di FRANCO BARTUCCI – La difesa del suolo e dall’inquinamento dovrebbero essere temi di cui la politica dovrebbe prestare più attenzione. D’altronde, si sa che la Calabria è una regione ad alto rischio idrogeologico e il maltempo e i recenti danni provocati nella zona Tirrenica e Jonica sono un chiaro segnale della necessità e del bisogno di fare di più, magari attuando interventi prioritari e mettendo in sicurezza le strutture e le aree a rischio.
Lo stesso presidente della Regione, Roberto Occhiuto, nel suo intervento al Tg2, ha evidenziato come «la nostra epoca stia pagando anche le conseguenze di un consumo del suolo fatto dalle generazioni precedenti, e che oggi espone molta parte della popolazione a gravi rischi. In Calabria ci sono dei fiumi che sono tombati. Il problema è che la natura non sa che quel fiume non c’è più e che al suo posto c’è una strada, e quando piove si trasforma di nuovo in un torrente, in un fiume, trascinando tutto ciò che si trova davanti», così come – sempre secondo il Governatore – «questo tema della difesa del suolo e della lotta all’abusivismo dovrebbe essere in cima all’agenda politica di tutti i decisori, sia di quelli che partecipano alle scelte del governo nazionale, sia di quelli regionali e comunali.
È davvero importante che ci sia una coscienza collettiva che deve riguardare anche i cittadini, spesso autori degli abusi».
Di questo, poi, se ne è parlato in modo più approfondito alla 43esima edizione del Corso sulle Tecniche per la Difesa del Suolo e dall’Inquinamento all’Università della Calabria, svoltosi nei giorni scorsi.
Presieduto ed introdotto dal prof. Francesco Calomino, attuale direttore e coordinatore del Corso dopo l’ideatore, prof. Giuseppe Frega, ad aprire i lavori dell’edizione 2022, dopo la sospensione di due anni a causa della pandemia, presente il Prorettore con delega al Centro Residenziale, prof.ssa Patrizia Piro, è stato colui che spetta il merito di avere organizzato alla fine degli anni Settanta tale importante evento annuale di grande valenza scientifica e progettuale su argomenti legati alla tutela del territorio e dell’ambiente calabrese e non solo. Si sta parlando del prof. Giuseppe Frega, tra l’altro già Rettore dell’Università della Calabria dal 1990 al 1999.
L’evento, organizzato dal Laboratorio di Modellistica numerica per la Protezione Idraulica del Territorio (LaMPIT), dal Centro Studi Acquedotti e Fognature, dai Dipartimenti di Ingegneria Ambientale e Ingegneria Civile e dall’Associazione Idrotecnica Italiana, si è svolto sotto il coordinamento dei professori Giuseppe Frega e Francesco Macchione.
Complessivamente sono state presentate 42 Relazioni, che hanno impegnato 144 coautori provenienti da 31 Università, di cui 5 Università straniere. Va detto, inoltre, che l’evento è stato patrocinato dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, dalla Società Idrologica Italiana, dal Gruppo Italiano di Idraulica e dall’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Cosenza. Con gli atti prodotti nelle 43 edizioni del Corso si può dire che la scuola italiana sulla difesa del suolo ne ha utilizzato al meglio i suoi contenuti scientifici e progettuali contribuendo a rispondere al bisogno di sicurezza e di sviluppo sostenibile del territorio che a gran voce continua a levarsi da tutti gli angoli del nostro Paese.
Ne troviamo un esempio concreto e di grande impatto nell’attualità dei nostri giorni nella relazione svolta dal prof. Paolo Zimmaro, del dipartimento di Ingegneria per l’Ambiente e il territorio dell’Università della Calabria, che ha tenuto anche con il contributo del prof. Ernesto Ausilio, la sua relazione sul tema: Fenomeni geotecnici indotti da terremoto in Italia Centrale e Meridionale, riportandoci agli accadimenti alluvionali dell’isola di Ischia accaduti e fonte di polemiche anche aspre in questi giorni.
