Aldo Moro e questo 16 marzo diverso dalla retorica e dai rituali

di FRANCO CIMINO – Fra tre anni da questo 16 marzo saranno 50 anni da quella tragedia che ha messo in ginocchio il nostro Paese, creando seri pericoli per la tenuta della Democrazia.

Cinquant’anni sono tanti nella vita delle persone. Quelle che ne avevano pochi o molti di più quel tragico giorno, ne portano un ricordo struggente. I più politicamente avvertiti tra loro, recano anche quello del vibrante sentire quel pericolo. E i segni delle battaglie democratiche, che hanno condotto in quelle piazze dell’allora unità possibile del popolo italiano.

Battaglia dura in quel non breve periodo di spari e sangue, di agguati contro persone inermi e di attacchi mirati contro la democrazia italiana e le istituzioni. Molti di quelle persone non ci sono più. Sono andate via con quelle preoccupazioni sulla pelle e i numerosi perché irrisolti. I tanti che siamo rimasti viviamo nello stesso dolore di allora. E nelle preoccupazioni che su di esso sono rimaste. E nelle domande, che ancora ci poniamo sulle ombre ancora fitte, che dalla via Fani del rapimento di Aldo Moro e della strage della sua scorta, si sono allungate fino a via Caetani, il luogo del ritrovamento della famosa Renault rossa nel cui bagagliaio, rannicchiato, stava il corpo trucidato da decine di pallottole del leader della Democrazia Cristiana.

Quelle ombre sono andate molto più avanti, negli spazi e nel tempo. La barbara esecuzione di Aldo Moro, la strana impossibilità di salvarlo, nonostante l’intervento di tutte le forze dell’Ordine e della polizia di mezzo mondo, dei più potenti Servizi Segreti di paesi fortissimi, dell’intervento non solo spirituale della Chiesa e di Paolo VI, il suo Pontefice, lascia ancora quelle ombre lunghe nere, intatte sul pavimento della Democrazia italiana.

La cronaca, che ancora non riesce a farsi storia, i molti processi ai responsabili scoperti di quelle orribili stragi, le decine di condanne a centinaia di anni di carcere mai completamente scontati dagli assassini e dai rapitori, lasciano aperta quella porta che si è tentato mille volte di sbarrare. Sul dolore. Sulla morte. Sulla Giustizia, che quel dolore e quelle morti reclamano in nome della Democrazia, per la vitalità della quale si sono (sono stati) immolati cinque uomini belli. E un uomo bellissimo. Eroi che non avrebbero però voluto esserlo. Almeno nel modo in cui sono stati annoverati.

Io ancora sono convinto, come quel primo giorno di quarantasette anni fa, che giustizia completa non sia stata fatta. Che i veri colpevoli della morte del grande statista, i poteri interni e internazionali che hanno approfittato, senza avere complottato con le Brigate Rosse, della stupida follia di un manipolo di illusi e velleitari soldati della rivoluzione impossibile, per cancellare dalla scena politica interna e internazionale di uno dei più grandi statisi della storia. Il più importante sicuramente dell’Europa di quel tempo.

Oggi, pertanto, voglio parlare solo di lui, dopo aver adagiato il mio cuore su quello di Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Francesco Zinzi, Raffaele Iozzino, gli uomini coraggiosi assassinati per difenderlo. Aldo Moro era un uomo mite e buono, l’intellettuale profondo nella sua costante filosofia sulla libertà, l’uomo di Stato di grandi capacità, il politico intelligente e lungimirante, l’analista profondo delle problematiche sociali e l’autentico profeta del divenire della società e della Democrazia.

Moro, il politico dalle profonde visioni del mondo, il sognatore “concreto” della mondo più bello. Del futuro più luminoso. Leader riconosciuto da tutti e da molti rispettato e seguito. In particolare, nelle sue ultime analisi sullo stato della democrazia italiana e sui rimedi che unitariamente si sarebbero dovuti adottare per rafforzarla e ampliarla. Anche attraverso quella straordinaria e coraggiosa strategia di allargamento degli spazi di partecipazione diretta al governo del Paese, che coinvolgesse il Partito Comunista, sotto quella formula denominata (non da lui, in verità) “compromesso storico”.

Molti osservatori e studiosi pensano ancora che la convergenza di interessi sulla “convenienza “ della morte del leader della Democrazia Cristiana riguardasse proprio il Compromesso Storico e la piena legittimazione del Partito Comunista quale forza democratica avente il pieno diritto a governare, in alleanza con il suo antagonista, nella fase d’emergenza.

E nel domani immediato, secondo la formula dell’alternanza sancita dal voto popolare. Gli Stati Uniti e L’Unione Sovietica insieme a temere, per opposti interessi, la stessa cosa, assai pericolosa per loro. Io credo che non sia questo il vero motivo dell’avversione nei confronti del politico geniale. Aldo Moro, pochi lo sanno, è stato un grande tessitore dei nuovi equilibri mondiali. Un grande uomo di pace, costruttore, sulla scia del pensiero di De Gasperi, della Pace nel mondo.

