L’EMIGRAZIONE DEI CERVELLI VERSO NORD
NON FA MALE SOLAMENTE AL MEZZOGIORNO

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – «Partono ‘e bastimente, pe’ terre assaje luntane, cantano a buordo: sò napulitane! Cantano pe’ tramente’, o golfo già scumpare, e ‘a luna ‘a ‘mmiez’ ô mare’, nu poco ‘e Napule lle fa vedè».

Si chiama “Santa Lucia lontana” questa canzone ed è scritta da E.A. Mario nel 1919. Che insieme a Salvatore Di Giacomo, Ernesto Murolo, e Libero Bovio è da annoverare tra i massimi esponenti della canzone napoletana della prima metà del Novecento. 

Siamo appena dopo la  prima guerra mondiale e comincia un’emigrazione di massa soprattutto verso le Americhe da tutto il Sud ma anche dal Nord, in particolare dal Veneto ma anche dal Piemonte. Bergoglio è figlio di emigranti piemontesi. Sono quattro fratelli nati a Buenos Aires. Il padre Mario era un funzionario delle ferrovie, la madre, Regina Sivori, una casalinga con sangue piemontese e genovese. 

Quando si partiva non si tornava più.  Ovviamente Papa Francesco rappresenta un’eccezione dovuta alla chiamata dello Spirito Santo a Roma. 

Qualcuno ancora afferma che la mobilità arricchisce ed è vero. Ma quando si tratta di fenomeni monodirezionali è falso parlare di mobilità. In questo caso si tratta di emigrazione, quel fenomeno che riguarda i paesi poveri, che non riescono a dare un progetto di futuro ai propri abitanti, che sono costretti a lasciare tutto per avere una possibilità di sopravvivenza. 

Ha un solo flusso verso l’esterno, difficile che vi sia un flusso contrario. Arricchisce i Paesi che ne usufruiscono, soprattutto nel caso in cui questi sono in condizione di scegliere le migliori professionalità, in termini di età e di preparazione, da far entrare nel Paese. 

Subito dopo la seconda guerra mondiale negli anni ’50-’60, il fenomeno diventa epocale e una massa di meridionali si sposta in pianura padana, per cui Torino diventa la città con più meridionali in Italia. 

Sradicamento, legami che si perdono, in un processo ben rappresentato da Luchino Visconti nel capolavoro  “Rocco e i suoi fratelli”. Manodopera che consente all’Italia di essere protagonista del miracolo economico con tassi di crescita annuali vicini al 5%, in un  percorso che, invece di portare il lavoro dove c’era il capitale umano, preferisce trasferire quest’ultimo con una serie di problematiche importanti che evidenziano le proprie conseguenze anche oggi. 

Allora si partiva con le valigie di cartone e prendendo un treno di seconda classe. Inizialmente la famiglia rimaneva nei paesi d’origine e con sacrifici incredibili si riusciva ad inviare qualcosa di quello che si guadagnava a casa. Quelli che migravano erano i più poveri, anche i meno istruiti e conseguentemente  l’immagine che si creò fu  quella del meridionale ignorante, cafone e spesso con famiglie numerose. Eh sì, perché nella seconda fase, quando riusciva a stabilizzarsi, l’emigrato faceva salire la famiglia e abitava le periferie dormitorio delle città del Nord. Da cui le scritte “non si affitta a meridionali”.

Dagli anni ’70 in poi la seconda ondata ha riguardato nella maggior parte dei casi giovani istruiti, 100.000 persone l’anno che dal Mezzogiorno si trasferiscono nelle regioni settentrionali, in particolare in Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto. Ma la frase per coloro che erano bravi “non sembri nemmeno meridionale” fa capire quale era il sentimento nei confronti dei nuovi arrivati. 

Questa seconda ondata è formata da giovani che hanno perlomeno la scuola media superiore e il costo per le regioni di appartenenza, considerato che ognuno di loro per essere portato a tale stato costa 200.000 €, è di circa 20 miliardi l’anno. Una cifra enorme che nessuno pensa di farsi restituire. 

La differenza tra la prima emigrazione e la seconda è importante. Perché nella prima vi erano trasferimenti di risorse dal Nord  al Sud con le rimesse verso le famiglie di provenienza. Nella seconda avviene il contrario. La famiglia invia i soldi per fare vivere il ragazzo o la ragazza che inizialmente ha uno  stipendio tale da non poter sopravvivere. In un secondo momento la famiglia  compra loro la casa, magari vendendo quella di proprietà al Sud, impoverendone il mercato Immobiliare.