«Gran parte del territorio Italiano – ha subito affermato il prof. Zimmaro – è caratterizzato da alta pericolosità sismica. Questo aspetto, unito alla vulnerabilità rispetto all’instabilità di versante del territorio nazionale, fa si che in Italia il rischio di frane indotte da terremoti sia elevato in una vasta area. In aggiunta ai fenomeni di frane indotte da terremoto, anche il rischio legato ad altri fenomeni geotecnici indotti da sisma come la liquefazione e la fagliazione di superficie è molto elevato, come testimoniato dai fenomeni osservati a seguito delle recenti sequenze sismiche in Emilia (2012) e Centro Italia (2016)».
Il prof. Paolo Zimmaro è poi entrato nel merito della ricerca concentra sull’analisi dei fenomeni franosi indotti da terremoto in Italia Centrale e Meridionale. I terremoti presi in considerazione sono 11 e coprono un arco temporale che va dal 1783 al 2016. Il range di magnitudo dei terremoti analizzati va da 5.9-7.1. Alcuni di questi terremoti fanno parte di sequenze sismiche. In particolare sono state analizzate due sequenze sismiche significative: la sequenza sismica Calabrese del 1783 e la sequenza sismica in Centro Italia del 2016.
«L’analisi di questi eventi ha permesso di ricostruire le cause scatenanti i fenomeni franosi osservati a seguito di questi eventi calamitosi e delimitare le aree interessate dagli stessi. Tali conclusioni sono essenziali – ha detto il docente universitario – per la definizione di mappe di rischio su scala regionale e per la futura pianificazione del territorio. Ovviamente i dati di fenomeni geotecnici indotti da terremoto (per esempio frane e liquefazione) per eventi storici sono di fondamentale importanza. Tuttavia, la quantità e qualità di dati forniti da terremoti recenti è migliorata sostanzialmente grazie all’uso di tecnologie innovative come il rilievo da drone e i dati satellitari ottici e radar».
Il prof. Zimmaro è poi passato ad illustrare un progetto di ricerca recentemente finanziato dalla Nasa, del quale ne cura la parte geotecnica.
«Il progetto – ha chiarito – si propone di creare mappe di danneggiamento post-sisma nelle ore immediatamente successive il terremoto, che possano fornire informazioni preziose per la definizione delle aree interessate da danni significativi e pianificare opportunamente i soccorsi e le attività di protezione civile. Queste mappe, chiamate Damage Proxy Maps, si basano sull’uso di dati radar satellitari. I dati di danneggiamento geotecnico che emergono dallo studio costituiscono un prezioso elemento per la valutazione della loro efficacia e per la loro calibrazione».
L’analisi approfondita dei dati relativi alle frane indotte dalla sequenza sismica del Centro Italia del 2016, presentata nel corso del suo intervento, fanno parte dei contenuti di un libro – edito da Springer e pubblicato di recente, che raccoglie contributi di ricercatori e studiosi di tutto il mondo. Per quanto riguarda l’Italia, oltre allo stesso prof. Zimmaro ci sono altri co-autori, come i Professori: Ausilio (Unical), Silvestri (Università di Napoli Federico II) e Tropeano (Università di Cagliari).
«Questo libro, ad oggi, rappresenta – ha precisato il prof. Zimmaro – una delle risorse più avanzate per la valutazione dello stato dell’arte nell’ambito delle frane indotte da sisma».
La fragilità del territorio: il caso di Ischia
L’argomento trattato e le sue competenze in materia anche di dissesto idrogeologico e di fragilità dei territori ci portano ad approfondire quanto è accaduto proprio in questi giorni nell’isola di Ischia con la frana di Casamicciola.
