UNIONCAMERE INDICA LA BLUE ECONOMY
È NEL MARE LO SVILUPPO DELLA CALABRIA

Lo sviluppo del territorio reggino passa per la Blue economy. È quanto è stato rilevato dal rapporto nazionale sull’Economia del mare a cura di Unioncamere e il Centro Studi delle Camere di Commercio “Guglielmo Tagliacarne”, in cui viene evidenziato come la capacità moltiplicativa del valore aggiunto prodotto dalla blu economy sul resto dell’economia, per la Metrocity RC è è pari ad 1,9 (per ogni euro prodotto, se ne attivano altri 1,9 attraverso effetti di filiera. Il dato medio Italia è pari ad 1,7.

L’Economia del mare è, infatti, un sistema produttivo che genera ricchezza, nel quale rientrano sette filiere, individuate sulla base dei codici Ateco: filiera ittica; industria delle estrazioni marine; filiera della cantieristica; movimentazioni di merci e passeggeri; servizi di alloggio e ristorazione; attività sportive e ricreative; ricerca, regolamentazione e tutela ambientale. 

Lo studio condotto dalle Camere di commercio ha evidenziato che la blue economy è fortemente connessa con tanti altri settori e attività che contribuiscono alla sua realizzazione. Attraverso interazioni produttive a monte e valle, il “sistema mare” estende la capacità di produzione di ricchezza a numerosi altri settori. 

La risorsa mare, infatti, può essere una leva straordinaria per il rilancio del territorio metropolitano, grazie ai tanti km di costa: «Le stime e la potenzialità dell’economia del mare nel territorio reggino ancora non tengono conto di tutti quegli investimenti sulla Blu economy e sulla logistica previsti nel Pnrr», ha spiegato il Presidente della Camera di Commercio di Reggio Calabria, Antonino Tramontana.

«Si va dalla tutela della biodiversità, fino all’incremento delle energie rinnovabili marine e alla digitalizzazione della logistica portuale – ha aggiunto – con specifiche misure per il Porto di Gioia Tauro e la mobilità nell’area dello Stretto che potranno conferire al moltiplicatore economico stimato un rapporto ancora più soddisfacente».

Secondo l’ultimo rapporto realizzato da Unioncamere e dal centro studi Guglielmo Tagliacarne,  nel 2021 le imprese dell’economia del mare registrate a Reggio Calabria ammontano a 2.712 unità, rappresentando il 5% del totale imprese della provincia (Italia 3,7%). A livello regionale, Reggio Calabria è la seconda provincia per numero di imprese della Blue Economy, racchiudendo il 27,3% delle imprese blu calabresi.

Spicca la forte vocazione turistica di Reggio Calabria con quasi la metà delle imprese che appartengono ai servizi di alloggio e ristorazione (il 47,7%; 1.295 unità) e un altro 17,3% alle attività sportive e ricreative (469 unità). Di rilievo anche le imprese che operano nell’ambito della logistica e movimentazione merci via mare (117), anche per il numero di addetti che vi lavorano.

«Nel 2020 – viene rilevato nel rapporto – l’economia del mare italiana ha interessato 921 mila occupati, pari al 3,7% del totale, in flessione del -7,1% rispetto al 2019. In Calabria, gli addetti della filiera si attestano a 25,8 mila, pari al 2,8%, stabile rispetto al 2019. Nella Città metropolitana di Reggio Calabria gli occupati nella filiera si attestano a 9 mila nel 2020 (5,3%). I settori in flessione sono quelli legati ai servizi di alloggio e ristorazione (-21%) e alle attività ricreative (-17%)».

I 678 milioni di euro di valore aggiunto prodotti dall’economia del mare nella Città metropolitana di Reggio Calabria, pari al 8,2% del totale dell’economia locale (ottava provincia in Italia), sono stati realizzati prevalentemente grazie alla movimentazione merci e passeggeri che arriva a pesare per il 70% sul totale economia del mare locale.