E spesso alla fine del percorso anche i genitori si trasferiscono al Nord per stare vicini ai figli e ai nipoti. Quindi una operazione in totale perdita per i territori. Ma spesso il trasferimento avviene già con la frequenza in un’università del Nord, in maniera tale da poter entrare più facilmente nel mercato del lavoro.

Ormai la vulgata che viene diffusa al Sud è quella che chi rimane è uno sfigato. E che chi vuole riuscire deve assolutamente emigrare. Una costruzione che prevede di non mettere a regime il 40% del territorio e il 33% della popolazione, adottando un modello di sviluppo kamikaze, che prevede l’affollamento di una parte con problemi di convivenza non facili e l’abbandono di un‘altra. 

In un percorso in cui il Nord pensa al suo Mezzogiorno come a una colonia interna, dalla quale estrarre capitale umano formato, energia, invadendo il territorio di pale eoliche e impianti solari, da cui far arrivare pazienti per le proprie cliniche e ragazzi che frequentino le proprie  università. 

E adesso il fenomeno riguarda anche i cinquantenni, ripercorrendo le strade della prima emigrazione verso le Americhe. Ma d’altra parte se non hai possibilità di un progetto di futuro nella tua terra, della dignità di un lavoro riconosciuto e remunerato, un volo low cost diventa un salvacondotto. 

Qualcuno ci potrà anche guadagnare il Paese perde sicuramente le sue chances di competere non solo con gli altri Paesi fondatori europei ma anche con il mondo. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

PER I GIOVANI CALABRESI STUDIARE FUORI
È UN LUSSO: VIENE LESO UN LORO DIRITTO

di FRANCO CACCIA I calabresi siamo un popolo di migranti. Ben conosciamo l’emigrazione per lavoro e per malattia, ma non meno diffusa è l’emigrazione legata a motivi di studio. Come noto, tanti giovani calabresi frequentano università ubicate nelle città del centro nord, dove il costo della vita, in particolare dei fitti, è diventato proibitivo. I posti disponibili presso gli studentati universitari sono una parte marginale rispetto alla presenza di studenti provenienti da altre regioni.

Una delle principali voci di spesa a cui le famiglie vanno incontro, quando decidono di mandare un figlio a studiare fuori regione, è rappresentata proprio dal costo dell’alloggio presso le principali città universitarie (Roma, Bologna, Milano, Siena). Il costo di una camera varia in base a diverse circostanze tra cui l’ubicazione, le condizioni dello stabile, la qualità dell’arredo, la condivisione della stanza con altri inquilini. In ogni caso parliamo di una cifra che si aggira tra i 500 ed i 1200 euro mensili.

Sostenere le tante spese necessarie per assecondare le legittime aspettative di crescita e di affermazione umana e professionale dei figli, che studiano fuori regione, è diventato un vero salasso per le magre tasche delle famiglie medie di Calabria, al punto da diventare un vero privilegio per famiglie dal reddito medio-alto. Mantenere agli studi un figlio che scegli un percorso di studi non disponibile nella nostra regione, oltre ai costi di vitto, prevede spese per libri, tasse universitarie, trasporti, sport e tempo libero, viaggi per il rientro a casa.

A conti fatti far studiare un/a figlio/a fuori regione comporta, per le famiglie calabresi, un costo annuo che supera abbondantemente i 10mila euro. A sollecitare interventi concreti da parte delle politiche pubbliche in modo da non lasciare sole le famiglie, di fronte a questi ingenti spese, ci ha pensato il Forum delle famiglie della Calabria.

