COSENZA CITTÀ UNICA: È UN GRAVE ERRORE
NON AVER INCLUSO MONTALTO UFFUGO

di DOMENICO MAZZA – La Regione Calabria ha fissato la data del referendum consultivo per saggiare il volere popolare sulla fusione amministrativa di Cosenza, Rende e Castrolibero.

Negli intenti, la volontà di creare una Città demograficamente importante e che acquisisca un ruolo ancor più centrale nei processi regionali e negli assetti del Mezzogiorno d’Italia. Personalmente, ho sempre accolto di buon grado i concept amministrativi forieri di migliorie per gli ambiti a cui rivolti. Non ho mai nascosto, tra l’altro, simpatie verso quei processi a cui, giocoforza, le realtà del Sud Italia e in generale del nostro Paese, dovranno adeguarsi per vincere le sfide che l’Europa metterà in campo nei prossimi anni.

Amalgama amministrativa in val di Crati: il preambolo a nuovi assetti di governance regionali 

La Città bruzia, caratterizzata negli anni da un fenomeno politico che affonda radici nei principi cardine del centralismo storico, potrebbe finalmente aprirsi, almeno alle Comunità contermini, a una visione inclusiva e non più schiacciata su sé stessa. Nel corso degli ultimi decenni, infatti, nel succinto perimetro civico, è stato accentrato l’inverosimile. Tale dissennata operazione, purtroppo, ha reso sterili i territori dirimpettai e fatto terra bruciata degli ambiti lontani dal baricentro bruzio.

Il progetto di fusione amministrativa a Cosenza, in funzione di una razionalizzazione del numero dei Comuni e nell’ambito di una prospettiva che renda la Calabria una Regione coerentemente europea, potrebbe diventare volano di svolta se accompagnato da una nuova governance del territorio regionale. I processi di tale natura, infatti, concorrono a realizzare un nuovo modello di sviluppo sostenibile e compatibile con le uniche risorse certe della programmazione europea e di quella emergenziale del Recovery. La rinnovata funzione che il ridefinito perimetro urbano acquisirebbe, a seguito della sintesi civica, potrebbe modificare la geografia dei luoghi.

I vantaggi dell’operazione avrebbero ricadute positive non solo per l’ambito strettamente cosentino, quanto per tutta l’area del Pollino-vallivo e della striscia alto-tirrenica. Potrebbe cambiare, anche, la narrazione degli equilibri politici tra il contesto vallivo del Crati e quello istimico, soprattutto se dovessero concretizzarsi le prove tecniche di nuovo ambiente metropolitano tra Catanzaro e Lamezia.

Esclusione di Montalto Uffugo dal progetto: un grave errore di valutazione

Spiace, tuttavia, prendere atto della mancata lungimiranza politica nell’aver escluso la comunità di Montalto Uffugo dalla partita amministrativa. Non aver compreso, altresì, la valenza degli investimenti che nei prossimi anni si riverseranno sulla richiamata realtà, dimostra poca visione d’insieme. Vieppiù, rischia di far passare il processo in evoluzione come la mera sommatoria di Enti finalizzata a fare cassa. Dalle nuove disposizioni in materia d’amalgama amministrativa, infatti, si evince che al superamento del tetto demografico dei 100mila ab. al nuovo Comune sarà riconosciuto, in dilazione nei dieci anni successivi alla costituzione del nuovo Ente, un bonus di 150milioni.

Inoltre, in ottica di futura realizzazione della Città Metropolitana di Cosenza (reale obiettivo sotteso alla fusione dei tre Comuni), presentare una città di 130mila ab. avrebbe avuto un appeal maggiore rispetto ad una Città di appena qualche migliaio d’ab oltre soglia 100mila. Del resto, circoscrivere la fusione cosentina al solo riassunto amministrativo di tre Comunità, ovvero pensare ad una realtà che uscirebbe consolidata demograficamente dal processo senza immaginare un suo ricollocamento nello scacchiere della interterritorialità, non sarebbe esplicativo della prospettiva più ampia.

