IL POVERO NORD “DIMENTICATO” INVIDIA
SUD E CALABRIA PER I VANTAGGI FISCALI

di SANTO STRATI – Se la situazione non fosse così drammatica dal punto di vista economico, ci sarebbe persino da sganasciarsi dalle risate per le geremiadi che alcuni esponenti politici del Nord stanno lanciando contro i “vantaggi” fiscali riservati solo al Sud. Com’è noto il Governo, accogliendo le richieste del sempre più attento ed efficiente Ministro per il Sud Peppe Provenzano, ha varato la fiscalità di vantaggio a favore delle aziende del Mezzogiorno. In buona sostanza dal 1° ottobre le imprese delle regioni meridionali verseranno solo due terzi dei contributi dovuti per i lavoratori dipendenti. Un taglio secco del 30% che, nell’economia del post-covid, aiuterà a conservare qualche posto di lavoro in più se non a creare nuova occupazione. Provenzano, uomo del Sud, è un convinto  meridionalista (era nella direzione dello Svimez prima di diventare ministro), conosce a fondo le criticità del Mezzogiorno e ci sta dando dentro senza risparmio di energie. Ha la fortuna di avere come capo del governo un altro “terroncello” come lui (Giuseppe Conte è pugliese) che conosce bene le dinamiche del Sud ed è attento alle diverse necessità che affliggono regioni come la Calabria e la Basilicata, dove il lavoro non c’è e le imprese fanno fatica a sostenere occupazione e investimenti.

In questo quadro così vistosamente chiaro di un Sud dimenticato e soprattutto trascurato, al quale sono state impunemente sottratti miliardi di risorse (61 miliardi per essere precisi) prima che venisse instaurata la clausola della riserva del 34% degli investimenti a favore del Mezzogiorno, le comiche lamentazioni dell’ex segretario pd Martina o del governatore dell’Emilia-Romagna Bonaccini sono un invito allo sghignazzo. Conte – afferma Stefano Bonaccini – non dimentichi il Nord, dove si concentra buona parte della forza produttiva del Paese, con capacità di innovazione e ricerca fra le principali al mondo. A La Stampa, comunque, per l’onestà intellettuale che gli va riconosciuta, Bonaccini ha fatto presente che «Al Paese, troppo diseguale, ingiusto e insufficiente, occorre una strategia per il Mezzogiorno, perché con un solo motore il Paese  non potrà mai marciare a pieno regime». Che è poi il leit-motiv che Conte ripete ad ogni occasione: se non  riparte il Sud non riparte l’Italia.

Ma come non rimanere basiti – anche se ormai ci hanno abituato al peggio del peggio – quando i leghisti d’antan (Calderoli e Grimoldi) riferiscono del malcontento degli industriali del Nord che parlano di razzismo verso le imprese settentrionali e invocano una grande zona economica speciale anche nelle regioni maggiormente colpite dal covid. E sconcerta la dichiarazione di Maurizio Martina che invita a eliminare «ogni sentimento anti-settentrionale come serve farlo per qualsiasi logica anti-meridionalistica», dove è evidente una sorte di ribaltamento dei ruoli del Nord opulento e produttivo che invidia i “privilegi” delle regioni povere.

Sono solo parole e non dimentichiamoci che tra poco più di un mese il 48% degli italiani andrà a votare per il rinnovo delle amministrazioni locali, mentre tutto il Paese dovrà pronunciarsi nel referendum confermativo per la riduzione dei parlamentari. Siamo in campagna elettorale, ognuno tira i remi in barca secondo le proprio convenienze, ma individuare, come fa Brunetta (Forza Italia), la fiscalità di vantaggio come “regalo” elettorale del governo alle regioni più amiche, ci sembra davvero una sciocchezza. La verità è, invece, un’altra: con i primi tre decreti anti-covid il 70% delle risorse è stato destinato alle aree industrializzate del Centro-Nord. D’accordo che l’area settentrionale è quella colpita maggiormente dalla pandemia, con la sua terribile scia di morti e prognosi positive, ma oggi, più che mai un’Italia divisa, anche solo con le parole dell’uno o dell’altro, non serve a nessuno.