«Molti studenti della nostra regione – ha dichiarato Claudio Venditti, presidente del Forum– studiano fuori e fanno i conti con affitti, che in presenza di una richiesta elevata e in mancanza di alloggi sufficienti da parte delle Università, lievitano in continuazione. Una situazione insostenibile, studenti e famiglie non riescono più a trovare una casa a prezzi abbordabili, e di fatto viene loro negato un diritto fondamentale»

Secondo Venditti ed altri ricercatori sociali, una soluzione immediatamente darebbe tuttavia praticabile in tempi brevissimi. Basterebbe infatti che il governo decidesse di aumentare alle famiglie la detraibilità delle spese da queste sostenute per far studiare i figli fuori regione. Oggi l’importo massimo detraibile è pari a 500 euro, vale a dire il 19% di una spesa complessiva di 2.633 euro l’anno. Una cifra ridicola che non riesce a coprire neanche il costo di una singola mensilità del fitto. Il forum delle famiglie calabresi ha pertanto lanciato un appello a tutti i parlamentari calabresi affinché si facciano carico, con opportuni emendamenti in sede di approvazione della finanziaria, dove come abbiamo notato sono state presentate istanze varie, alcune delle quali volte a riconoscere compensi aggiuntivi ai docenti che insegnano nelle regioni nord.   Sembra logico che di fronte al diritto allo studio, diritto sancito dalla Costituzione, si trovi il modo di dare una risposta concreta ed immediata alle famiglie ed un segnale positivo agli studenti che, per diversi mesi, hanno inscenato la protesta delle tende presso i principali atenei del centro nord.  Ci sono battaglie di civiltà che bisogna saper affrontare e vincere con l’uso del buon senso e liberi da ogni forma di pregiudizio. 

A far studiare i figli fuori sede, a dover sostenere i costi citati, sono le famiglie meridionali e calabresi in particolare e l’eventuale introduzione di facilitazioni di natura fiscale sarebbe da tutti gradita.  Non pare quindi utile alla causa soffermarsi su pretesti o caratterizzare di colorazioni politiche una legittima e condivisa protesta di studenti e famiglie.  Su questo tema anche chi scrive, fin dalla scorsa primavera, ha sollecitato alcuni parlamentari calabresi dell’area di governo ricevendo risposte interlocutorie della serie «vedremo, approfondiremo».

Attendiamo fiduciosi le possibili novità all’interno dell’imminente finanziaria con la consapevolezza che quanti ricoprono cariche pubbliche, specie chi siede al Parlamento della Repubblica, è chiamato a trovare soluzioni concrete ai problemi dei cittadini, specie di quelli residenti nei territori di cui questi sono diretta espressione. Se non si riesce ad essere giusti interpreti del bisogno di riscatto dei calabresi, operare in maniera costante e qualificata per ampliare la sfera dei diritti e delle opportunità delle politiche pubbliche, allora è il caso che questi signori e signore imparino un mestiere e facciano altro. (fc)

EMIGRAZIONE: INARRESTABILE EMORRAGIA
IN DIECI ANNI PARTITI DAL SUD IN 525MILA

Emigrazione. In Calabria è emergenza. È quanto è emerso dal rapporto dell’Istat su Migrazioni interne e internazionali della popolazione residente 2021. La nostra regione, infatti, è quella che ha il tasso di emigratorietà più elevato: si parla di circa otto residenti ogni mille abitanti.

Nei dati provvisori riferiti al periodo «gennaio-ottobre 2022 – viene rilevato – rispetto allo stesso periodo del 2021, evidenziano un ulteriore moderato incremento dei flussi migratori interni (+4%) e dall’estero (+13%) e una forte riduzione dei flussi in uscita dal Paese (-20%)».

L’Istat ha rilevato, poi, che «nel 2021 è cresciuta (+6,7% sull’anno precedente) la mobilità interna (un milione 423mila trasferimenti). In aumento anche le immigrazioni (oltre 318mila; +28,6%) mentre diminuiscono le emigrazioni (poco più di 158mila; -1% sul 2020) soprattutto dei cittadini italiani (94mila; -22%)» e che «ha un età compresa tra i 25 e i 34 anni un emigrato italiano su tre: in totale 31mila di cui oltre 14mila hanno una laurea o un titolo superiore alla laurea».

Viene segnalato come ci sia una ripresa della mobilità tra Comuni: «nel 2021 – si legge nel rapporto – l volume dei trasferimenti di residenza interni al Paese, pari a 1 milione 423mila (+6,7% rispetto al 2020), è quasi in linea con il dato del 2019 quando si registrava circa 1 milione 485mila movimenti tra Comuni. L’aumento della mobilità residenziale si riflette sia tra i movimenti all’interno delle regioni (+7,4%) sia tra regioni diverse (+4,6%)».

