di FRANCO CIMINO – Domenica è stato un giorno di festa. Per la Calabria. E come tutte le cose della Calabria, sempre in bianco e nero, terra dolce ed aspra nel contempo, questa festa contiene gioia e tristezza, serenità e inquietudine, rassicurazione e rabbia. Questa mattina, sul presto, è stato abbattuto il famigerato ecomostro, che per quarant’anni ha fatto cattiva mostra di sé davanti al mare bello di Torre Melissa. Si vedeva, e bene! Tutti l’abbiamo visto.
E mille volte. Quando si viaggiava (ancora si viaggia) lungo la peggiore strada del mondo, la statale 106, lo si poteva vedere benissimo, piazzato, ancora più criminalmente, sul lato destro della stessa strada, verso Sibari-Taranto muovendo. Era proprio sul ciglio, in mezzo a una curva, sì brutta e pericolosa ma aperta. Un pugno negli occhi per lunghi minuti. E, poi, davanti a quella mostruosità a spaventarti fino alla distrazione, che se evitavi un incidente, di certo, non la scampavi con la multa salata del furbo autovelox, che quella distrazione registrava senza esitazione. Io sono uno di quelli dolcemente “carezzati” da quelle foto per le quali molto utilmente avresti sacrificato vanità e fanatismo da “culistragine” maschile. Ché farsi fotografare da quegli aggeggi è meno bello di cento selfie.
Finalmente, il mostro è stato abbattuto. Da oggi non ci sarà più. Quasi a non crederci che quel quadro orribile sia diventato uno specchio trasparente. Fatto solo di luce e aria. E di colori. Quelli belli di questo Sud particolare, che degradano con il mutare del giorno e delle stagioni. E anche di trasparenza. Specchio, uso volutamente questo termine. E se posso forzarlo, scusandomene, aggiungo trasparenza. Specchio e trasparenza. La Calabria, che spesso si nasconde per convenienza o per vergogna, e (per una parte pur piccola ma invadente) per necessità e prudenza, finalmente può specchiarsi. Mostrare la faccia. E vedersi, per riconoscersi e piacersi. Trasparenza, per vedere la Bellezza, da qualsiasi parte ci si trovi. Ché, mi piace ripeterlo, tra gli occhi e il mare, tra lo sguardo e il cielo, o anche i monti che lo attirano, non deve esserci nulla. Tutto il bello della Natura deve conciliarsi con il bello della Persona. Trasparenza, perché le scelte compiute dai calabresi devono essere chiare e visibili. A occhio nudo. Sempre.
La trasparenza, come uno degli strumenti che conducono alla moralità e alla responsabilità. La moralità dei cittadini e dei governi, affinché operino lontanissimi da interessi che, da quelli egoisticamente personali e di lobby, a quelli del malaffare, contribuiscono a consumare risorse e ricchezze, economiche e paesaggistiche. Del territorio in particolare. Responsabilità, quale elemento fondante la Democrazia. Responsabilità, come consapevolezza che il proprio compito sia servire il Bene. E responsabilità come assunzione di responsabilità e individuazione costante di quanti sono responsabili della tutela del Bene Comune. Oggi questa Calabria si è vista. E chiaramente! Specchio, trasparenza, responsabilità, moralità. Sono ricomparsi, quali valori fondanti anche la Politica, sul litorale di Torre Melissa.
L’abbattimento di quel brutto edificio di sei piani alto e molti metri lungo, rappresenta emblematicamente tutto questo. Quella parte di territorio è stato strappato alle mafie e restituito alla gente. Melissesi e cirotani, crotonesi e calabresi. Meridionali e italiani. Europei e cittadini del mondo. Ché il territorio, anche quello più piccolo, è come il mondo. Non è di nessuno. È di tutti. Pensare che possano appartenere a delinquenti di ogni genere, mafie in testa, ‘ndrangheta in primis, padroncini delle economie sopra tutti, equivale a cecarsi gli occhi, svuotarsi l’anima, instupidire la mente, cancellare il pensare. Oggi, non è stata la vittoria dello Stato, come si suol dire, contro una famiglia ‘ndranghetista, probabilmente già sconfitta. È stata, invece, l’ancora iniziale affermazione di una consapevolezza, finora intimidita, e di un principio, finora occultato.
La consapevolezza che la ragione e la morale possono vincere contro l’arroganza della forza muscolare e sulla prepotenza che la riarma continuamente. Il principio, che la Democrazia è più forte di ogni autoritarismo, più forte della cattiveria. Perché la Democrazia è la Ragione che si fa corpo vivo e scelte giuste. È libertà che diviene. È la Politica, che di Cultura e idealità si nutre. È il laboratorio della costruzione del futuro e, insieme, lo scrigno per la conservazione e attivazione dei valori del passato. Consapevolezza del principio che Democrazia è stare insieme e camminare nella stessa direzione, ché la violenza vince solo contro le persone sole. Con chi viene lasciato ai margini. Sempre in solitudine. Anche a lottare e a morire in una società che, per superare il proprio senso di colpa, ha bisogno di inventare eroi. Oggi ha vinto la speranza che cambiare si può.
E in una regione che ha sempre negato questo nel modo più incisivo, contrastando, cioè, fin dall’inizio ogni respiro d’aria nuova. Ogni anelito al cambiamento. E all’avanzamento di figura autenticamente nuove nel campo dove si decidono le sorti della Calabria. Quello delle istituzioni, della democrazia rappresentativa, dei governi. Del potere. Bella, dunque, questa giornata. Bella per le persone presenti, tanti cittadini lì intervenuti come aderenti non come curiosi. Con loro tanti sindaci (avrei desiderato ce ne fossero molti di più, quelli delle Città più grandi e dei capoluoghi in testa) e il presidente della Regione, che ha detto parole molto importanti e impegnative. Bella, questa giornata, anche per i numeri e i materiali impiegati per l’obiettivo perseguito. Il tritolo e quattrocento chili utilizzati per vedere sfarinare quel mostro di ferro e cemento. Il tritolo che loro, quei falsi calabresi brutti e cattivi, hanno utilizzato per intimidire imprenditori e politici onesti. Per distruggere i cantieri di quanti non sottostavano alla logica del pizzo. Per spaventare la gente e ridurla all’impotenza e alla rinchiusura nel proprio piccolo privato, delle paure e della rassegnazione. Questa la gioia. È in questa deflagrazione. Questo tritolo di pace, lo è.
Della tristezza dico solo rapidamente per non oscurare la letizia. Tra i numeri, quelli più duri: quarant’anni per decidere di abbatterlo e per liberare la Bellezza sequestrata. Sono un tempo infinito. Inaccettabile anche oggi che è finito. Sette anni, per dare esecuzione alle sentenze che ne hanno ordinato la distruzione. Anche questi sono tempi assurdi. Inconcepibili. Facciamone, però, tesoro. Il presidente della Regione, si è impegnato a sostenere tutte le volontà e le forze che muoveranno in questa direzione. Se comuni e cittadini e libere associazioni, con la Giurisdizione oggi più attenta al fenomeno dell’ abusivismo edilizio, si impegnassero per distruggere tutto ciò che ha distrutto bellezza e ricchezza nostra, potremmo davvero dire la rivoluzione sarà finalmente partita. Ché la rivoluzione non è nei capovolgimenti del potere, ma nella liberazione della terra. Nel suo fresco respiro dell’aria. E nel profumo che diffonde. Nei cuori. (fc)