Il Gruppo Caffo acquisisce lo storico Ferro China Bisleri

Dopo Petrus, il Gruppo Caffo acquisisce lo storico Ferro China Bisleri, la specialità, a base di Citrato di Ferro e China – e il primo liquore in assoluto – ad essere realizzato con il sale di un metallo, guadagnando il posto di precursore degli integratori e dei ricostituenti.

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Creato da Felice Bisleri, un garibaldino con la passione per la chimica e i liquori, nel 1881 riesce a portare sul mercato italiano e mondiale il suo prodotto riconosciuto da tutti per le virtù ricostituenti e salutari, tanto da essere “prescritto” come corroborante. Un liquore, dunque, di cui il Gruppo Caffo conosce «bene la potenzialità», e la cui acquisizione «rappresenta – ha dichiarato Giuseppe Caffo, presidente del Gruppo a Mixerplanet – una grande conquista sia per il suo glorioso passato che per la sua storicità. Dal 1881, ha attraversato con gli italiani guerre, epidemie, carestie e viaggiato con i nostri emigrati in ogni angolo del mondo».

«Come abbiamo già fatto con altri storici brand – ha dichiarato Nuccio Caffo, amministratore delegato del Gruppo a Mixerplanet – uno tra tutti Elisir Borsci S. Marzano, portare un marchio importante come Ferro China Bisleri nel nostro portafoglio prodotti, significa tutelare la storia della liquoristica italiana. D’altra parte, questa è anche una scelta di grande responsabilità che ci obbliga ad impegnarci per creare un futuro degno degli antichi fasti di Ferro China Bisleri, nato come innovazione e divenuto ormai parte importante della nostra tradizione.Il nostro primo obiettivo sarà riposizionarlo con la sua identità originaria, a metà tra la galenica e la liquoristica; su questo presupposto, abbiamo costituito una nuova società che si occuperà anche di sviluppare nuove specialità e la prima diversificazione è già allo studio».

Come riporta l’Ansa, inoltre, «l’azienda sta pensando di far tornare il marchio in farmacia, non solo con Ferro China ma anche con una nuova linea di specialità a marchio Bisleri». (rrm)

 

Vibo, ultima tra le ultime, insegue la rinascita
È il simbolo di quella Calabria che può farcela

di SANTO STRATI – Ultima tra le ultime, per qualità della vita e per reddito pro capite: Vibo Valentia sembra a prima vista l’emblema di una Calabria arretrata che non riesce a emergere. E invece, la cura della sindaca Maria Lìmardo (al Comune dallo scorso giugno) sta dando i suoi frutti: diminuito il debito ereditato dai precedenti dissesti, minori spese, maggiore attenzione per i cittadini e rilancio della città. Il percorso della prima cittadina si basa su un semplice obiettivo: rigenerazione urbana, che sottintende  – sottolinea la sindaca – rigenerazione sociale. È bella questa parola, rigenerazione. L’ha usata il sindaco di Cosenza Mario Occhiuto con concreti e tangibili risultati, la riusa con convinzione Maria Lìmardo, una donna dolce e pacata, dotata di grande determinazione, che punta alla concretezza, nel segno della legalità, condizione essenziale in Calabria perché arrivino risultati positivi per la gente. Una donna del fare, l’amministratore che guarda al bene comune e vuole coinvolgere i cittadini nel suo progetto. Un progetto comune equivale a un risultato assicurato: il welfare, il vivere bene non è obiettivo impossibile, Vibo non è l’anticamera della città-fantasma. Anzi, al contrario, bisognerà guardare a questa città che insegue la rinascita e prenderla come modello. È il simbolo di quella Calabria che ce la può fare, se si uniscono intelligenze e determinazione, se si riprogetta una città secondo canoni che devono legarsi alla bellezza e al decoro urbano, nel rispetto della legalità e della correttezza amministrativa. Ci sono anche qui cumuli di spazzatura un po’ dovunque, problema ormai tutto italiano: non è un bel biglietto da visita per una città che punta al decoro, ma servono interventi e soluzioni immediate che i comuni da soli non possono affrontare. Servirà un piano regionale per la valorizzazione dei rifiuti: noi paghiamo per stoccarli, gli altri ci fanno i soldi investendo in termovalorizzatori. Ce ne occuperemo in altra occasione, oggi parliamo di come cambia questa città.

Vibo ha un suo fascino particolare, un patrimonio archeologico ancora tutto da scoprire, ha angoli inesplorati con un mare da favola e un porto da cui far decollare un’idea di sviluppo che guarda al turismo come risorsa insostituibile. È una provincia dimenticata, fino a ieri, colpevolmente trascurata, fatalmente in primo piano con le inchieste di mafia di Gratteri e degli altri magistrati di cui la Calabria deve andare fiera, ma proprio per questo dentro di sé trattiene e rivela una grande forza che le può permettere il sospirato decollo. E l’obiettivo di far diventare Tropea la capitale italiana della cultura del 2021 non può far altro che alimentare questa convinzione, per la capacità di poter attrarre, con la magnifica reputazione mondiale della perla del Tirreno, interessi che prima di travalicare oceani e monti spingano gli italiani a scendere in Calabria per scoprirla nelle sue meraviglie. È una sfida anche questa che la Presidente Santelli dovrà impegnarsi in prima persona a portare alla vittoria finale.