La fusione bruzia: il processo prodromico a una nuova riforma sistemica degli Enti intermedi 

I reali desiderata che si celano dietro il progetto di fusione e che gemmeranno all’indomani della sua realizzazione, altro non sono se non il preambolo alla costituzione di una nuova Città Metropolitana. Qualora poi il disegno in atto tra Catanzaro e Lamezia dovesse concretizzarsi, la nuova governance della Regione tornerebbe ad essere quella precedente al 1992. Chiaramente, le descritte eventualità renderebbero totalmente vane le flebili narrazioni che sullo Jonio, nei primi anni ’90, hanno visto la creazione della Provincia di Crotone e più recentemente, nel contesto sibarita, la nascita della nuova Città di Corigliano-Rossano. Quanto detto, tuttavia, non deve spaventare l’Arco Jonico e le sue classi dirigenti. Al contrario, dovrebbe motivarle! Fermo restando le opportunità che, per l’ambito di riferimento, potrebbero derivare dalla fusione di Cosenza, è tempo che la Sibaritide e il Crotonese si interroghino sul fatto di imbastire la nascita di due grandi Città in riva allo Jonio.

Basterebbe, infatti, un’apertura da parte di Corigliano-Rossano e Crotone alle rispettive Comunità dirimpettaie per avviare la nuova costituzione di due realtà urbane da 100mila abitanti. Di sicuro, le descritte operazioni non avrebbero senso se inquadrate negli attuali contesti perimetrali amministrativi. Piuttosto, andrebbero avviate operazioni di ricollocazione delle due Città joniche in un unico ambito omogeneo che faccia da minimo denominatore tra aree a interesse comune.

Pertanto, lungo l’Arco Jonico, sarebbe il caso di ammainare la sciabola dell’impalpabilità politica che vede tanto Crotone quanto Corigliano-Rossano distinguersi per operazioni inconsistenti e inefficaci. Dovrebbe essere un imperativo, quindi, avviare tutte le interlocuzioni possibili per finalizzare la costituzione di un’area, demograficamente importante e politicamente rilevante, lungo gli ambiti del Crotonese e della Sibaritide.

La Grande Cosenza: modello ispiratore alla Grande Sybaris e alla Grande Kroton, per una nuova narrazione della Calabria 

In un periodo caratterizzato da processi geo-politici di grande mutamento, all’Establischment jonico corre l’obbligo di studiare soluzioni ottimali affinché il proprio ambiente non continui a essere fagocitato dai rispettivi centralismi storici. Due Città da 100mila abitanti ciascuna, inquadrate in una area vasta di oltre 400mila abitanti, avrebbero tutte le carte in regola per sedere al tavolo delle geometrie politiche regionali.

Crotone e Corigliano-Rossano hanno il dovere di fornire alle rispettive popolazioni un ragionevole tasso d’interesse che possa rappresentare il deterrente al dramma dell’emorragia demografica verso altre realtà. Continuare a perseguire strade bocciate dalla storia e dai fatti non aiuterà lo Jonio a diventare un luogo migliore. Fossilizzarsi su proposte come la Provincia della Sibaritide-Pollino per Corigliano-Rossano o, nel caso crotonese, anelare di far parte dell’area centrale della Calabria, significherebbe proseguire in azioni politiche masochistiche, condannando i territori alla soccombenza e all’impalpabilità. Mentre Cosenza, legittimamente, mira a costruire una realtà urbana che guarderà al domani con ambizione e progettualità, Corigliano-Rossano e Crotone non possono continuare a indugiare sul loro necessario futuro comune.

Vieppiù, baloccandosi in rabberciati progetti con quelle realtà che da sempre hanno agito come aguzzini nei rispettivi riguardi.

È tempo di avviare una rivisitazione degli Ambiti Territoriali Ottimali che costituiscono l’hub per la gestione dei servizi economici principali ai cittadini, ma anche centro di crescita, innovazione e sviluppo.

È tempo di aprirsi ai progetti di coesione territoriale con ingegno, visione e prospettiva.

È tempo per la Grande Cosenza, ma anche per la Grande Kroton e la Grande Sybaris.

