di VINCENZO SPEZIALI – Questo ennesimo e doloroso anniversario della morte del Presidente Aldo Moro (sono passati ben quarantacinque lunghissimi e strazianti anni) lo si vive – o così dovremmo tutti fare o almeno in tal modo sento io di farlo io! – all’insegna della sua devozione e cercando di essere come lui ci ha insegnato.
Moro, sempre Moro, solo Moro, è colui il quale rappresenta, da par suo, il patrimonio ideologico comune di questa indecente ed ingloriosa diaspora democristiana, la quale avverso con tutte le mie forze e che farò in modo, con tanti amici con cui sono in contatto e in stretto rapporto, di far cessare, al di là di quelle stupide e becere beghe, di qualcuno, per di più sobillatto da ‘servizi stranieri’, che tenta di ridicolizzare oltremodo, brandendo azioni giudiziarie (a loro volta, come si sa, non attinenti alla politica!).
È Moro, sempre Moro, solo Moro, che continua ad accompagnarmi, ogni giorno della mia vita, in qualsiasi momento, in qualunque iniziativa pubblica e privata, ma sempre all’insegna della passione e della coerenza, anzi, veglia su di me, come sempre è stato.
Difatti, nei miei ricordi di bambino, ho ben impresso la foto rituale di quei tragici ’55 giorni’, quando lo vedevo nei TG con il volto pensoso e al tempo stesso dolce e mite.
Fu lì, in quei momenti, che capì io stesso si essere un democristiano, quindi di appartenente alla più bella e grande storia del Novecento, non solo italiano, bensì mondiale.
Non un passo indietro, perciò, lungo il tracciato della nuova costituente democristiana, per la quale si sta spendendo anche il Presidente dell’Internazionale DC Amine Gemayel – che ringrazio per i suoi sforzi e per avermi delegato in sua vece a far si che io sovraintenda il tavolo nazionale – ma come non mai, tutto ciò lo dobbiamo al Presidente Moro, per il quale non mi stancherò di chiedere giustizia e verità.
L’OPINIONE / Franco Cimino: Il 45esimo di Aldo Moro nel 75esimo della Costituzione
di FRANCO CIMINO – Il Quarantacinquesimo anniversario della scomparsa di Aldo Moro coincide con il settantacinquesimo della nascita della Costituzione ( ancora in corso), di cui egli è stato uno dei padri benché fosse molto giovane quando si mise a lavorare all’Assemblea Costituente.
Trentuno anni, pensate. Il mio primo pensiero, pertanto, va innanzitutto ai giovani. A quelli che si ribellarono in armi per contribuire a liberare l’Italia, quelli che poterono scendere dalle montagne per mettersi alla testa del corteo che sfilò lungo le strade principali delle città liberate dai fascisti oppressori e dai nazisti invasori. Penso ai giovani che sulle montagne della Resistenza vi rimasero col fucile in mano e il petto squarciato, e nelle tasche due lettere, le solite dei nostri partigiani.
La prima alla propria madre, la seconda ai compagni assicurandoli che gli aguzzini che li avrebbero fatti prigionieri sarebbero rimasti senza speranza di un loro cedimento o di un loro tradimento degli ideali per cui già decisero, quei ragazzi, di poter sacrificare la vita. Mi piacerebbe averle adesso per poterle leggere tutte d’un fiato ai miei studenti di tutti gli anni della mia cattedra. E a quelli che incontrerò stamattina in un Istituto di Scuola Superiore di Lamezia, il Polo tecnologico C. Rambaldi. Ogni lettera, una poesia d’Amore. Per la famiglia. Per il Paese. Per i figli. Per la Libertà. Una poesia, tutte insieme quelle epistole, all’Amore, che ciascuno di quei beni contiene, ciascuno di quei valori rappresenta. Esalta. Difende.
Il mio pensiero va anche a quei ragazzi che dopo la guerra e la caduta del regime nascosero la loro passiva, obbligata, fedeltà al fascismo, mescolandosi ai tanti altri non fascisti, ma non furono anti perché intimiditi dalla pigra paura di contrastarlo apertamente. A quei giovani, pure, che si rifiutarono di servire la dittatura evitando di esserne asserviti. Azione costante, questa, che svolsero con l’arma dello studio intenso, ovvero della fede, laica per la Libertà, e religiosa per il Dio della Pace e della Vita. Religiosità e studio, per farsi trovare pronti, dopo la guerra, a servire l’Italia con la Politica e per la sua immediata ricostruzione morale, civile, materiale. Le macerie della dittatura e della guerra erano lì, come innumerevoli montagne di calcinacci, pietre e mattoni, cattiverie e inganni. E non era per nulla facile rimuoverle. Non era per nulla facile sostituirle per metterci lo sviluppo e la ricchezza al loro posto.
