di VITO SORRENTI – Di recente ho letto che la nostra Regione può vantare, fra gli altri, due non invidiabili primati nazionali, ossia il numero più alto di analfabeti e il numero più basso di lettori. Infatti, secondo i dati Istat, la Calabria vanta, insieme alla Basilicata, il numero più alto di analfabeti (di fatto e funzionali) e, in pari tempo, si piazza all’ultimo posto nella classifica delle Regioni col 23,9% di lettori che ha letto in un anno almeno un libro, laddove la media nazionale e del 41,4%.
In ambito regionale la maglia nera se l’aggiudica la Sibaritide che risulta essere il comprensorio più povero di libri di tutta la penisola, infatti soltanto il 16,4% delle abitazioni insistenti sul suo territorio possiede da 1 a 10 libri.
Questi dati dovrebbero allarmarci e farci riflettere perché dalla loro lettura possiamo legittimamente supporre che i calabresi non sono interessati ad arricchire il loro bagaglio culturale e, di conseguenza, non sono interessati a conoscere il loro passato. Un passato, peraltro, non rintracciabile neanche nei testi usati per formare le nuove generazioni, data la parziale e, a volte, totale rimozione dai libri scolastici, della nostra storia, della nostra letteratura, della nostra arte e di tutto ciò che può rendere un cittadino orgoglioso della terra che gli ha dato i natali. Se a ciò aggiungiamo che le generazioni nate nell’immediato dopoguerra sono diventate vecchie leggendo o ascoltando le informazioni diffuse prevalentemente dai mass media, (radio, televisioni, giornali ecc.), i quali non hanno fatto altro che diffondere prevalentemente le notizie relative agli aspetti più retrivi, più negativi e più infamanti della nostra terra e delle nostre comunità, abbiamo il quadro completo della situazione in cui la maggioranza dei calabresi si forma, s’informa e, di conseguenza, si rapporta con i connazionali.
Un quadro, questo, che non mette mai in rilievo i dati positivi e storici e gli aspetti naturalistici affascinanti e unici che la nostra terra possiede, col risultato che invece di ingenerare in ognuno di noi un fisiologico e misurato orgoglio per il fatto di appartenere ad una terra che fu culla di civiltà e di pensiero, ci infonde un senso di vergogna per essere figli di una terra a cui vengono attribuiti tutti i primati negativi e che nell’immaginario collettivo, che gli stessi mass media hanno contribuito a formare, appare come una terra persa o, per usare le parole utilizzate qualche anno fa da Corrado Augias in una trasmissione televisiva, come «una terra perduta e irrecuperabile»; Peraltro, le parole di Augias, che hanno il sapore di una sentenza inappellabile, sono condivise da molti calabresi, tant’è che siamo proprio noi i critici più feroci e più pronti a manifestare la nostra insoddisfazione per lo stato in cui versa e per le carenze o inefficienze dei servizi essenziali e delle cose necessarie per soddisfare i bisogni primari.
Da quanto fin qui detto, appare chiaro che questo stato di cose, oltre a danneggiare fortemente l’immagine della nostra terra, la penalizza ulteriormente sotto molti aspetti, in primis sotto l’aspetto economico, in quanto una terra ad alta vocazione turistica, che viene vista e percepita come un crogiuolo di negatività, non invoglia i potenziali turisti a venire da noi per trascorrere le loro vacanze nelle nostre località marine e montane e neanche a programmare dei soggiorni per godere dei nostri tesori artistici, storici, culturali ecc. ecc.
E quindi necessario, se si vuole dare un’immagine diversa e più veritiera della nostra terra, invertire la rotta. E per farlo urge il contributo di tutti e soprattutto di coloro che dispongono della capacità e dei mezzi per formare e informare le nuove generazioni, non solo per far conoscere loro i grandi personaggi che hanno lasciato impronte importanti nei campi del sapere e del fare, della filosofia e della religione, della medicina e della letteratura, dell’arte e dei miti ecc. ecc., ma anche per informarli sui tesori che la nostra terra possiede, ossia sui nostri luoghi incontaminati e lussureggianti che inebriano i sensi coi loro colori, i loro odori, i loro sapori e i loro panorami mozzafiato; sui nostri siti disseminati di miti, di riti e di ruderi antichi ove affondano le radici della civiltà magnogreca e ove sono ancora visibili i testimoni muti e i custodi sacri di antichi segreti; per non parlare poi dei nostri mari mitici e ricchi di fascino per via dei loro litorali pittoreschi, dei loro fondali cristallini, dei loro promontori vertiginosi, delle loro rive assolate e, con essi, i motivi per cui andare orgogliosi delle nostre radici, del nostro passato e del nostro presente.
In altri termini, servono azioni utili per sviluppare, rafforzare ed accrescere in ognuno di noi il senso di appartenenza. E il senso di appartenenza si rafforza se si ha coscienza di essere figli di una terra che ha alle spalle millenni di storia, se si ha consapevolezza che le proprie radici affondano in una civiltà remota (la civiltà magnogreca) se si sa che la punta estrema della nostra penisola, ossia la Calabria, ha dato il nome all’Italia e che nel corso dei secoli ha dato alla luce giganti come Flavio Magno Aurelio Cassiodoro, Bruno da Longobucco, San Francesco di Paola, Gioacchino da Fiore, Bernardino Telesio, Tommaso Campanella, Mattia Preti, Pasquale Galuppi, Guglielmo Pepe, Francesco Jerace, Renato Dulbecco, Corrado Alvaro, Francesco Cilea, Leonida Repaci, Gianni Versace e molti altri ancora. Uomini che hanno lasciato impronte importanti nei vari campi del fare e del sapere, uomini ricchi di umanità e di spiritualità che hanno contribuito a dissipare il buio che avvolgeva l’umanità del loro tempo, uomini che con le loro idee, il loro talento e la loro creatività hanno illuminato ed arricchito da ogni punto di vista il mondo occidentale. (vs)