«La mobilità interna – si legge – interessa soprattutto i cittadini italiani (in termini percentuali, quattro su cinque tra le persone che hanno cambiato residenza). Nel 2021 gli italiani che si sono trasferiti all’interno del Paese sono circa 1 milione 167mila, mentre i movimenti tra comuni degli stranieri sono 256mila. In termini relativi, invece, rispetto alla popolazione residente, il tasso di mobilità interna degli stranieri è più del doppio di quello degli italiani: si spostano oltre 50 stranieri per 1.000 residenti, contro 22 italiani per 1.000».

Ma, mentre il Centro Nord guadagna popolazione, il Mezzogiorno, invece, è in perdita: «In termini relativi i saldi migratori per 1.000 residenti più elevati si hanno in Emilia-Romagna (+3‰) e nella provincia autonoma di Trento (+2,3‰), quelli più bassi in Basilicata (-4,7‰), Calabria (-4,3‰), e Molise (-3,7‰). In generale, le regioni del Centro-Nord mostrano saldi netti positivi (in media, +1,3‰); viceversa, quelle del Mezzogiorno riscontrano tutte perdite nette di popolazione (-2,5‰)».

A livello regionale, in Calabria sono Reggio Calabria, Vibo Valentia e Crotone a registrare la perdita di più residenti. A Crotone si parla del -6,6%, per Reggio del -5,2% e Vibo Valentia -5,7%.

L’Istat, poi, ha rilevato come le migrazioni dal Mezzogiorno al Centro-Nord siano in leggero aumento: «Nei 10 anni 2012-2021 sono stati pari a circa 1 milione 138mila i movimenti in uscita dal Sud e dalle Isole verso il Centro-nord e a circa 613mila quelli sulla rotta inversa. Il bilancio tra uscite ed entrate si è tradotto in una perdita netta di 525mila residenti per il Mezzogiorno».

Nel 2021 la ripresa della mobilità interna ha interessato anche gli spostamenti lungo questa direttrice. Ammontano a circa 112mila i trasferimenti dai comuni meridionali verso quelli settentrionali, in lieve aumento (+3%) rispetto al 2020, ma in deciso calo (-17%) rispetto al periodo pre-pandemico.

La regione verso cui si dirigono prevalentemente questi flussi è, in termini assoluti, la Lombardia (28%) ma, in termini relativi, l’Emilia-Romagna è quella che li attrae di più (quattro trasferimenti dal Mezzogiorno per 1.000 residenti). La provincia del Mezzogiorno da cui si registrano più partenze verso il Centro-nord è Napoli in termini assoluti (17mila partenze), mentre Crotone ha il tasso di emigratorietà più elevato: 11 residenti su 1.000 che si spostano al Centro-Nord. Viceversa, la provincia Centro Settentrionale che riceve più emigrati dal meridione è Milano (14mila arrivi), ma, in termini relativi, l’area metropolitana di Bologna è più attrattiva (6%).

Un fatto curioso, invece, è che nel 2021 oltre la metà degli espatri ha origine nelle regioni nel Nord Italia: in particolare partono dal Nord-ovest del Paese circa 29mila italiani (30,6% degli espatri) e dal Nord-est oltre 21mila (22,5%), mentre dal Sud si parla di 18mila partenze. Non poche, ma sicuramente minori rispetto al Nord che deve fare i conti con una emorragia di popolazione che sceglie di andare in Europa.

Nel 2021 gli italiani espatriati sono soprattutto uomini (55%), ma fino ai 25 anni non si rilevano forti differenze di genere (16mila per entrambi i sessi) e la distribuzione per età è perfettamente sovrapponibile. A partire dai 26 anni fino alle età anziane, invece, gli emigrati iniziano a essere costantemente più numerosi delle emigrate: dai 75 anni in poi le due distribuzioni tornano a sovrapporsi. L’età media degli emigrati è di 33 anni per gli uomini e 30 per le donne. Un emigrato su cinque ha meno di 20 anni, due su tre hanno un’età compresa tra i 20 e i 49 anni mentre la quota di ultracinquantenni è pari al 14%.

Un dato non trascurabile, poi, è che un italiano su quattro emigrato ha almeno una laurea. L’Istat, poi, ha rilevato come «negli ultimi dieci anni i giovani italiani che hanno trasferito all’estero la residenza sono costantemente aumentati, mentre molto meno numerosi sono i rientri in patria».

