Miti, persone e bellezze per restituirci l’onore
Parte da Roma il ‘risorgimento’ della Calabria

di SANTO STRATI – La Calabria che risorge. A volte basta uno slogan per prendere coscienza e spingere a fare rete, quella che il filo invisibile che lega tutti i calabresi potrà portare a una rinascita oggi più che mai irrinunciabile. Lo slogan è partito da Roma dal felice incontro dell’avvocato rosarnese Giacomo Saccomanno e Vincenzo Cortese, presidente di un circolo di calabresi nel cuore di Prati, a Roma, dedicato, manco a dirlo, a San Francesco di Paola. Tra i due dev’essere scoccata una scintilla e nello spazio di via Cassiodoro hanno inventato una due giorni su La Calabria che risorge, con la partecipazione di personalità, autori, scrittori, giornalisti, politici, dirigenti scolastici, imprenditori, con una comune idea: dalla crisi si rinasce, anzi si risorge. Ma solo i calabresi, se messi insieme, potranno dar vita a questo miracolo se lo vogliamo chiamare così, quando non sarebeb altro che il risultato di un’intelligente sinergia tra le teste pensanti che hanno a cuore questa terra.

In questo terribile momento di angoscia a causa del nemico invisibile che si chiama coronavirus, gli italiani sono più che mai disorientati. Il Nord, l’opulento e altezzoso Nord, scopre la debolezza e si spaventa dell’ignoto, complice anche una sbagliata comunicazione che fa apparire l’Italia come una terra di “appestati”. I meridionali no, e soprattutto i calabresi: non si spaventano e non arretrano, sanno benissimo cosa significa crisi, ne hanno affrontate talmente tante che sono quasi immunizzati. E sanno reagire.

È per questo motivo che Saccomanno incita ad approfittare del momento e riconquistare spazi che nessuno, prima, era disposto a concedere. E l’appello viene colto da un imprenditore del Sud, Mario Romano, illuminato industriale grafico di Tropea, che ha una avviatissima azienda che si affaccia sul mare, con uno stabilimento bellissimo che fa venir voglia di non smettere di lavorarci dentro. Romano, che ha puntato tutto sulla qualità, con la testardaggine tipica dei calabresi, ha vinto la sfida ed è diventato persino fornitore del Poligrafico dello Stato: «Non so più quante battaglie perse con la burocrazia regionale, quante difficoltà e quante volte mi ha sfiorato la tentazione di mollare, e invece ho tenuto duro, tenendo a mente che quando c’è la crisi è il momento buono per investire e affermarsi, farsi conoscere, farsi apprezzare. È quello che devono fare gli imprenditori calabresi – dice Romano – che sono i soli che possono fare la fortuna della propria terra».

«Non servono – gli fa eco l’avvocato Saccomanno, già apprezzato sindaco di Rosarno in anni passati – gli imprenditori-avvoltoi che vengono a rapinare risorse e scomparire, a cui non interessa nulla della Calabria. Solo i calabresi salveranno la Calabria, ricordiamocelo quando viene lo sconforto e tutto sembra ormai perduto. Guardiamo al Piano per il Sud: il Governo dice che ci sono le risorse finanziarie, ma è un libro con le pagine bianche: dobbiamo scriverle noi quelle pagine, cogliere l’opportunità che ci viene offerta. 100 miliardi in dieci anni significano un mare di posti di lavoro, investimenti, nuova occupazione, ricchezza per le nostre genti. Smettiamo di rimandare indietro – come è stato fatto per troppo tempo – le risorse comunitarie: quanti miliardi inutilizzati e restituiti. Pazzesco solo a pensarlo. E allora – dice Saccomanno – facciamo rete tra tutti i calabresi, imprenditori, uomini di cultura, politici e giovani leve. Creiamo le condizioni per poter seminare e raccogliere, impegniamoci a sfruttare le nostre forze, valorizzare le nostre risorse, credere nelle nostre capacità e competenze. Dovunque, in qualunque campo, ci sono calabresi che si fanno onore e che hanno conquistato posizioni di assoluto rilievo nelle istituzioni, nel lavoro e nell’impresa, nel sociale, nella cultura: questo significa una sola cosa, che in Calabria nascono delle eccellenze naturali che, poi, purtroppo, andranno a fare la fortuna di tanti Paesi esteri o di molte regioni del Nord». Quelle che spingono – è il caso di aggiungere – per l’autonomia differenziata e vorrebbero continuare a scippare il Sud: 61 miliardi l’anno strappati dal ricco Settentrione al desolato Mezzogiorno, ma le cose stanno per cambiare.

La riserva del 34% degli investimenti a favore del Mezzogiorno è diventata legge, ce ne vorrà un’altra per abrogare questa norma di equità, ma non c’è né il tempo né la voglia di difendere l’indifendibile neanche dai più risoluti oppositori del Sud. E allora ha ragione Saccomanno, ha ragione Pino Nisticò, ex presidente della Regione, che hanno in mente di tessere una rete di opportunità che faccia della Calabria la California d’Europa. Nisticò punta sull’innovazione tecnologia e la capacità che sono in grado di esprimere le università calabresi, autentiche fucine di competenze, soprattutto in campo tecnologico. A Cosenza c’è un laboratorio di intelligenza artificiale, creato e diretto da colui che oggi è il Rettore di Arcavacata Nicola Leone, che il mondo intero ci invidia. A Reggio sperimentano tecnologie antisismiche che affascinano persino i giapponesi. E a Catanzaro si studiano soluzioni nel campo della ricerca scientifica che attirano continuamente l’attenzione di prestigiosi atenei stranieri.

