal suo cuore: l’amore per la moglie, inseparabile, compagna anche nelle cose più semplici della quotidianità, come andare a mangiare con gli amici, al cinema, al teatro. Oppure a prendere un gelato al bar. Andare a fare la spesa. Sempre insieme. E sempre insieme nella passeggiata di tutti i giorni, per tutta la loro vita.
E sempre passeggiata nella sua amata Soverato, della quale conosceva tutto e tutti.
In quel “tutti” c’erano anche i soveritani di adozione, di scelta, di residenza, di turismo. Se volevi sapere qualcosa – fatti, storie, storia, cultura, tradizioni e persone – bastava domandare a lui, e ricevevi notizie precise, dettagliate, pulite, serie, oneste.
Notizie e fatti mai attraversati da pettegolezzo, dai quali la sua serietà informativa salvava tutti: fatti e persone.
Per ognuno aveva comprensione e giustificazione; per ogni fatto, la capacità di analisi e di interpretazione.
Gianfranco, sempre al lavoro per Soverato.
Nel Comune, dove umilmente era al servizio di ogni settore per rispondere alle esigenze di ogni cittadino. Sempre in attività. Sempre al servizio dei bisogni e dei sogni. Mai degli interessi.
Io, segretario provinciale di quel suo partito, lo vedevo sempre presente a tutte le nostre più importanti manifestazioni, dovunque in provincia si celebrassero: comizi, congressi, convegni, dibattiti di vario genere.
Lo ricordo ancora più particolarmente quando seguivo le vicende del Comune di Soverato, in quegli anni accesi di politica vera, nei quali la Democrazia Cristiana aveva un ruolo predominante, con la sua forza preponderante, quasi maggioritaria.
Di quel Comune, tranne pochi anni, la DC aveva la guida.
E, come nei grandi partiti, le divisioni e qualche conflitto erano di casa.
In tutte queste riunioni, tra le più vivaci, lui era sempre moderatore. Operava per realizzare accordi nell’interesse esclusivo della città. Non partecipava alle piccole liti interne e, per il superamento delle stesse, personalmente si impegnava.
Di lui si fidavano tutti, per la sua onestà e sincerità, innanzitutto.
E per il suo totale disinteresse personale riguardo agli equilibri cosiddetti di potere. Potere che non ha mai cercato per sé in alcun modo.
Eppure, per il prestigio di cui godeva, per l’intelligenza di cui nutriva la sua azione, per la sua coerenza e fedeltà, di certo lo avrebbe meritato, ottenendolo pure.
Ma Gianfranco era così come lo si vedeva: semplice, umile, buono, generoso, cortese, affabile, educato.
Rispettoso di persone e istituzioni. Rispettoso soprattutto verso l’autorità: autorità in quanto figura nella quale si concentravano carisma e regole, responsabilità e capacità di guida.
Dicevo di Gianfranco: tipo particolare. E lo era davvero.
“Tipo” perché aveva una fisionomia complessiva tutta sua, da quella fisica a quella caratteriale. “Tipo particolare” perché una figura come la sua, così piena di qualità umane, è davvero difficile trovarla.
Gianfranco, oserei definirlo figura identitaria.
Una di quelle che racchiudono in sé tanti elementi di quell’identità nella quale ci si possa riconoscere.
Ecco, lo dico: un uomo autentico della Soverato calabrese, nazionale, si dica pure internazionale; in lui si può riconoscere, riconoscendo Soverato.
Bello, eh!
Basterebbe soltanto questo perché si sia vissuti pienamente. E lui ha vissuto pienamente.
Basterebbe solo questo, per chi l’avesse conosciuto, per sentire amore per lui. E gratitudine.
Basterebbe soltanto questo per portare ciascuno di noi a dirgli due parole, entrambe capaci di metterlo in difficoltà.
La prima: grazie, e vederlo schernirsi, e con il suo sorrisetto ironico fare un passo indietro, quasi a nascondersi dietro una parete.
La seconda: “Gianfranco, ti voglio bene”, per vederlo arrossire come un bambino.
E allora, inizio io, in questo giorno dell’ultimo saluto:
“Ciao, Gianfranco. Grazie. Ti voglio bene.”   (fc)