di GIACOMO MARINO – Gioia Tauro, la principale città della Piana, è da decenni uno dei luoghi di applicazione della geopolitica urbana di ghettizzazione di rom e di migranti, che sta producendo effetti sociali molto deleteri in questo importantissimo territorio.
Si tratta di una geopolitica che riguarda la ghettizzazione dei gruppi impegnati nelle attività agricole della Piana, che ha il preciso intento di avere una massa di soggetti fortemente emarginati che per questo possono essere molto sfruttati, favorendo con il loro lavoro sottopagato lo sviluppo irregolare del settore agricolo. Il filo rosso dello sfruttamento nei campi attraverso la ghettizzazione ha avuto inizio con le famiglie rom negli anni Sessanta, è andato avanti per decenni arrivando alla sostituzione dei rom negli anni Novanta con i migranti, anche loro ghettizzati nelle diverse baraccopoli. Ma questo filo rosso dello sfruttamento non viene riconosciuto ai rom.
A partire dagli anni Cinquanta, con il processo di urbanizzazione che seguì la scelta politica di distruggere il tradizionale mondo rurale calabrese, i rom hanno perso il loro importante ruolo ricoperto in questo mondo per secoli e sono stati costretti a lasciare le campagne per insediarsi nelle città, dove vengono emarginati. È come emarginati nella grande baraccopoli di via Asmara nel cuore di Gioia Tauro che i rom a partire dagli anni Sessanta costituiscono il gruppo che viene sfruttato nel lavoro agricolo della Piana.
Questo sfruttamento va avanti per decenni fino a quando negli anni Novanta, quando comincia l’immigrazione in Italia, i rom vengono sostituiti dagli immigrati africani, perché queste persone costituiscono, per la loro stessa condizione di stranieri molto deboli, una massa di persone che può essere sfruttata assai meglio dei rom. Cominciano a nascere nella Piana le prime baraccopoli di migranti che costituiscono, com’è stato prima per i rom, il gruppo ghettizzato perfetto per lo sfruttamento. I rom, non più occupati nel settore agricolo, continuano ad abitare nella baraccopoli di via Asmara e quindi il Comune decide che devono essere spostati dal centro della città per essere emarginati in un ghetto istituzionale che li concentri definitivamente.
Per questo negli anni Novanta il Comune di Gioia Tauro e l’Aterp realizzano il ghetto di case popolare della Ciambra fuori dalla città. Con questo progetto il Comune di Gioia Tauro è riuscito a spostare la gran parte delle famiglie rom dalla baraccopoli e negli ultimi anni l’Ente ha presentato insieme alla Città Metropolitana un progetto Pinqua per ampliare e migliorare la Ciambra in modo da accogliere le famiglie rom rimaste ancora nella baraccopoli . La nascita del ghetto della Ciambra è molto simile alla nascita del ghetto delle Vele di Scampia a Napoli.
Difatti questo grande ghetto napoletano è nato negli anni Settanta per emarginare e concentrare in un luogo lontano dal centro di Napoli la massa di disoccupati prodotta dalla chiusura dell’Italsider e dal ridimensionamento della Fincantieri (Luciano Pollichieni, Orgoglio napoletano, Una strategia per liberare Scampia,in Limes, Indagine sulle periferie, nr 4 /2016- pgg 71,72 ). Il processo di ghettizzazione sperimentato per i rom si sta riproducendo alla stessa maniera e parallelamente per i migranti.
Difatti dopo la sostituzione dei rom con i migranti africani avviata con le baraccopoli, con il passare degli anni si sono acuiti i disagi (rivolta di Rosarno del 2010) e quindi è nata la necessità di rendere più accettabile la loro ghettizzazione. Le Istituzioni decidono di passare dai ghetti informali ( baraccopoli) a quelli formali. È cosi che viene realizzata la tendopoli di Stato e successivamente il “Villaggio della solidarietà” da poco inaugurato. I ghetti formali pubblici al pari di quelli informali concentrano ed emarginano e quindi garantiscono ugualmente lo stato di sfruttamento, ma assicurano una maggiore igiene e strutture ordinate e per questo sono socialmente più accettabili. È un percorso di stabilizzazione ed istituzionalizzazione della ghettizzazione, lo stesso seguito per i rom: dalla baraccopoli di via Asmara al ghetto delle case popolari della Ciambra.
In questo percorso chiaramente non viene considerata dalle Istituzioni la soluzione delle abitazioni in dislocazione che garantirebbe l’inclusione abitativa nel contesto sociale, ma verrebbero meno le condizioni che favoriscono il forte sfruttamento ed inoltre porterebbe la presenza di soggetti deboli nei diversi quartieri cittadini che per la geopolitica della città vanno tenuti ai margini per evitare che si “abbassi il valore” dei “quartieri modello”. Tuttavia qualche tentativo di equa dislocazione c’è stato, ma in alcuni casi è stato soffocato nel nascere ed in altri è stato ridotto a pochissimi casi isolati.
L’appello che lanciamo ai candidati a Sindaco di Gioia Tauro è di mettere da parte la geopolitca della ghettizzazione urbana che tanto male ha fatto alla città e di adottare per rom e migranti la politica dell’equa dislocazione abitativa, che è l’unica che garantisce coesione sociale ed una città senza emarginazione e degrado sociale. (gm)
[Giacomo Marino è presidente di Un Mondo di Mondi]