Ma non sono solo i giovani laureati a spostarsi all’estero. Tantissimi sono, infatti, i giovani laureati nel Mezzogiorno che decidono di spostarsi a Nord o al Centro. Una emigrazione che favorisce il Nord che, “orfano” dei suoi giovani che partono, riesce a recuperare popolazione grazie al movimento migratorio dei giovani del Sud.

«Il Nord guadagna oltre 116mila giovani risorse provenienti dal Sud e dalle Isole – viene rilevato – il Centro quasi 13mila. Ne deriva che il beneficio complessivo per le regioni settentrionali è pari a circa 77mila unità; il Centro recupera parzialmente e limita la perdita a circa 265 unità; le uscite dal Mezzogiorno verso l’estero e verso le altre regioni d’Italia, invece, determinano una perdita complessiva di poco meno di 157mila giovani residenti laureati. Le giovani risorse qualificate provenienti dal Mezzogiorno costituiscono dunque una fonte di capitale umano per le aree maggiormente produttive del Nord e del Centro del Paese e per i paesi esteri».

Quello che emerge dal Rapporto Istat è un quadro preoccupante, che fotografa un problema atavico del Sud e a cui non sembra trovare soluzione. Quanti talenti e menti brillante, dalla Calabria, sono partiti per un futuro migliore? Tanti, forse troppi. Alcuni sono tornati, altri hanno deciso di rimanere, altri sono partiti e non sono più tornati nella loro terra d’origine.

È ora che si prenda in mano la situazione e Regione, sindaci, sindacati, parlamentari, associazioni lavorino in sinergia per creare le condizioni per permettere ai giovani – ma a tutti – di restare in Calabria. (rrm)

NON SI ARRESTA L’«EXPORT» DEI CERVELLI
LA FUGA DEI GIOVANI DA SUD E CALABRIA

dalla REDAZIONE ROMANA – Una recente ricerca del Centro Comunitario Agape sul protagonismo giovanile in Calabria ha messo in evidenza un dato allarmante e significativo: i giovani e le giovani calabresi si sentono lontani dalle istituzioni, non si sentono coinvolti e vi è sempre più l’esigenza di voler scappare dalla propria terra. otto su dieci in un campionario di 1000 studenti calabresi dell’ultimo anno hanno detto che progettano di andare a studiare fuori della regione e non tornare.

Questo dato è di grande rilevanza se rapportato al triste record di export di cervelli che la Regione Calabria può vantare: secondo i dati Bankitalia al 2018, in dieci anni, sono andati via dalla Calabria 26 mila laureati, un sesto dei residenti con gli stessi titoli. Come la vogliamo chiamare? Fuga di cervelli o emigrazione intellettuale? Cambia poco, la sostanza rimane la stessa: la Calabria si svuota e sono assenti nella regione politiche attive destinate ai giovani, in grado di offrire opportunità di formazione e lavoro nella propria terra. Il futuro rubato che non è solo una caratteristica dei giovani calabresi, bensì di tutti i ragazzi del Mezzogiorno.

Difatti il quadro che emerge dall’analisi dell’Ufficio Studi su “Economia e Occupazione al Sud dal 1995” di Confcommercio, è desolante: mancano nel Sud rispetto al 1995, «oltre 1,6 milioni di giovani». Secondo Confcommercio «l’Italia, nel complesso, perde 1,4 milioni di giovani nel periodo considerato: da poco più di 11 milioni a poco meno di 10 milioni». Un gravissimo dato se si considera che, a febbraio 2021, l’Istat, nel suo censimento permanente, ha rilevato come, al 31 dicembre 2019, la popolazione censita in Calabria è di 1.894.110 unità, con una riduzione di 17.911 abitanti, che equivale al -9,4% rispetto al 2018, e del -4,2% rispetto al Censimento 20211. Anche sul fronte del lavoro, maglia nera per la Calabria: la disoccupazione è del 21,9%, contro il 13,1% in Italia.  Il tasso di occupazione maschile è 45,1% +17% di quello femminile; il tasso di disoccupazione è al 20,1% e al 24,4% per uomini e donne.