Tre erano i capisaldi del suo pensiero sulla Pace. Il primo: La definizione, con completamento, del progetto dell’unità europea, attraverso la nascita effettiva dell’Unione degli Stati d’Europa, quale istituzione democratica, entità libera, autonoma e indipendente. E democratica, dai saldi principi di ispirazione cristiana. Il secondo: un Piano economico straordinario da parte dei Paesi Occidentali per fare uscire i paesi emarginati e poveri dallo stato di arretratezza nel quale si trovavano da sempre, aggravato il quale l’intero pianeta sarebbe stato meno sicuro. Sia per le guerre regionali che sarebbero esplose, sia per l’imponente moto migratorio che si sarebbe avviato senza forza che lo potesse arrestare.

Terzo: la Questione Mediorientale, nella quale sarebbe esplosa la rabbia del popolo palestinese in lotta legittima per avere la patria e lo Stato di cui hanno diritto. E nel proprio territorio, che storicamente li attende. Senza la soluzione della questione palestinese, senza la costruzione di uno Stato palestinese libero e autonomo, riconosciuto dal mondo intero, il pianeta sarebbe andato in fiamme.

E lo stesso Israele, che faticosamente aveva realizzato nell’immediato secondo dopoguerra il suo libero Stato, non sarebbe stato al sicuro. Il mondo nel suo complesso non sarebbe stato al sicuro. La guerra, nelle sue diverse forme, anche terroristiche, sarebbe tornata a essere lo strumento privilegiato non soltanto per la soluzione dei conflitti, ma per la definizione dei nuovi equilibri di potere nel pianeta.

Aldo Moro, nei molteplici ruoli di governo, in particolare quello di ministro degli Esteri, si è tenacemente battuto per realizzare quel progetto da lui stesso pensato ed elaborato. Da quel tempo in qua, il mondo è quello che Moro aveva temuto, rispetto al quale ci aveva avvertito, profetizzando incredibilmente gli scenari drammatici cui stiamo assistendo. Oggi, questa ricorrenza, per essere pienamente compresa e moralmente rispettata, va collocata in quel fatto, in quella storia non narrata.

E in questa tragedia di una umanità tenuta sotto sequestro dalle forze di tipo imperialista, che volevano, e ancora vogliono, che essa sia frantumata in tanti pezzi piccoli e deboli, per risultare più facile imporre il potere dei più forti. E quello dei vecchi e nuovi prepotenti. I vecchi e nuovi predatori egoisti.

Oggi il 16 marzo del 1978, è un atto di protesta contro le guerre e contro le povertà. È, insieme, un richiamo ai valori che l’insegnamento di quel grande statista, l’uomo buono e il politico onesto, ha lasciato agli uomini e alle donne di buona volontà. Ai desiderosi di Pace. Ai sinceri costruttori della Pace. Quella vera. della giustizia e della libertà. Per tutti. popoli e persone. (fc)

L’OPINIONE / Vincenzo Speziali: Anniversario morte Moro sia vissuto all’insegna della sua devozione

di VINCENZO SPEZIALI – Questo ennesimo e doloroso anniversario della morte del Presidente Aldo Moro (sono passati ben quarantacinque lunghissimi e strazianti anni) lo si vive  – o così dovremmo tutti fare o almeno in tal modo sento io di farlo io! – all’insegna della sua devozione e cercando di essere come lui ci ha insegnato.
Moro, sempre Moro, solo Moro, è colui il quale rappresenta, da par suo, il patrimonio ideologico comune di questa indecente ed ingloriosa diaspora democristiana, la quale avverso con tutte le mie forze e che farò in modo, con tanti amici con cui sono in contatto e in stretto rapporto, di far cessare, al di là di quelle stupide e becere beghe, di qualcuno, per di più sobillatto da ‘servizi stranieri’, che tenta di ridicolizzare oltremodo, brandendo azioni giudiziarie (a loro volta, come si sa, non attinenti alla politica!).
È Moro, sempre Moro, solo Moro, che continua ad accompagnarmi, ogni giorno della mia vita, in qualsiasi momento, in qualunque iniziativa pubblica e privata, ma sempre all’insegna della passione e della coerenza, anzi, veglia su di me, come sempre è stato.
Difatti, nei miei ricordi di bambino, ho ben impresso la foto rituale di quei tragici ’55 giorni’, quando lo vedevo nei TG con il volto pensoso e al tempo stesso dolce e mite.
Fu lì, in quei momenti, che capì io stesso si essere un democristiano, quindi di appartenente alla più bella e grande storia del Novecento, non solo italiano, bensì mondiale.
Non un passo indietro, perciò, lungo il tracciato della nuova costituente democristiana, per la quale si sta spendendo anche il Presidente dell’Internazionale DC Amine Gemayel – che ringrazio per i suoi sforzi e per avermi delegato in sua vece a far si che io sovraintenda il tavolo nazionale – ma come non mai, tutto ciò lo dobbiamo al Presidente Moro, per il quale non mi stancherò di chiedere giustizia e verità.