È tempo, soprattutto, per Magna Graecia. (dm)

[Domenico Mazza è del Comitato Magna Graecia]

L’ARCO JONICO PIACE MOLTO AI TURISTI
LA POLITICA NE PROGETTI IL RILANCIO

di DOMENICO MAZZA – Dal controllo dei dati sul Por Calabria 2014/20 — pur nella consapevolezza che a dicembre ’23, con ogni probabilità la Regione, per mancato utilizzo, dovrà restituire all’Europa ingenti somme — si rilevano indici di particolare interesse. Tuttavia, ad oggi, i richiamati riscontri appaiono poco tenuti in considerazione. Almeno, non in quella che avrebbero dovuto o meritato di avere.

Mi riferisco alle informazioni sui flussi turistici, così come alle località particolarmente gettonate dalle presenze di ospiti.

Quando pensiamo all’insieme di attività e servizi che si riferiscono al trasferimento temporaneo di persone dalle località di abituale residenza, così come ai centri maggiormente prediletti dalla partecipazione antropica, immaginiamo, a giusta ragione, che la scelta si rivolga alle piccole località.

In Calabria, forse anche per oculate campagne di marketing perpetuate nel tempo, Tropea, Ricadi (Capo Vaticano) ed altre mete toccano, nel nostro immaginario, un numero di presenze particolarmente rilevante.

Quanto detto trova parziale giustifica, anche, nella oggettiva ed insindacabile constatazione che le menzionate località hanno impostato tutta la loro economia sul turismo. A questo si aggiunga la vicinanza delle su riportate comunità a nodi della mobilità intermodale (aeroporto e stazione di Lamezia) ed il gioco è fatto.

Tuttavia — da un’attenta analisi dei numeri — il dato relativo alle presenze turistiche sembra arridere, in maniera particolare, agli ambiti urbani ed ai contesti dirimpettai e conurbati a Corigliano-Rossano e Crotone. Collegando le presenze dei Comuni di Villapiana, Cassano-Sibari, Corigliano-Rossano e Crotone, Isola C.R.,Cutro, ci troviamo innanzi al più imponente sistema turistico-ricettivo della Regione. I circa 100 km di litorale dei richianti comuni dell’Arco Jonico assemblano oltre 41mila posti letto complessivi. Quasi 7mila in più al confronto con la Costa degli Dei e circa il doppio rispetto la Riviera dei Cedri.

Un sistema imponente, mastodontico, gigantesco. Tuttavia, sottovalutato o, comunque, non adeguatamente valorizzato e messo in condizione di essere un reale motore economico. Forse anche snobbato. Eppure, poco sfruttato o, almeno, non appieno. E che per caratteristiche di costa, assimilabili  quasi esclusivamente a riviera, potrebbe crescere ancora in maniera esponenziale.

Quanto descritto chiarisce due fondamenti. Da un lato le notevoli presenze nei due principali centri urbani della Sibaritide e del Crotoniate, configurano le Città pitagorica ed ausobizantina come un unicum distinguendole dagli altri principali centri calabresi che neppure si avvicinano a numeri così importanti. Dall’altro che, iniziando ad investire concretamente in un sistema turistico integrato dell’Arco Jonico, tutta la linea di costa, compresa tra la Sibaritide e Capo Rizzuto, potrebbe concorrere efficacemente a rilanciare l’intero sistema Calabria.

Vieppiù, allargando il contesto a tutto il bacino del Golfo di Taranto, l’area assumerebbe le caratteristiche della principale piattaforma turistica rivierasca non già del Mezzogiorno, ma dell’intero Paese. E non esagero se azzardo a dire, finanche, d’Europa.

Bisognerebbe, quindi, puntare sul definitivo completamento ed efficientamento delle opere ferro-aero-stradali (aeroporti di Crotone e Taranto, ferrovia jonica, SS106). Così come al rilancio dell’attività diportistica interregionale fra i 24 approdi sparsi tra Le Castella e Santa Maria di Leuca.

Le nuove infrastrutture e la rigenerazione di quelle esistenti, dovrebbero essere i capisaldi da cui partire.