Vibo è la città che vanta due capitani d’industria famosi nel mondo, che hanno esportato il loro marchio mostrando come la Calabria non è terra di malaffare, come viene malignamente disegnata da certa stampa, bensì di eccellenze e di capacità. L’impero di Caffo (guidato con grande competenza da Nuccio, figlio dell’ancora intraprendente Pippo) non solo ha conquistato col suo nome interi continenti, ma sta facendo importanti acquisizioni che vanno a rafforzare il brand e qualificare ulteriormente una solida capacità gestionale. E lo stesso vale per l’altro Pippo vibonese, Callipo, adesso prestato alla politica nel ruolo di capo dell’opposizione alla Regione, che nell’agro-alimentare ha fatto crescere la sua straordinaria industria del tonno (e non solo) conosciuta in tutto il mondo. Che strana contraddizione: due industriali tra i più importanti d’Italia, in uno stretto fazzoletto di terra, eppure Vibo risulta la città più povera e derelitta d’Italia. Cambiare questa immagine non è impresa impossibile, si diceva prima, ma per farlo serve ricostruire una reputazione che la città merita. Amministrativamente, i dati preliminari del bilancio, diffusi proprio ieri, indicano, pur con lo spettro di un dissesto precedente di difficile soluzione, che ci sono segnali positivi: meno spese, più risparmi e più investimenti per il bene comune dei cittadini. Un percorso virtuoso che la sindaca Lìmardo mostra di saper portare avanti con la fierezza tipica dei calabresi e l’orgoglio dell’essere donna: ci facciano un pensierino i cittadini di Reggio che a fine maggio andranno a scegliere il nuovo sindaco (o riconfermare l’attuale): una sindaca anche a Reggio, sul modello della Lìmardo, sarebbe una magnifica sfida al riscatto (im)possibile. Governare bene si può, e se donna si riesce a governare anche meglio, come succede a Vibo.

Abbiamo parlato con Maria Lìmardo alcune settimane fa, ma l’intervista non ha perso niente in attualità. Fatevi un giro a Vibo e alla sua Marina, difficile non accorgersi dell’aria nuova che si comincia a respirare. È un ulteriore segnale di una terra, la nostra, che non s’arrende mai, nemmeno davanti alle classifiche del Sole 24 Ore.

– Sindaca Lìmardo, Vibo è ultima per qualità della vita, ultima per reddito pro capite, ma non ultima come città. Cosa si può e si deve fare?

«C’è molto da fare, per la verità. Noi registriamo queste classifiche del Sole 24 Ore che riteniamo abbastanza discutibili per la verità perché riteniamo che gli indicatori non sempre siano esatti, ma soprattutto non rendano il merito della bellezza dei nostri luoghi e delle potenzialità dei nostri luoghi. Certo, ne prendiamo atto e io, già dal momento della campagna elettorale, mi sono premurata di studiare questi indicatori, li ho spacchettati e ho individuato per macroaree le zone principali nelle quali bisogna incidere, nelle quali bisogna spiegare il nostro intervento».

– Lei ha trovato una città per certi versi sconquassata dal punto di vista politico, quindi la ricostruzione, chiamiamola così, sta seguendo un certo iter. Da ultimo, l’inchiesta di Gratteri ha portato in primo piano Vibo come centro nevralgico della ‘ndrangheta. Come si può fronteggiare una situazione di questo genere là dove va ricostruita evidentemente una reputazione che la città ha perso e che invece merita di avere?

«Dev’essere ricostruita, lei ha detto bene, la reputazione, della nostra città. È un punto di partenza e un punto di forza della mia amministrazione. Nel corso di una recente riunione del Consiglio comunale ho fatto il punto della situazione: c’è da dire che l’indagine ha scoperchiato parecchio e ha interessato anche la burocrazia del municipio, ma ovviamente non ci scoraggia perché ancor prima di essere eletta io sapevo bene di dover avere a che fare con una città difficile. Difficile da un punto di vista burocratico e amministrativo, difficile nelle sue condizioni oggettive, difficile per le inchieste che già allora si diceva man mano che andavano avanti. Però, noi abbiamo avuto sin da subito ben chiaro quale fosse il nostro percorso. Un percorso di legalità, un percorso di procedimentalizzazione degli atti, un percorso di trasparenza e correttezza amministrativa. E in questa direzione abbiamo assunto numerosi atti, perché le amministrazioni parlano per il tramite dei propri atti innanzitutto e per il tramite dei fatti concreti che questi atti poi dispiegano».

– Generalmente si chiede “cosa farà nei primi 100 giorni”. I suoi primi cento giorni sono già passati: è già in grado di fare un piccolo bilancio di cosa ha trovato e di cosa ha cambiato?