L’OPINIONE / Franco Cimino: Il 45esimo di Aldo Moro nel 75esimo della Costituzione

di FRANCO CIMINO – Il Quarantacinquesimo anniversario della scomparsa di Aldo Moro coincide con il settantacinquesimo della nascita della Costituzione ( ancora in corso), di cui egli è stato uno dei padri benché fosse molto giovane quando si mise a lavorare all’Assemblea Costituente.

Trentuno anni, pensate. Il mio primo pensiero, pertanto, va innanzitutto ai giovani. A quelli che si ribellarono in armi per contribuire a liberare l’Italia, quelli che poterono scendere dalle montagne per mettersi alla testa del corteo che sfilò lungo le strade principali delle città liberate dai fascisti oppressori e dai nazisti invasori. Penso ai giovani che sulle montagne della Resistenza vi rimasero col fucile in mano e il petto squarciato, e nelle tasche due lettere, le solite dei nostri partigiani.

La prima alla propria madre, la seconda ai compagni assicurandoli che gli aguzzini che li avrebbero fatti prigionieri sarebbero rimasti senza speranza di un loro cedimento o di un loro tradimento degli ideali per cui già decisero, quei ragazzi, di poter sacrificare la vita. Mi piacerebbe averle adesso per poterle leggere tutte d’un fiato ai miei studenti di tutti gli anni della mia cattedra. E a quelli che incontrerò stamattina in un Istituto di Scuola Superiore di Lamezia, il Polo tecnologico C. Rambaldi. Ogni lettera, una poesia d’Amore. Per la famiglia. Per il Paese. Per i figli. Per la Libertà. Una poesia, tutte insieme quelle epistole, all’Amore, che ciascuno di quei beni contiene, ciascuno di quei valori rappresenta. Esalta. Difende.

Il mio pensiero va anche a quei ragazzi che dopo la guerra e la caduta del regime nascosero la loro passiva, obbligata, fedeltà al fascismo, mescolandosi ai tanti altri non fascisti, ma non furono anti perché intimiditi dalla pigra paura di contrastarlo apertamente. A quei giovani, pure, che si rifiutarono di servire la dittatura evitando di esserne asserviti. Azione costante, questa, che svolsero con l’arma dello studio intenso, ovvero della fede, laica per la Libertà, e religiosa per il Dio della Pace e della Vita. Religiosità e studio, per farsi trovare pronti, dopo la guerra, a servire l’Italia con la Politica e per la sua immediata ricostruzione morale, civile, materiale. Le macerie della dittatura e della guerra erano lì, come innumerevoli montagne di calcinacci, pietre e mattoni, cattiverie e inganni. E non era per nulla facile rimuoverle. Non era per nulla facile sostituirle per metterci lo sviluppo e la ricchezza al loro posto.

Ci voleva una forza straordinaria a sostegno. Una forza che si facesse popolo ancora più unito. Una forza che fosse la più rapida iniezione di fiducia nell’avvenire. Ed energia, anche fisica e mentale, per portare instancabilmente carriola e libri, braccia e saggezza, martello, falce e pennello, aratro e cattedre, banchi di scuola e banco di falegname, terra e fabbrica, principi cristiani e ideali laici e socialisti, nel nuovo immenso cantiere dell’Italia democratica. Questa energia era la Costituzione appena varata. Ne bevevi un sorso e ti sentivi un leone. Ne bevevi ancora, e ti trasformavi in un lottatore imbattibile. Ne gustavi ancora e poi ancora, e ti sentivi di volare. Volare in alto fino a cielo. Come gli angeli. E volare più radente, come gli uccelli, per vedere la distruzione che via via si trasformava in ricostruzione. Volare sopra le miserie umane per sentire nelle ali l’aria fresca e pulita della Libertà. Il mio pensiero di questo quarantacinquesimo nove maggio “moroteo”, va anche ai ragazzi di oggi. A tutti i ragazzi di oggi, dai più piccoli fino ai giovani compresi tra gli anni del Moro costituente e quelli di quell’età più avanzata che vuole ancora lasciarli “giovani” lontani da un impegno politico consapevole e da una coscienza ribelle. A loro, soprattuto a loro, questo mio pensiero, affinché, abbandonino le verità ingannevoli del sistema globalizzato e totalizzante, e si impossessino degli spazi della democrazia in pericolo. E si battano per riaffermarla, viva e forte, sopra gli egoismi, gli egemonismi, anche nazionalistici, per instaurare una società in cui si realizzino pienamente i principi della nostra Carta Fondamentale. Soprattutto, uno, quello non codificato, ma che ha rappresentato il primo traguardo raggiunto.