È il caso che la politica si interroghi su quanto illustrato. Ed è ora che lo faccia favorendo progetti integrati anche fra realtà amministrativamente legate a concezioni superate dalla storia e dai fatti. Così da finalizzare una declinazione della Regione rinnovata e, straordinariamente, innovativa che possa riscrivere la storia del territorio.

Un  concetto, quello delle affinità tra aree ad interesse comune, ancora troppo ancorato a sistemi di tipo centralista e con spiccate diseconomie sperequative tra una costa e l’altra.

Solo così la Calabria potrà candidarsi ad essere il reale fulcro degli equilibri mediterranei e il principale polo attrattivo per gli imponenti flussi turistici internazionali.

Il brand Magna Graecia, può essere un richiamo di valenza mondiale. La Locride l’ha già capito e, di recente, ha avviato rapporti di reciproco interesse con la Grecia per rilanciare turismo balneare ed esperienziale.

Sibaritide e Crotoniatide non stiano alla finestra!

Si aprano ad una straordinaria visione del territorio che dall’estrema porzione di levante calabrese si allarghi al dirimpettaio ambito di ponente pugliese, passando per la lingua di costa lucana. La baia del golfo di Taranto, non è, semplicemente, il fulcro dello Jonio; è il baricentro del Mediterraneo.

Si sfrutti, mettendo a sistema, la favorevole geografia che ci è stata regalata. Si avviino processi di rivisitazione del territorio con politiche che amplifichino un nuovo paradigma turistico. Non già e non solo per lo Jonio, ma perché il riverbero di un’operazione del genere rilancerebbe tutto il farraginoso e minorato sistema calabrese.

E i benefici arriderebbero a tutta la Regione. (dm)

[Domenico Mazza è del Comitato Magna Graecia]

IL NUOVO COLLEGIO JONICO OPPORTUNITÀ
PER COESIONE TERRITORIALE CALABRESE

di DOMENICO MAZZA e GIOVANNI LENTINI – I preparativi per l’imminente e, per alcuni aspetti, inattesa campagna elettorale hanno, prepotentemente, riportato le segreterie politiche della fascia jonica ad interrogarsi sul futuro del nuovo collegio unico che assembla i territori della Sibaritide e del Crotonese.

Le compagini partitiche, in periodi contingentati e scelte dei candidati da fare nel più breve tempo possibile, sono giunte a questo appuntamento sostanzialmente impreparate e colpevolmente in ritardo. Questo perché le vicende relative la nuova geografia politica non sono state affrontate per tempo, nonostante i rinnovati perimetri elettorali fossero stati resi noti da circa due anni. Ma tant’è.

Tuttavia, considerati una serie di fattori non trascurabili, riteniamo che una riflessione di merito vada affrontata. Quanto detto per appurare se il rinnovato disegno elettorale corrisponderà ad una rigenerata consapevolezza dei Popoli e di Coloro che intenderanno candidarsi a rappresentarli. Quindi per capire se la nuova Circoscrizione implicherà potenzialità ed autodeterminazione del territorio, piuttosto che l’ennesima soccombenza e abdicazione di ambiti storicamente periferici ai dettami imposti dalle segreterie storiche dei partiti. Le stesse che, ormai, duole costatare, sono ridotte a luoghi marginali nella vita delle Comunità. 

In Calabria, l’organizzazione dei partiti risulta ancora improntata su un sistema verticistico di tipo provinciale. Se a questo aggiungiamo che, eccezion fatta per la provincia di Catanzaro, tale disegno non ricalca il perimetro di riferimento dei collegi, mal comprendiamo come ancora non si sia corsi ai ripari. E lo diciamo con estrema franchezza poiché spiace registrare, a fianco la pressoché razionale perimetrazione apportata a seguito della riforma del numero dei Parlamentari, la mancata riorganizzazione dei sodalizi politici riguardosa delle nuove aree elettorali. 

Stiamo assistendo ad una imbarazzante situazione che sfocia nella più totale confusione poiché ci troviamo di fronte ad un collegio (quello jonico) fatto di affinità e comunione territoriale, ma di rapporti politici mai stretti e, ad oggi, del tutto ignorati tra il versante Crotonese e quello Sibarita. 