«Io credo che noi, nei primi cento giorni e ormai siamo andati oltre, abbiamo fatto una piccola rivoluzione, abbiamo già messo in campo e dispiegato qual è il nostro intendimento per i futuri anni. Ci siamo molto dedicati al decoro cittadino, abbiamo puntato soprattutto sul coinvolgimento delle energie positive della città. Non si era mai verificato che tutte le associazioni fossero invitate all’interno della città, nella sala del Consiglio comunale per discutere insieme con noi delle problematiche della città, per ascoltare direttamente dalla voce delle associazioni e dunque dei cittadini quali siano i punti critici, le note dolenti e quali fossero i suggerimenti per intervenire. In questo senso io credo che noi abbiamo già fatto una buona rivoluzione. Vi è poi da dire un’altra cosa, che ci siamo ritrovati in una condizione di dissesto finanziario, perché la città di Vivo Valentia proviene da un vecchio dissesto. Nel 2013 ha dichiarato il dissesto finanziaria che ancora purtroppo non si è risolto. Abbiamo approvato un piano di riequilibrio per spalmare, per pianificare questo debito che pesa come un macigno sulle casse comunali e sulle possibilità di sviluppo della nostra comunità. Abbiamo un debito di ben 25 milioni di euro che abbiamo pensato di pianificare nei prossimi cinque anni».

– Sono in arrivo risorse aggiuntive di circa due milioni, però dal prossimo anno. Come mai questo ritardo nell’erogazione di questo finanziamento speciale?

«Questo finanziamento lo abbiamo ottenuto grazie all’interessamento del sen. Mangialavori che, ovviamente ringrazio a nome mio personale e della città ancora una volta. Credo che ci siano state difficoltà a livello di finanza centrale, la legge finanziaria, evidentemente, non consentiva la possibilità di una spendita immediata di questi importi, che sono stati quindi spostati al 2021. È certo che si tratta di un risultato straordinario per il sen. Mangialavori che lo ha ottenuto dai banchi dell’opposizione ed è altrettanto straordinario per la nostra città, perché le risorse che arrivano sono risorse vincolate, sono risorse di scopo. Arrivano risorse magari per riparare i tetti della scuola o per togliere l’eternit, arrivano fondi in direzioni ben precise, ben finalizzate. La città non solo ha bisogno di questi fondi, ma ha bisogno anche di altro, ha soprattutto bisogno di rigenerarsi sul piano urbanistico, sul piano del decoro, sul piano della bellezza. Perché accanto alla rigenerazione urbana cammina di pari passo la rigenerazione sociale della nostra comunità. È quindi di assoluta importanza che questi importi che sono liberi siano destinati per gli effettivi bisogni della città. Noi ci aspettiamo e crediamo che con l’utilizzo di questi due milioni di euro la città possa definitivamente cambiare volto»

– Vibo è famosa per avere nel suo territorio due industriali che hanno esportato il loro marchio, il loro brand, quasi dovunque nel mondo. Parliamo di Caffo e di Callipo. Secondo lei Vibo ha più vocazione industriale o più vocazione turistica?

«Se c’è un’impresa che funziona a livello industriale bisogna non solo lasciarla dov’è ma bisogna addirittura coccolarla. Per cui credo che se c’è una fetta d’industria che cammina, che produce, che dà posti di lavoro, crea sviluppo, dev’essere mantenuta e direi coccolata. Altrettanto la vocazione turistica del territorio è assolutamente innegabile: Vibo Marina è la porta naturale verso la Costa degli dei ed è l’approdo principale per questo tratto di costa. Noi siamo assolutamente convinti che la molla turistica possa costituire una molla di riscatto economico».

– Un’altra prerogativa di questa città è il porto. Come pensa di poterlo rilanciare e con quali prospettive?

«Credo che abbiamo prospettive concrete, seriamente concrete. È ovvio che non è la città di Vibo Valentia che potrà con i suoi fondi procedere alla ristrutturazione del porto e al suo rilancio, però abbiamo inserito il porto di Vibo Marina all’interno dei cosiddetti Cis, i contratti istituzionali di sviluppo che abbiamo già licenziato come Giunta in relazione ai quali si terrà da qui a breve un tavolo romano. E abbiamo proprio portato al centro di questo contratto il porto, nella convinzione che proprio da lì possa lo sviluppo di tutto il territorio».

– Una scala di priorità degli interventi che la sua amministrazione intende portare avanti?

«Credo di aver già detto di essere assolutamente convinta che la priorità per la mia città vada nella direzione della sua rigenerazione urbana, quindi a cominciare dalla pulizia, dal decoro, dalla bellezza della città. Perché solo così facendo la città non solo riprende il suo ruolo prestigioso che ha sempre avuto, ma gli stessi cittadini appartenendo a una comunità così rigenerata, così bella, nella quale è piacevole vivere, si sentono più elevati, anche da un punto di vista culturale. Del resto sono convinta che la migliore opera pubblica che un’amministrazione possa lasciare alla propria comunità non sia quella fatta di cemento armato, bensì sia quella della partecipazione attiva dei cittadini alla vita della città». (s)