Secondo Confcommercio, «l’Italia nel complesso perde 1,4 milioni di giovani nel periodo considerato: da poco più di 11 milioni a poco meno di 10 milioni. Tutta questa perdita è dovuta ai giovani meridionali. Mentre nelle altre ripartizioni il livello assoluto e anche la quota di giovani rispetto alla popolazione di qualsiasi età, restano più o meno costanti, nel Mezzogiorno si registra un crollo. La popolazione italiana complessiva è in riduzione dal 2015 proseguendo il suo calo anche nel 2020. Queste dinamiche, come si intuisce, sono completamente ed esclusivamente determinate dalla demografia del Mezzogiorno. Le prospettive non sono certo di miglioramento».

Un trend, quello registrato, che è strettamente legato non solo al tema della produttività, ma anche delle condizioni economiche e sociali di vita: l’Ente, infatti, ha evidenziato un «progressivo calo di peso del prodotto lordo del Sud: in poco più di venti anni da oltre il 24% al 22%. Le ragioni sono molteplici, ma le principali sono due: la decrescente produttività totale dei fattori, conseguenza dei gap di contesto che affliggono le economie delle regioni meridionali in particolare, e la riduzione degli occupati, conseguenza della riduzione della popolazione residente».

L’economia del Sud, infatti, è fragile: «a fronte di una crescita del 16,4% delle unità standard di lavoro per l’Italia, nei quasi cinque lustri considerati l’occupazione del Sud cresce di poco più di quattro punti». A sottolineare questa fragilità, gli ultimi dati dell’Istat nel rapporto Bes sul territorio, in cui è stato rilevato che,  se il tasso di occupazione della popolazione in età compresa tra 20 e 64 anni in media Italia è sceso al 62,6% dal 63,5% del 2019, al Sud  il tasso di occupazione in questa fascia di età è del 48%, rispetto al 71,5% del Nord e al 67,4% del Centro. In particolare, sono Crotone (35,6%) e Vibo Valentia, che registra un 40%.

«Sul tema della produttività – per Confcommercio – vale la pena di limitarsi alle diverse e recenti evidenze empiriche che identificano nella burocrazia, nella micro-illegalità diffusa, nell’accessibilità insufficiente e nella comparativamente minore qualità del capitale umano, le spiegazioni di un fenomeno strutturale che comprime il prodotto pro capite in modo permanente. Se nel Sud questi difetti fossero ridotti in modo tale da portarne le dotazioni ai livelli osservati nelle migliori regioni italiane, il prodotto lordo meridionale crescerebbe di oltre il 20% alla fine dell’aggiustamento di lungo periodo, rispetto a uno scenario senza interventi».

Ma, quello che viene fotografato, è un «acuirsi dei divari, almeno a partire dalla crisi del 2008: il rapporto tra prodotto pro capite reale di un abitante del Sud rispetto a quello di un abitante del Nord-ovest scende da 0,55 (55%) a 0,53. Non si può invocare, a parziale correzione di queste evidenze, un differente livello dei prezzi tra regioni. A queste differenze si contrapporrebbero, con effetto dominante, le difficoltà di accesso e fruizione di molti servizi pubblici di base».

«In generale, la tendenza delle politiche per il riequilibrio territoriale dovrebbe, a nostro avviso – suggerisce Confcommercio – passare da un piano di riduzione dei difetti strutturali del Mezzogiorno: controllo del territorio e contrasto alla micro-illegalità, digitalizzazione e innovazione nel rapporto burocratico tra cittadini e controparte istituzionale, investimento nell’istruzione di ogni ordine e grado, con ampio intervento su formazione e trasformazione continua delle abilità e delle competenze e, soprattutto, riduzione dei gap infrastrutturali di accessibilità – dai trasporti alla banda larga – che non permettono un’adeguata connessione socio-produttiva del Sud col resto del Paese e, soprattutto, con l’Europa».

«La riduzione di questi deficit – per l’Ente – aumenterebbe il livello e la dinamica del prodotto potenziale del Meridione, sviluppandone ricchezza e opportunità di investimento, anche provenienti dall’estero».

Tuttavia, per Confcommercio, «le radici del declino hanno natura strutturale e origini lontane nel tempo. Prima della crisi economico-finanziaria della seconda parte degli anni duemila, il Sud cresceva a scartamento ridotto rispetto al resto del Paese» di tre decimi di punto annui rispetto alla media Italia nel periodo 1996-2007 (1,2% contro 1,5% del totale Italia), e che tale scarto è raddoppiato «nel periodo 2008-2019, passando a sei decimi di punto (-0,9% contro una riduzione media dello 0,3% all’anno). Nel 2020, sulla base della stima preliminare dell’Istat, la crisi ha colpito meno il Sud rispetto al Centro-Nord che ha subìto, in misura più rilevante, il blocco delle attività produttive durante la pandemia».