Diciamo questo con la consapevolezza che un territorio, ormai indissolubilmente legato, per definirsi tale, dovrebbe ragionare all’unisono e guardare insieme nella stessa direzione. 

Non è pensabile che le segreterie dei partiti debbano far riferimento ad organigrammi ancorati su base provinciale se poi né le competizioni regionali, tantomeno quelle nazionali, si affiliano ad un disegno proponente il bacino della provincia.  In questo modo si perde la bussola!  Si rischia di essere fuorviati nella ricerca dei punti di riferimento. Si produce confusione e non si comprende come si possa fare rete.  Tale condizione, necessariamente, genera l’avanzata di quanti sguazzano alla grande nella frammentazione territoriale. 

È cosa risaputa che le divisioni all’interno di un territorio favoriscano processi di dissoluzione dello stesso a vantaggio di altre realtà, storicamente coese. 

Ad oggi, almeno da quanto appare dalle prime indiscrezioni d’agenzia, registriamo che Partiti e Vertici capitolini, guardino l’Arco Jonico come terra di conquista ed agro utile per collocare il soverchio di altre realtà territoriali. 

Ciò detto, qualora dovesse essere confermato dalla composizione delle liste, avrà significato quanto i centralismi abbiano continuato a conferire un’effimera valenza elettoralistica al nostro territorio. 

Al contrario, forse perché spinti da un cavalleresco romanticismo, noi attribuiamo a questa Terra un valore e un significato strategico. Determinante per la Calabria, la baia jonica, il Mezzogiorno e l’Italia. Decisivo per l’Europa e il Mediterraneo.

Per ovviare a tanto scompiglio sarebbe necessario che nella prossima competizione elettorale, i Partiti, la Classe politica, i Candidati si pronunciassero sui temi della coesione territoriale. Parimenti a come dovrebbero assumere una posizione chiara e netta su quelle tematiche che, giocoforza, riguardano e riguarderanno il Sol Levante jonico calabrese nei prossimi anni. 

Alludiamo ad argomenti quali un’area vasta che la Calabria del nord-est merita di vedersi riconosciuta, ma nel naturale alveo territoriale sibarita e crotoniate; non già in snaturati perimetri bocciati dalla storia e dai fatti e posti sotto l’egida centralista dei Capoluoghi storici. 

Parliamo di come avviare la porzione calabrese dell’Arco Jonico a ricongiungersi funzionalmente con i rimanenti segmenti lucani e pugliesi in quella baia posizionata al centro del Mediterraneo. Il tutto in un grande e funzionale contenitore metropolitano interregionale. 

Ed ancora di come voler mettere a sistema i principali siti archeologi della Magna Graecia nella Riva Sud d’Europa. Insomma, di progetti che non siano semplici specchi per le allodole, ma riescano ad inverare un accrescimento significativo dell’offerta di lavoro. 

Sarebbe un bel segnale se la campagna elettorale si incentrasse su queste tematiche. Significherebbe, finalmente, trasmettere agli elettori una visione. E magari si riuscirebbe anche a portare nella cabina elettorale il tanto agognato voto d’opinione. 

Un’inversione di tendenza rispetto le passate competizioni elettorali dove a prevalere sono sempre stati slogan più improbabili che improponibili. E questo per evitare di assistere ad una campagna elettorale dalla quale potrebbero uscire (comunque) tanti vincitori, ma a perdere potrebbe essere il territorio.  (dm-gl)

AREE INTERNE: LA CALABRIA SCOMMETTA
SU BORGHI E PERIFERIE PER LA RIPARTENZA

di GIANLUCA SUCCURRO e DOMENICO MAZZA – Spesso ci concentriamo ad immaginare possibilità di sviluppo che riverberino migliorie ai principali contesti urbani della Regione. Vuoi perché queste sono sedi principali del dibattito politico, vuoi le sfide economico-finanziare che nei prossimi anni le vedranno protagoniste, resta il fatto che le Aree Interne, spesso, passano un po’ in sordina.

Eppure, basterebbe solo aprire una qualunque carta geografica per rendersi conto che quel vasto ambito compreso tra le valli del Neto e del Trionto e di rimpetto, vicendevolmente, allargato alle propaggini vallivo-rivierasche del Tacina e del Crati è la più grande Area Interna della Regione e fra le più estese del Meridione insieme ad alcuni contesti interni dell’Irpinia e del Cilento.