«Il contributo di Reggio Calabria alla produzione del valore aggiunto – viene rilevato – è il più alto a livello regionale e si colloca al 8° posto nella graduatoria provinciale per incidenza del valore aggiunto prodotto dal “Sistema mare”».

Il 25,9% delle imprese della Blue Economy della Città Metropolitana di Reggio Calabria è guidato da donne. Un tasso di femminilizzazione, più elevato non soltanto rispetto a quello del sistema imprenditoriale locale nel suo complesso (24,9%), ma anche ri-spetto alle imprese blu a livello nazionale (tasso di femminilizzazione pari al 21,9%). Le imprese blu di under 35 reggine sono complessivamente 344, pari al 12,7% delle imprese dell’economia del mare della provincia, superando di oltre tre punti percentuali il peso che hanno nella Blue Economy a livello nazionale (9,4%). Decisamente più contenuto è il contributo delle imprese straniere. A Reggio Calabria si contano, nel 2021, 87 imprese blu condotte da stranieri, pari al 3,2% del totale imprese nell’economia del mare locale.

Ma non è la prima volta che si parla di Blue economy. A Roccella Jonica, nel mese di maggio, si è svolto un importante convegno promosso dall’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Reggio Calabria.

In quest’occasione è stato evidenziato come la Blue Economy «è, senza dubbio, la risorsa più importante sulla quale poter fondare il rilancio e lo sviluppo della economia della nostra regione. Oggi, nel pieno degli sforzi per la ripresa, la nostra sfida è quella di considerare il “sistema mare” un alleato strategico per una competitività sostenibile, per la lotta al cambiamento climatico, per valorizzare la biodiversità, per vincere la battaglia dell’approvvigionamento energetico e idrico».

D’altronde, è stato ricordato, «è cresciuta la consapevolezza  della rilevanza delle attività legate al mare nel peso dell’economia del Mediterraneo e del suo potenziale sviluppo». Una consapevolezza che ha portato l’Unione Europea a promuovere la Blue Growth – Crescita Blu, una strategia a lungo termine per sostenere la crescita sostenibile nei settori marino e marittimo, che riconosce nei mari un motore per l’economia europea, con enormi potenzialità per l’innovazione e la crescita.

L’ultimo rapporto dell’Unione Europea sulla Blue Economy, infatti, restituisce la cifra di 218 miliardi di euro di valore aggiunto e 5 milioni di occupati; in Italia il valore aggiunto prodotto nel 2020 è arrivato a 47,5 miliardi di euro, pari al 3,0% del totale dell’economia italiana. E quello della Blu Economy è l’unico settore produttivo nel quale la Calabria a livello nazionale occupa i primi posti in termini di valore aggiunto prodotto, numero di imprese operanti e numero di occupati.

E tutto questo senza che siano state esplorate e soprattutto valorizzate tutte le potenzialità che derivano dall’eccezionale sviluppo costiero della regione, dall’affaccio su due bacini del Mediterraneo e dagli amplissimi margini di miglioramento delle performances di settore. (rrm)

DA SEMPRE TRASCURATI I PORTI DEL SUD
SI DIMENTICA GIOIA E S’INVESTE SU GENOVA

di ROBERTO DI MARIA – C’è un assioma che i governi italiani mostrano di condividere da anni: i porti del Meridione, semplicemente, non esistono. Non esiste Gioia Tauro, con i suoi 5 km di banchine, fondali adatti a navi da 20 mila TEU e il suo vasto retroporto inutilizzato; non esiste Augusta (10 km di banchine e i fondali più profondi del Mediterraneo) e nemmeno Taranto. Questi porti – e tanti altri – non esistono semplicemente perché mancano collegamenti efficienti con la rete stradale e ferroviaria europea. E non si vogliono realizzare, pur se richiedono risorse molto inferiori di quelle destinate a Genova e consentirebbero traffici competitivi con tutti gli scali del Northern Range messi insieme.