Ci voleva una forza straordinaria a sostegno. Una forza che si facesse popolo ancora più unito. Una forza che fosse la più rapida iniezione di fiducia nell’avvenire. Ed energia, anche fisica e mentale, per portare instancabilmente carriola e libri, braccia e saggezza, martello, falce e pennello, aratro e cattedre, banchi di scuola e banco di falegname, terra e fabbrica, principi cristiani e ideali laici e socialisti, nel nuovo immenso cantiere dell’Italia democratica. Questa energia era la Costituzione appena varata. Ne bevevi un sorso e ti sentivi un leone. Ne bevevi ancora, e ti trasformavi in un lottatore imbattibile. Ne gustavi ancora e poi ancora, e ti sentivi di volare. Volare in alto fino a cielo. Come gli angeli. E volare più radente, come gli uccelli, per vedere la distruzione che via via si trasformava in ricostruzione. Volare sopra le miserie umane per sentire nelle ali l’aria fresca e pulita della Libertà. Il mio pensiero di questo quarantacinquesimo nove maggio “moroteo”, va anche ai ragazzi di oggi. A tutti i ragazzi di oggi, dai più piccoli fino ai giovani compresi tra gli anni del Moro costituente e quelli di quell’età più avanzata che vuole ancora lasciarli “giovani” lontani da un impegno politico consapevole e da una coscienza ribelle. A loro, soprattuto a loro, questo mio pensiero, affinché, abbandonino le verità ingannevoli del sistema globalizzato e totalizzante, e si impossessino degli spazi della democrazia in pericolo. E si battano per riaffermarla, viva e forte, sopra gli egoismi, gli egemonismi, anche nazionalistici, per instaurare una società in cui si realizzino pienamente i principi della nostra Carta Fondamentale. Soprattutto, uno, quello non codificato, ma che ha rappresentato il primo traguardo raggiunto.
Traguardo, poi dimenticato, abbandonato. Disturbato fino al suo progressivo indebolimento. Il traguardo che ha reso la nostra Democrazia la più originale tra le altre nel mondo. Pochi, o forse nessuno, nemmeno gli States, possono vantare di aver realizzato lo sviluppo economico senza aver diminuito di un grammo il peso della Libertà. L’Italia può vantarsi di aver messo in pratica questo principio. Qui, da noi, per tutta la lunga stagione della crescita economica, Libertà e Sviluppo hanno camminato di pari passo, mano nella mano, quale condizione necessaria al cammino progressivo della Civiltà. Democrazia e ricchezza sono rimaste intrecciate. Persona e godimento sociale della ricchezza, sono rimaste sempre l’una necessaria all’altra. Natura e cultura, le ancelle di un’economia fondata sul corretto rapporto tra chi può e deve fare e tra chi non può e deve avere, ciascuno secondo le proprie capacità, ciascuno secondo il proprio fondamentale bisogno. Creatività individuale e solidarietà sociale, cittadino e società, istituzioni e Politica, con al centro la Persona. La Persona da cui diramano tutti i più importanti valori da essa posseduti. La Libertà, che la Costituzione riconosce, non concede.
E il pluralismo, delle istituzioni, in particolare, quale mezzo per la “liberazione” dello spirito di autonomia dei territori e quale strumento privilegiato per la partecipazione dei cittadini alla vita del Paese e alla vitalità del luogo in cui vivono e operano con la propria famiglia, agenzia educativa che, con la scuola, concorre alla formazione del proprio giovane, il cittadino di lunga cittadinanza. Cittadinanza speciale, perché italiana ed europea nell’Europa dei senza confini e delle nuove frontiere. E di quella prateria sconfinata del bello arcobaleno che le colora il cielo. Ah, le istituzioni, le nostre, declinate sempre al plurale e senza aggettivazioni che determinino una sorta di classificazione di valori e importanza. Proprio come ieri, l’otto maggio del 1948, nasce il Parlamento democratico e nell’aula di Palazzo Madama, dove avrà sede, si riunisce per la prima seduta il Senato della Repubblica.
La Democrazia ha finalmente le gambe per camminare, la testa per pensare, la voce per parlare, il potere di decidere. È il Parlamento il luogo delle decisioni fondamentali per il funzionamento dello Stato e per l’azione del governo. È il Parlamento il custode più alto della Costituzione e dei suoi principi. È il Parlamento il luogo della sicurezza dell’impalcatura democratica, le sue fondamenta più profonde. Le riforme che la Politica e le forze che la rappresentano proprio in quel luogo, si dispongano alla prudenza e alla responsabilità e si nutrano, con i loro promotori, dello spirito costituzionale prima di confondere il bisogno di governabilità e di efficacia dell’azione dell’Esecutivo con la forza ineludibile parlamentare esercitata dalla più larga rappresentanza popolare “parlamentarizzata”. Il tentativo, che nuovamente ricorre, di ridurre gli spazi del Parlamento, quindi, per allargare quelli del Governo, a discapito della forza del primo, è pericoloso per la qualità della nostra Democrazia.
Ancora più pericoloso di quel sistema elettorale che da più di vent’anni consente ai capi partito senza partito, di nominare deputati e senatori e, di conseguenza, tutte le più altre cariche dello Stato. Ricordare Aldo Moro, oggi, rendergli omaggio al di là della sua morte tragica, di cui non parlo proprio per liberare il suo pensiero dall’orrore che ha investito la sua bella persona, significa onorare la Costituzione, difenderla da eventuali assalti indebitamente “riformatori”, vigilare sulla sua essenza, operare per renderla più libera di attuarsi in tutti i suoi principi. Specialmente, quelli a cui Moro teneva maggiormente, e di cui in sintesi ho detto in questa riflessione. Moro non è più il prigioniero delle Brigate Rosse che si dichiaravano rivoluzionari. Aldo Moro è il vero rivoluzionario. Colui che la storia ci consegnerà come il più grande statista europeo al pari di De Gasperi, è ciò che lui ha contribuito a fare per il suo popolo e per la Pace nel mondo. Aldo Moro è l’uomo della Costituzione.
Il filosofo della Libertà. L’architetto della Democrazia. Il partigiano nuovo caduto sul campo di battaglia. L’uomo che ama fino all’ultimo respiro, tenendo in mano il Rosario della sua fede cristiana e sulle labbra le parole d’amore per la sua amata, Norina. (fc)