Un territorio, quello pedemontano jonico, che è stato, volutamente, tenuto ai margini dalla politica. Quest’ultima, ossequiosa a dinamiche ed equilibri centralisti, ha preferito investire in altri ambiti, ingrassandoli ed ingessandoli all’inverosimile. E come contropartita le aree rurali della Sila Greca, del Marchesato e del Pollino di levante, sono state abbandonate ad un destino triste e scarno di possibilità di crescita.

Riteniamo sia operazione non più differibile rilanciare quest’ambito. E per farlo, giocoforza, bisognerà ripartire dalle due principali Comunità che su quest’area insistono: Acri e San Giovanni in Fiore. Invero va annotata, nei succitati Comuni, un’iniezione di fiducia posta di recente. Entrambi sono risultati beneficiari di 5 milioni di euro cadauno nell’ambito dei fondi per la rigenerazione urbana. Nei casi di specie la popolazione superiore ai 15mila abitanti ha fatto sì che queste Comunità potessero concorrere al riconoscimento del finanziamento per ovvi motivi legati ai rispettivi tetti demografici.

Escluse però le esperienze della città dell’Abate Gioacchino e di Sant’Angelo, le altre Comunità rappresentano un insieme di piccoli Paesi ad elevato IVSM (Indice di vulnerabilità sociale e materiale), dove solo in casi sporadici si superano i 5000 residenti. Comunità, ormai, vissute, per lo più, da popolazione anziana e private di ogni tipologia di servizio. In taluni casi, anche quelli più basilari.

Rilanciare politiche di inclusione e coesione, basate su principi di sussidiarietà che siano forieri di migliorie sociali, rivitalizzerebbe tali contesti. Per farlo sarà necessario far ripartire i servizi di base a cominciare da una rinnovata visione della sanità territoriale, accompagnata da un rimpinguo della sanità ospedaliera nei due presidi di montagna presenti.

Ed ancora preparando il campo ad uno sviluppo economico, produttivo, imprenditoriale turistico e culturale, foraggiato da una revisione e messa in sicurezza dei sistemi infrastrutturali comuni.

Senza dimenticare che un rinnovato processo di crescita dell’entroterra jonico, fedele ai dettami del new green deal, riverbererebbe benessere e crescita anche ai principali ambiti urbani rivieraschi a cui le Comunità, montane e pedemontane, fanno riferimento per i relativi servizi comprensoriali.

Registriamo, comunque, una nota positiva su quelle Municipalità poste sulle sponde del tratto terminale del Neto. Queste, con lungimiranza amministrativa, hanno iniziato a pianificare un percorso comune al fine di poter concorrere, entro la fine del prossimo mese, ad uno spin-off del bando sulla rigenerazione urbana, pensato su basi di aggregazioni demografiche. Così come plaudiamo all’operazione della unione di Comuni a cui si è proceduto poco tempo fa sul territorio del Pollino di levante. E, sempre sullo stesso ambito, alla recente e sinergica proposizione di un CIS (Contratto Istituzionale di Sviluppo) che, senza frammentare le forze in progetti singoli e non correlati, ha amalgamato una linea di pensiero tra più Enti ad una progettualità comune ed inclusiva.

D’altronde, le sfide del Pnrr, ci inducono a pensare che una rivisitazione degli attuali apparati amministrativi della Regione, giocoforza, dovrà essere attuata rivedendo la geografia politica e favorendo unioni, fusioni, contratti di fiume, ambiti ottimali, aree Vaste e Metropolitane che rappresentino, anche, il superamento degli attuali, scriteriati, confini amministrativi provinciali.

Operazioni di tale portata, contrariamente a quanto qualche mente deviata possa pensare, non limitano la partecipazione dei Cittadini alla vita democratica delle Comunità. Piuttosto adeguano ai dettami contemporanei una società ed un tessuto urbano e rurale da svecchiare e modernizzare in chiave sostenibile.