«Tali fragilità oltre a quella di vulnerabilità rispetto al rischio frana ci dichiara il prof. Zimmaro – si aggiungono all’alta pericolosità sismica della zona, testimoniata dal recente terremoto del 2017 o dal distruttivo evento sismico del 1883 che ha praticamente raso al suolo il comune. Il territorio di Casamicciola può essere considerato come rappresentativo di fragilità che sono condivise da molte zone d’Italia. La Calabria ovviamente non è esente da questi rischi, essendo in una zona ad alta pericolosità sismica e vulnerabile al dissesto idrogeologico. L’attenzione mediatica che segue tragedie come quella di Casamicciola, accende i riflettori sulle tematiche della mitigazione del rischio. Purtroppo, tali attenzioni scemano col tempo, e non riescono, almeno in Italia, a produrre effetti duraturi».
«L’occorrenza di eventi calamitosi come le frane o i terremoti in Italia è inevitabile. È ben noto che questi eventi possono distruggere centri abitati ed infrastrutture, devastare comunità, e troppo spesso, provocare la perdita di molte vite. Ad esempio, terremoti distruttivi succederanno molto probabilmente nel corso delle nostre vite, e quasi certamente in quelle dei nostri figli. La domanda più importante che dovremmo chiederci è: come possiamo ridurre il rischio sismico e idrogeologico per le generazioni future?».
«Esperienze passate, in altri luoghi del mondo ad alta pericolosità sismica, indicano che il modo più efficace per ridurre il rischio sismico delle nostre società, è attraverso il costante apprendimento da eventi distruttivi avvenuti in passato. In California e Nuova Zelanda, ad esempio quando eventi sismici hanno rivelano che alcune zone sono soggette a fagliazione di superficie, liquefazione, o instabilità di pendii sismo-indotta, queste aree sono state mappate e studiate in modo da prevenire, o quantomeno mitigare il rischio della futura occorrenza di questi fenomeni. L’elenco di esempi internazionali da cui l’Italia può apprendere potrebbe continuare a lungo».
La situazione Italiana è piuttosto complessa e gli agglomerati urbani sono costituiti da molte strutture ad alta vulnerabilità e/o in zone a rischio dissesto idrogeologico. Tali vulnerabilità sono certamente esacerbate dagli effetti dei cambiamenti climatici. Le strutture a rischio, inoltre, costituiscono una larga fetta del patrimonio edilizio privato, ed è complicato definire strategie di mitigazione del rischio che coinvolgano allo stesso tempo proprietari, amministrazioni pubbliche e sovrintendenze.
Nei principali centri urbani Californiani, problemi simili, anche se relativi a differenti tipologie strutturali, sono in fase di risoluzione attraverso ordinanze comunali di mitigazione del rischio sismico obbligatorie. Questo impegno è stato possibile solo attraverso un’azione congiunta dal basso, di ingegneri, comunità locali di cittadini, la stampa e, successivamente, anche rappresentanze politiche. Possono simili iniziative essere intraprese in maniera efficace anche in Italia?”.
«Come detto, ad oggi è possibile, attraverso tecniche innovative, raccogliere una grande mole di dati post-disastro. La sfida che ci troviamo ad affrontare adesso è: come possiamo tramutare questo bagaglio di esperienze ed insegnamenti in azioni pratiche volte ad un miglioramento delle pratiche correnti in Italia?».
«La politica, la società / l’opinione pubblica e le comunità interessate – ha concluso il prof. Paolo Zimmaro durante la nostra piacevole e dotta conversazione, arricchita di utili informazioni sulla sua esperienza di ricercatore in California – dovrebbero perseguire l’implementazione di pratiche migliori rispetto a quanto fatto nel passato ricostruendo le stesse tipologie strutturali nelle stesse aree – “com’era, dov’era».
«L’attuazione dogmatica di questo motto, come successo in passato non può essere più una opzione accettabile. L’unica strada perseguibile è quella di implementare un approccio proattivo al rischio sismico ed idrogeologico, individuando interventi prioritari e richiedendo l’obbligo (magari supportando questa azione con incentivi fiscali) della messa in sicurezza delle strutture e delle aree a rischio. Un piano di questo tipo si può certamente attuare in un periodo di “pace”, cioè non in fase emergenziale, ma necessita di una visione di lungo termine almeno ventennale». (fba)