Il vero pericolo, per Confcommercio, è quello di «tornare a crescere agli insufficienti tassi del passato recente e, ormai, anche meno recente» e, per scongiurare tale pericolo, «si invocano maggiori risorse, anche di derivazione europea», oltre che «riforme che mirano, in generale, a una migliore utilizzazione del capitale produttivo e umano, oltre che a un incremento delle dotazioni quantitative e qualitative dei medesimi. Il collegamento al turismo, sede e pilastro del vantaggio comparato meridionale è inevitabile. Questo vantaggio è, tuttavia, più nella sensibilità e nella speranza di molti italiani e della maggior parte degli esperti, piuttosto che nei dati».

«La valorizzazione del turismo, soprattutto nel Mezzogiorno del Paese, dovrebbe diventare una priorità operativa per tutti i soggetti interessati, sia privati sia pubblici» conclude l’analisi, in cui viene sottolineato che il rilancio sistemico di questo settore produttivo fondamentale, «si rifletterebbe anche in una maggiore produttività dei servizi di mercato e, al loro interno, della produttività delle imprese di più ridotta dimensione».

«Rilancio dell’economia, grazie ai vaccini, e piano nazionale di ripresa – ha dichiarato Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio – sono un’opportunità irripetibile per il nostro Mezzogiorno. In particolare, le risorse del Pnrr destinate al Sud, circa 82 miliardi, permettono di sviluppare e innovare le infrastrutture di quest’area. E migliori infrastrutture significano anche migliore offerta turistica che è la straordinaria risorsa del meridione». (rrm)

 

 

 

QUATTRO MILIONI DI EURO PER FAR TORNARE I CERVELLI AL SUD

19 settembre – Non sono tanti, ma è un buon inizio: ci sono 4 milioni di euro di risorse messi a disposizione dalla Fondazione Con il Sud per far rientrare nel Mezzogiorno ricercatori italiani andati via da almeno tre anni e residenti al Centro-Nord o all’estero. Il progetto, esteso anche agli stranieri con le stesse prerogative dei “cervelli” italiani emigrati per mancanza di lavoro, prevede uno stanziamento massimo di 400mila euro a progetto per una durata complessiva tra i 24 e i 36 mesi. L’iniziativa vuole stimolare la ricerca scientifica in Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia, favorendo il rientro di competenze e professionalità locali.

Immagine dal sito Fondazione Con il Sud (foto di Elisa Riva)

Il bando “Brains to South – Cervelli in fuga verso Sud” (www.fondazioneconilsud) scade il 28 novembre. Secondo quanto ha dichiarato Carlo Borromeo, presidente della Fondazione Con il Sud«L’obiettivo del bando è duplice: da una parte promuoviamo al Sud la capacità di attrarre cervelli e dall’altra sosteniamo la costruzione di carriere indipendenti di giovani ricercatori, italiani o stranieri, che decidono di portare innovazione e competenze nei centri di ricerca meridionali come responsabili scientifici delle loro ricerche. Questo permetterà ai nostri territori di sperimentare processi di innovazione sociale e inciderà sui processi di sviluppoanche grazie ai risultati della ricerca applicata.
Secondo i dati della Fondazione, sono 700mila i laureati ne nel decennio 2001-2011 anno lasciato l’Italia e nello stesso periodo più di 170mila laureati si sono trasferiti dal Sud al Nord Italia con una crescita esponenziale. Dal 10,7 % del 2001 si è passati al 25% del 2011. Un’emorragia che impoverisce le regioni meridionali, oltre a mortificare le aspettative e le capacità dei giovani laureati delle università meridionali, che sono, peraltro, molto quotate e apprezzatissime. Non è un caso che i giovani calabresi, che escono da Cosenza, da Reggio, da Catanzaro, trovano subito opportunità di lavoro all’estero o nel Centro.Norde possono mettere a frutto le loro competenze turando esperienze e professionalità, ma non a vantaggio della propria terra.
La Regione Calabria, a questo punto di vista pare si stia svegliando: stanziati 128 milioni di euro per avere centri di alta formazione. (vedi in altro articolo di Calabria.Live). (rrm)