Invitiamo, quindi, a rivedere, revisionare, rettificare le azioni e le politiche impostate negli ultimi 30 anni.

E questo dovrebbe essere, per gli Amministratori jonici, un imperativo!

Solo così si potrà evitare che, da qui ai prossimi 20anni, le Aree Interne dell’Arco Jonico possano rappresentare la cartina di tornasole di un territorio isolato ed abbandonato. Evitando, ordunque, che queste si con figurino, nella loro quasi totale interezza, come grandi scenari fantasma dal quale i Cittadini continueranno a scappare via, a gambe levate, per l’assoluta carenza di servizi.

Invertiamo il paradigma che, ad oggi, ha rappresentato le linee di indirizzo con cui l’entroterra è stato guidato.

Del resto, se non ora, quando? (gnu-dm)

SANITÀ, «NO A UNA VISIONE CENTRALISTA»
L’ALLERTA DEL COMITATO MAGNA GRECIA

Le immagini video dei malati covid, al Gom, fatti passare in barella in mezzo a chi era in attesa del vaccino ha fatto il giro del web e creato un’indignazione generale. Da un lato c’è l’impegno costante e davvero encomiabile del Presidente Occhiuto, dall’altro c’è chi – come il Comitato Magna Grecia – vede aspetti che rivelano criticità non superate. Certamente, quello che Roberto Occhiuto ha fatto nei suoi primi 100 giorni da Governatore non è cosa da tutti, questo va riconosciuto. D’altronde, ereditare un sistema sanitario regionale distrutto dal commissariamento che dura 12 anni non è un fardello facile da portare, soprattutto se si vuole cercare di sopperire alle grave mancanze che, purtroppo, hanno costretto tanti, troppi calabresi ad emigrare per curarsi altrove.

Il fatto che Occhiuto sia riuscito, in appena 100 giorni di governo, a riaprire tre ospedali, ad aumentare i posti letto in terapia intensiva e ad avviare con Enel X e il Policlinico Gemelli di Roma una importante partnership per quanto riguarda la telemedicina per la gestione in remoto dei malati covid-19 è un touché più che dovuto a un uomo – e poi politico – che si è rimboccato le maniche per la sua terra, ma non è abbastanza per il Comitato Magna Graecia che ricorda, ancora una volta, come «la visione centralista in Calabria continua a produrre danni, anche, in materia sanitaria».

L’allocazione di alcuni posti letto per medicina covid nel presidio di Cariati e Trebisacce, oltre che a Rogliano, Praia e Tropea, «disattende – spiega il Comitato – quelle che, già nel lontano gennaio 2020, furono le linee guida prescritte dal Ministero della Salute in tema di trattamento delle patologie derivanti da infezione Covid 19 che tendeva all’accertamento esclusivo dei Polo Covid negli ospedali Hub, svuotandoli dei ricoveri ordinari da destinare agli ospedali spoke ed, eventualmente, nelle strutture private convenzionate».

«Tale disegno era stato ripreso, anche – spiega il Comitato – dalla già compianta Presidente Jole Santelli, in occasione del primo Consiglio Regionale. La storia, come tutti sappiamo, è andata diversamente. Si è preferito commistionare gli ambienti di (quasi) tutti gli ospedali con la risultanza sistemica del tracciamento, puntualmente, saltato. Se le disposizioni fossero state rispettate, durante i picchi pandemici, la Calabria avrebbe avuto oltre 1600 posti letto Covid localizzati nei 4 Hub (che di per sé ospitano infettivologi, virologi, etc etc, diversamente dagli ospedali spoke). Invece si è preferito agire in maniera confusa, contaminando tutti gli ambienti ospedalieri e generando il panico nelle strutture sanitarie. Soprattutto quelle di periferia, svuotate già di competenze e maestranze a seguito del piano di rientro operato circa 15 anni fa».