Sta nascendo una questione settentrionale – secondo alcuni attenti osservatori della politica e dell’economia italiana – ma non dimentichiamoci che quella meridionale non ha mai trovato soluzione. Settant’anni fa nasceva la Cassa per il Mezzogiorno, con un gigante a guidarla fino al 1976, Gabriele Pescatore, che ha dotato il Sud di infrastrutture, ma nel tempo si è trasformata – dopo gli anni d’oro di Pescatore – in un vergognoso carrozzone per alimentare clientela elettorale e remunerare affaristi senza scrupoli.

Il direttore della Svimez, Luca Bianchi, ha lanciato la proposta di un patto Nord-Sud per evitare di dividere in modo definitivo il Paese: supportare l’apparato del Nord «per evitare che si spenga il motore della crescita italiana, ma allo stesso tempo garantire gli stessi diritti di cittadinanza assicurati alle popolazioni settentrionali». Il divario è fin troppo evidente e la meritoria campagna stampa condotta con coraggioso azzardo dal direttore Roberto Napoletano con il suo Quotidiano del Sud sta dando qualche risultato. Si parla di Mezzogiorno non più soltanto in termini di assistenzialismo di Stato, ma si guarda al Sud come vero propulsore della crescita. Non a caso, Napoletano ha messo come sottotitolo al giornale, di cui ha preso le redini l’anno scorso ad aprile inventandosi un dorso “nazionale”, L’AltraVoce dell’Italia. È un’altra voce, in effetti, quella che proviene da un Sud che non è più profondo come un tempo, ma è vicino al rischio di sprofondare di nuovo. Il Pil crollerà al Nord, post pandemia – secondo le stime economiche – a -9,6% ed è evidente che il Mezzogiorno subirà un tracollo maggiore, con gravi ricadute sull’occupazione: a fronte dei 600mila posti di lavoro che scompariranno nelle regioni del Nord, nel Mezzogiorno ci saranno 380mila occupati in meno.

Il costo della manovra della fiscalità di vantaggio che fa “piangere” politici e imprenditori del Nord è di un miliardo e 100 milioni, mentre gli aiuti durante l’epidemia del coronavirus (75 miliardi, 4,5 punti di pil) sono andati solo per il 30% al Sud. Secondo la Svimez, per dirla in breve, gli aiuti si sono tradotti in 1.344 euro pro-capite per le popolazioni del Centro-Nord contro i 1.015 per quelle del Mezzogiorno. E parlano loro di non dimenticarsi del Nord? (s)


IL 10 AGOSTO DI 70 ANNI FA NASCEVA LA CASSA PER IL MEZZOGIORNO

Il nome completo era Cassa per opere straordinarie di pubblico interesse nell’Italia Meridionale, un’invenzione del trentino Alcide De Gasperi e di Pasquale Saraceno (che era si Morbegno, in provincia di Sondrio): due settentrionali che avevano ben capito che il Mezzogiorno aveva bisogno di un’attenzione e una cura straordinaria, perché mancava di tutto. Un’idea di Sud che aveva l’appoggio di grandi uomini che hanno fatto grande il Paese: Donato Menichella, Alberto Beneduce, Giuseppe Paratore, Rodolfo Morandi, Nino Novacco (tra i fondatori quest’ultimo della Svimez con Saraceno).

A guidare la Cassa per il Mezzogiorno fu altro “gigante” dell’epoca il magistrato irpino Gabriele Pescatore, che fino al 1976 realizzò un ampio programma di infrastrutture e opere con la creazione delle cosiddette ASI (aree di sviluppo industriale), là dove di industriale c’erano soltanto le scuole professionali di Stato per formare operai e tecnici. La Cassa nacque con la legge 10 agosto 1950, n. 646, che prevedeva per questo nuovo istituto di diritto pubblico la possibilità di avviare “programmi, finanziamenti ed esecuzione di opere straordinarie dirette al progresso economico e sociale dell’Italia meridionale”. Si prevedeva allora un impegno che si sarebbe dovuto esaurire in dieci anni, ma non fu così: di proroga in proroga si arrivò al 1984, quando la Casmez venne sciolta e sostituita due anni dopo dall’AgenSud (Agenzia per la promozione e lo sviluppo del Mezzogiorno) istituita con la famosa legge 64 dell’Intervento straordinario. La spesa complessiva dal 1951 e il 1998 è stata di 379,229 miliardi di lire (attualizzati al 1998), di cui 108.998 miliardi di lire sotto forma di agevolazioni per gli imprenditori, e 220.420 miliardi di lire per sgravi contributivi.  (rrm)