E la conferma viene dagli ultimi intendimenti relativi all’utilizzo dei fondi del PNRR: fare di Genova il “cuore logistico dell’Europa”. La grande stampa economica ha magnificato lo sforzo economico e infrastrutturale – Terzo Valico, Gronda, Nuova diga foranea – che lo Stato sta compiendo per battere la concorrenza di Rotterdam e Anversa. Ma è una
missione impossibile.

A parte la raffinata logistica, che affida all’informatica e all’elevata meccanizzazione, la movimentazione dei milioni di container in transito, i porti del Mare del Nord hanno, rispetto a quello ligure, un vantaggio territoriale incolmabile: sono in aperta pianura, al centro di una fitta rete di fiumi navigabili, strade e ferrovie che consentono di trasferire rapidamente le merci in tutta Europa. La sola Rotterdam, nei suoi 3.600ha di piazzali, ha gestito 15,3 milioni di container.
Più di tutti i porti italiani messi insieme.
Senza questa velocità di smistamento, le merci si accumulerebbero per settimane sui suoi 100 km di banchine.
Genova, invece, soffre da sempre di una condizione geomorfologica asfittica: le montagne a ridosso del mare la stringono in spazi limitatissimi. Può contare soltanto su 1,6 km di banchinamenti e 100ha di aree di movimentazione in grado di farle sfiorare, nel 2021, i 2,6 milioni di pezzi (Ports of Genova, Report Traffici Q4 2021). Tutti provenienti da navi di dimensione più ridotte rispetto alle portacontainer oceaniche, che “toccano” Rotterdam, Anversa e Amburgo ma non attraccano nel porto ligure. Il problema più grave – a parer nostro insolubile – è però rappresentato dalla capacità e dalla velocità di smistamento. Quella attuale è di 30 treni al giorno. Il Terzo valico (in esercizio, forse, nel 2024), consentirà di raddoppiarla, trasferendo non più di 1,5 milioni di TEU – 66 TEU per convoglio x 6 treni/h (!!) x 16 h/giorno (!!) x 250gg l’anno (?) – verso il retroporto di Alessandria, al di là degli Appennini.
Volumi irrisori rispetto alla sola Rotterdam.
Tant’è che già qualcuno, sventolando ipotetici 300 mila nuovi posti di lavoro, propone la realizzazione di un secondo “BRUCO” (Bi-level Rail Underpass for Container Operations), dopo che il primo, inattivo da vent’anni, è stato smantellato. Consentirebbe la “toccata” di navi da 15 mila teu – ma già navigano quelle da 25 mila -, lunghe 350m e larghe 100, che richiederebbero l’allargamento del canale che conduce all’ormeggio. Ulteriore follia finalizzata a evitare la soluzione più favorevole all’intero Bel Paese: una portualità distribuita tra le decine di porti italiani. Vocazione naturale per chi vanta 8 mila km di coste.
Intanto è scoppiato lo scandalo della nuova diga foranea con le clamorose dimissioni del Project Manager (supervisore globale) che ha denunciato costi e tempi reali doppi o tripli rispetto alle stime: “ci vorranno almeno 2 miliardi di euro e 15 anni di lavori”.
La notizia è passata sotto silenzio e si è andati avanti come se nulla fosse, con la gara di appalto – d’importo pari a “soli” 929 milioni di euro – deserta, adeguamento della base d’asta ai costi reali e ripartenza della procedura.
Ricapitoliamo. L’operazione Genova prevede: Terzo Valico, Diga foranea e Gronda per un totale di almeno 13 mld. Obiettivo: arrivare, se va bene, a un quarto della movimentazione della sola Rotterdam. Se aggiungiamo almeno un paio di miliardi per il BRUCO, arriviamo a meno di metà ma già circolano esaltanti analisi costi-benefici basati appunto sull’idea di perseverare a ignorare i porti del Meridione. Gioia Tauro, prosegue per conto suo, macinando utili e crescendo ugualmente, tra il disinteresse dell’esecutivo: se si attivassero i collegamenti e si utilizzasse adeguatamente il retroporto sarebbe ovviamente tutta un’altra storia. Altro che Genova… (rdm)