«In una condizione, ormai degenerata – scrive il Comitato – le strutture sanitarie dismesse, avrebbero potuto dare sollievo agli Hub ed agli Spoke, ormai stremati, se in queste fossero stati resi operativi pronto soccorso e reparti di medicina generale.  Fortunatamente, la variante omicron, non sembra particolarmente letale, ma, sicuramente, è altamente contagiosa. Questa, con svizzera puntualità, ha fatto registrare le problematiche che verifichiamo, quasi costantemente, da circa due anni: pronto soccorso promiscui ed intasati, file chilometriche di ambulanze, operatori sanitari stremati e digressione di ogni tracciamento».

«Come Comitato – viene ricordato – abbiamo proposto la riapertura dei Presidi dismessi di Cariati e Trebisacce e la rifunzionalizzazione dei Presidi di Acri e San Giovanni in Fiore, sin dai tempi non sospetti e ben prima che il problema pandemico fosse avvertito dall’opinione pubblica. Solo un’adeguata risposta sanitaria di primo intervento sui micro-ambiti avrebbe potuto alleviare il carico di lavoro su Hub e Spoke. I primi, qualora fossero stati già destinati ad ospedali di base, avrebbero potuto filtrare il carico di lavoro pendente sugli ospedali di primo e secondo livello, alleviando le inevase domande sanitarie, soprattutto, per le Aree Interne direttamente afferenti ai presidi di cui sopra».

«E mentre sullo Jonio – viene evidenziato dal Comitato – si continua a brancolare nel buio, preferendo spostare figure sanitarie da un reparto all’altro e da un presidio all’altro, sugli ospedali Hub si pianificano le assunzioni di nuovo Personale.  È di qualche settimana fa l’annuncio di ben 221 unità al Presidio dell’Annunziata. Siamo felici del rimpinguo in Val di Crati, ma gradiremmo che pari trattamento venisse riservato alle strutture joniche. A quelle storiche ed a quelle che si spera possano essere riaperte come ospedali e non, semplicemente, per le cure Covid a bassa intensità».

«A fianco a questo – viene spiegato – registriamo che il recente investimento regionale sulle nuove apparecchiature sanitarie, a fronte di 86 milioni d’investimento, riserva allo Spoke di Corigliano-Rossano, semplicemente, un mammografo destinato al plesso Ausonico.  Ed ancora, nelle ultime ore si è deciso di chiudere l’unico reparto di terapia intensiva presente tra Crotone e Policoro, salvo riaprirlo dopo qualche ora, ma con all’attivo 6 anestesisti su una pianta organica che ne prevederebbe almeno 12. La classica toppa peggiore del buco».

«Per quanto ci riguarda la visione sanitaria sullo Jonio – spiega ancora il Comitato – dovrebbe essere chiara e lampante: tutto l’ambito compreso tra il Crotonese e la Sibaritide, non può continuare a restare sguarnito di un’Azienda Ospedaliera. Questa dovrebbe ottimizzare i presidi Spoke esistenti, rilanciando, definitivamente, i presidi di Cariati e Trebisacce come ospedali di base e non certo come lazzaretti. Pari trattamento dovrebbe essere riservato ai presidi di montagna di Acri e San Giovanni in Fiore, partendo dal presupposto che tali strutture andranno rimpinguate di personale (così come a breve avverrà per il Presidio di Cosenza) e dotate, in primis, di pronto soccorso efficienti e quindi dei servizi di chirurgia e medicina di base».

«Fatto ciò, si dovrà innalzare – suggerisce il Comitato – il costruendo presidio di Corigliano Rossano a ospedale di secondo livello predisponendo, immediatamente, i lavori di risanamento PS e rimpinguo maestranze sul Presidio di Crotone.

«La visione centralista in Calabria continua a produrre danni, anche, in materia sanitaria – conclude il Comitato –. E non è un caso l’incremento preoccupante del dato riconducibile all’emigrazione sanitaria verso strutture del nord. È questa la vera cartina tornasole: guardiamo il dato di quanti cittadini calabresi si recano fuori Regione con grave dispendio di risorse sia per le casse regionali sia per il cittadino stesso costretto ai viaggi della speranza e a sobbarcarsi di spese per raggiungere mete lontane. E qui abbiamo persino chi plaude per qualche posto letto in più. Appare evidente la scarsa qualità di una certa classe politica che mal rappresenta le esigenze dell’Arco Jonico nelle stanze che contano». (rkr)