Cosa significa tutto ciò? Che c’è un potenziale immenso di risorse umane in Calabria, cui si affiancano storia, miti, personaggi e bellezze naturali, tesori archeologici inestimabili, clima e paesaggi di sogno: quello che serve per ripristinare l’onore smarrito, per ridare la giusta reputazione a un popolo instancabile e operoso, che non s’arrende e non s’offende, neanche di fronte alle provocazioni più bieche ma reagisce mostrando capacità, competenza e, soprattutto, cultura. Un popolo in grado di attrarre turismo con la sua infinita storia di cultura, il suo mare, i suoi monti, i suoi santi, la sua cucina.

Calabria.Live – scusate l’autocitazione, lo ripetiamo dal primo giorno che siamo apparsi sulla rete – sostiene che la cultura è il vero antidoto contro il malaffare, la ‘ndrangheta, la mafia. È l’unico strumento che può sottrarre i giovani dalle inevitabili tentazioni dell’illegalità, più forti quando c’è degrado e assenza di futuro. Se mancano le prospettive, quale futuro possono immaginare i giovani calabresi? Facile cadere preda delle suggestioni del malaffare, soprattutto se c’è mancanza d’istruzione e sottosviluppo culturale. In poche parole se manca l’abitudine alla conoscenza mediata dalla cultura che libri, persone, la millenaria civiltà magnogreca, riescono a infondere. Se c’è cultura, c’è sviluppo: non è una frase ad effetto, è un imperativo categorico di cui il neopresidente Jole Santelli dovrà fare tesoro. Legalità, cultura e sviluppo, non parole vuote ma l’impegno che i calabresi si attendono. E con essi la costruzione di una reputazione che la nostra storia millenaria rende tutto sommato non difficile come impresa. La cultura è il collante per il turismo: ne abbiamo in quantità industriale, a cominciare dai Bronzi e dai musei, dalle chiese, per finire alle storie dei borghi che hanno un racconto infinito che non smette mai di affascinare e incantare i calabresi, figuriamoci i forestieri.

Gigi Miseferi
Gigi Miseferi, Mario Romano, Mariarosaria Russo e Giacomo Saccomanno al Centro Culturale San Francesco di Paola di via Cassiodoro a Roma

La dimostrazione di come la cultura susciti emozione e voglia di riscatto viene da serate come quella di ieri sera a Roma, che ha visto personalità del mondo culturale a parlare di Calabria. Francesco Maria Spanò, autore di un fortunato e bel libro dedicato al suo paese natìo, Gerace, ha raccontato, sulla suggestione di un viaggio dell’anima, una storia della Calabria che ha avvinto i presenti, segnata dall’ideale collegamento tra Jonio e Tirreno, tra i greci della Locride e quelli di Medma, la Rosarno magnogreca e poi romana. Tracciando un percorso, magari solo immaginario, che coinvolge e fa palpitare l’ascoltare, ancor più se non calabrese. Occorre far conoscere “questa” Calabria che odora di gelsomini della Locride e bergamotto di Reggio, dove profumano anche rovine e ruderi fascinosi quanto inestimabili, che pochi individuano solo come la casa madre di un ignobile franchising di ‘ndrangheta. Un’immagine terribile che i media continuano a mutuare, mentre i tantissimi calabresi perbene tentano di annullare e far sparire con il loro senso del dovere e l’alto senso di legalità che contraddistingue un popolo generoso e accogliente.

Serve far conoscere a tutti il fascino di una civiltà che ha insegnato quasi tutto all’Occidente. Come ha fatto, in maniera brillante e senza astruse descrizioni, l’archeologa Mariangela Preta, che ha raccontato il tesoro di Medma (Rosarno) scoperto agli inizi del secolo scorso da Paolo Orsi e riscoperto da pochi anni grazie all’impegno, alla puntuta testardaggine – tutta calabrese – di Saccomanno e altri amministratori locali che hanno voluto ricominciare a scavare. Quante pinax di Medma-Rosarno sono sparse nei musei di mezzo mondo? Lo racconta assai bene Giuseppe Lacquaniti, giornalista e scrittore, autore di una monumentale Storia di Rosarno che rivela una straordinaria e millenaria epopea di conquiste e di sconfitte (non ultima quella del sisma del 1783 che rase al suolo gran parte della Piana). Un incontro aperto dall’avv. Domenico Naccari e mediato dalla preside Mariarosaria Russo, instancabile promoter di legalità, che si ripeterà stasera con altri personaggi di spessore, tra cui don Antonio Tarzia e Gemma Gesualdi, con moderatrice la giornalista Vittoriana Abate e le conclusioni affidate di nuovo a Giacomo Saccomanno.

Sono queste le storie che bisogna far ascoltare, che bisogna far circolare, che occorre veicolare per costruire (non ricostruire) la vera faccia della Calabria. Per restituire l’onore (sottratto dalla ‘ndrangheta) ai calabresi. Che sono, ricordiamolo, una magnifica realtà perché – come ha ripetuto l’attore Gigi Miseferi in un applauditissimo intermezzo semiserio, citando Leonida Repaci – «calabrese non è espressione geografica, significa categoria morale». (s)