Traguardo, poi dimenticato, abbandonato. Disturbato fino al suo progressivo indebolimento. Il traguardo che ha reso la nostra Democrazia la più originale tra le altre nel mondo. Pochi, o forse nessuno, nemmeno gli States, possono vantare di aver realizzato lo sviluppo economico senza aver diminuito di un grammo il peso della Libertà. L’Italia può vantarsi di aver messo in pratica questo principio. Qui, da noi, per tutta la lunga stagione della crescita economica, Libertà e Sviluppo hanno camminato di pari passo, mano nella mano, quale condizione necessaria al cammino progressivo della Civiltà. Democrazia e ricchezza sono rimaste intrecciate. Persona e godimento sociale della ricchezza, sono rimaste sempre l’una necessaria all’altra. Natura e cultura, le ancelle di un’economia fondata sul corretto rapporto tra chi può e deve fare e tra chi non può e deve avere, ciascuno secondo le proprie capacità, ciascuno secondo il proprio fondamentale bisogno. Creatività individuale e solidarietà sociale, cittadino e società, istituzioni e Politica, con al centro la Persona. La Persona da cui diramano tutti i più importanti valori da essa posseduti. La Libertà, che la Costituzione riconosce, non concede.

E il pluralismo, delle istituzioni, in particolare, quale mezzo per la “liberazione” dello spirito di autonomia dei territori e quale strumento privilegiato per la partecipazione dei cittadini alla vita del Paese e alla vitalità del luogo in cui vivono e operano con la propria famiglia, agenzia educativa che, con la scuola, concorre alla formazione del proprio giovane, il cittadino di lunga cittadinanza. Cittadinanza speciale, perché italiana ed europea nell’Europa dei senza confini e delle nuove frontiere. E di quella prateria sconfinata del bello arcobaleno che le colora il cielo. Ah, le istituzioni, le nostre, declinate sempre al plurale e senza aggettivazioni che determinino una sorta di classificazione di valori e importanza. Proprio come ieri, l’otto maggio del 1948, nasce il Parlamento democratico e nell’aula di Palazzo Madama, dove avrà sede, si riunisce per la prima seduta il Senato della Repubblica.

La Democrazia ha finalmente le gambe per camminare, la testa per pensare, la voce per parlare, il potere di decidere. È il Parlamento il luogo delle decisioni fondamentali per il funzionamento dello Stato e per l’azione del governo. È il Parlamento il custode più alto della Costituzione e dei suoi principi. È il Parlamento il luogo della sicurezza dell’impalcatura democratica, le sue fondamenta più profonde. Le riforme che la Politica e le forze che la rappresentano proprio in quel luogo, si dispongano alla prudenza e alla responsabilità e si nutrano, con i loro promotori, dello spirito costituzionale prima di confondere il bisogno di governabilità e di efficacia dell’azione dell’Esecutivo con la forza ineludibile parlamentare esercitata dalla più larga rappresentanza popolare “parlamentarizzata”. Il tentativo, che nuovamente ricorre, di ridurre gli spazi del Parlamento, quindi, per allargare quelli del Governo, a discapito della forza del primo, è pericoloso per la qualità della nostra Democrazia.

Ancora più pericoloso di quel sistema elettorale che da più di vent’anni consente ai capi partito senza partito, di nominare deputati e senatori e, di conseguenza, tutte le più altre cariche dello Stato. Ricordare Aldo Moro, oggi, rendergli omaggio al di là della sua morte tragica, di cui non parlo proprio per liberare il suo pensiero dall’orrore che ha investito la sua bella persona, significa onorare la Costituzione, difenderla da eventuali assalti indebitamente “riformatori”, vigilare sulla sua essenza, operare per renderla più libera di attuarsi in tutti i suoi principi. Specialmente, quelli a cui Moro teneva maggiormente, e di cui in sintesi ho detto in questa riflessione. Moro non è più il prigioniero delle Brigate Rosse che si dichiaravano rivoluzionari. Aldo Moro è il vero rivoluzionario. Colui che la storia ci consegnerà come il più grande statista europeo al pari di De Gasperi, è ciò che lui ha contribuito a fare per il suo popolo e per la Pace nel mondo. Aldo Moro è l’uomo della Costituzione.

Il filosofo della Libertà. L’architetto della Democrazia. Il partigiano nuovo caduto sul campo di battaglia. L’uomo che ama fino all’ultimo respiro, tenendo in mano il Rosario della sua fede cristiana e sulle labbra le parole d’amore per la sua amata, Norina. (fc)