di PINO NANO – “L’anno era il 2006, la fine del 2006 gli inizi del 2007, quando Mino Reitano ricevette dal Vaticano la telefonata che cambiò la sua vita”.
Mimmo Reitano, uno dei sei fratelli di Mino Reitano, quello che tradizionalmente suonava il basso nei suoi concerti, ci racconta per telefono una delle pagine inedite della vita e della storia di suo fratello.
È l’incontro che una mattina Mino Reitano ebbe con Papa Benedetto XVI, un incontro di fede lontano dalla telecamere e da occhi indiscreti, e che Mino si portò dentro segretamente per tutto il resto della sua vita.
Torniamo a quel giorno?
Quella mattina lo accompagnai io Mino in Vaticano, come sempre facevo con le sue trasferte più lunghe e più stressanti. Tra me e mio fratello Gegè Mino preferiva la mia guida, Gegè correva in autostrada come un folle, 170-180 chilometri orari, allora i controlli della velocità non erano così pressanti e intensi come lo sono oggi. Io invece andavo molto adagio, e con me Mino riusciva a stendersi dietro sul sedile posteriore e a dormire e recuperare la stanchezza che accumulava facendo la vita che faceva.
Ricorda un dettaglio di quell’incontro?
La cosa più curiosa è che Mino per tutta la durata del loro incontro parlò con il Papa in tedesco, lingua che Mino conosceva benissimo per via delle sue lunghe trasferte in Germania, quando ancora giovanissimo suonava per i Beatles. Per lui fu un’emozione doppia, perché scoprì quel giorno che Papa Ratzinger sapeva di lui quasi tutto, si era informato della sua vita e delle sue vicende personali, e addirittura conosceva una delle canzoni più belle di Mino, “Un uomo una valigia”, il secondo 45 giri inciso per la Durium.
Di che canzone parliamo?
Di una canzone che ha fatto il giro del mondo, il testo era bellissimo ed era un brano autobiografico, nel pieno stile Reitano, che venne proposto nella fase eliminatoria di Canzonissima 1970 e fu un successo stratosferico. Una canzone che era un inno al mondo dell’emigrazione e in cui Mino ripercorreva le tappe della sua vita di emigrante.
Quello con Ratzinger era il primo incontro di Mino Reitano in Vaticano con il Papa?
Era il secondo per lui. Prima di Papa Benedetto XVI Mino aveva avuto il privilegio di incontrare anche Papa Giovanni Paolo Secondo, che era ormai alla fine del suo Pontificato e con cui Mino aveva comunque legato un rapporto di grande affiatamento reciproco.
Di cosa Mino Reitano ha parlato quel giorno a Papa Ratzinger?
Della sua vita, dei suoi concerti per il mondo, del senso intimo che Mino aveva per la famiglia e per la sua terra natale. Della fede immensa che lui aveva da quando era ragazzo.
Lei racconta da sempre del grande afflato che Papa Ratzinger aveva per Mino…
Papa Benedetto XVI aveva nei confronti di Mino un senso di ammirazione che travalicava ogni possibile immaginazione. Dopo quel primo incontro in Vaticano Mino sapeva di avere oltre Tevere un amico che aveva imparato a conoscerlo profondamente. Non mi chieda come aveva fatto. Addirittura, dopo la morte di Mino, un alto prelato Vaticano mi disse in gran segreto che Papa Ratzinger sperava di vedere Mino Reitano “beato” e di questo il Santo Padre ne avrebbe anche parlato con chi allora guidava La Congregazione per la Dottrina della Fede.
Addirittura, Beato?
Ma lei lo sa cosa ha fatto Mino per i poveri? Lo sa cosa ha donato Mino agli ultimi che incontrava per strada e per il mondo? Le posso solo dire questo, che Mino ha guadagnato in vita miliardi in vecchie lire, ma è morto senza una lira. Tutto quello che aveva guadagnato lo ha speso per la sua famiglia e per i poveri. Sa quanta gente gli scriveva dalla Calabria e gli chiedeva aiuto? Gente che doveva essere operata all’estero per malattie gravi e rarissime, e lui sa cosa faceva? Pagava tutto senza dire nulla a nessuno. Sa quante ambulanze ha regalato agli ospedali italiani? Sa quanti strumenti diagnostici ha comprato per i reparti dei bambini ammalati? Una marea di iniziative umanitarie che alla fine lo hanno reso povero, ma lui era felice così. È morto felice proprio per questo, nonostante i dolori dell’ultima fase della sua malattia. Aveva visto bene Papa Benedetto XVI che lo voleva Beato. E chi meglio di lui e più di lui?
Ma nella vita di ogni giorno suo fratello era davvero così come appariva in pubblico?
Era molto di più. Quando la sera andavamo in giro per l’Italia a tenere dei concerti io ero addetto a recuperare il cachet della serata, poi quando lo avvertivo di avere avuto tutto quello che era stato pattuito, lui trovava sempre il modo prima di lasciare il palco o la città che ci ospitava per fare una elemosina a qualcuno che aveva già incontrato magari prima dele concerto e che secondo lui aveva bisogno di aiuto.
È morto in solitudine?
È morto avvolto dalla fede, e dalla speranza di ritrovare in paradiso i suoi genitori e i suoi parenti e i suoi amici. È morto felice anche per questa fede immensa che aveva dentro. Nella sua canzone “Un uomo una valigia” che Mogol ha reso celebre in tutto il mondo, perché più che una canzone è un’opera di straordinaria bellezza, dentro aveva previsto tutto quello che poi è successo.
Vedo che lo adorava?
Molto di più. Mino era la mia vita, Mino era la parte migliore e più bella di tutti noi, e per questo era e rimarrà un personaggio unico al mondo. (pn)