Emozioni per il primo compleanno della CasaPaese di Cicala

Sono stata centinaia di amici e sostenitori che, lo scorso sabato, hanno festeggiato il primo anno della CasaPaese di Cicala, fondata da Elena Sodano, presidente dell’Associazione RaGi.

«È stata la festa del riscatto, della costanza, della competenza e del coraggio, del cuore appassionato che ogni giorno mettiamo per garantire cure a decine di persone affette da demenza», ha detto la presidente Sodano che, assieme ai 16 ospiti della struttura, ha spento la prima candelina che segna un traguardo importante.

«Tra i viali fioriti e le attività commerciali ricreate all’interno della struttura, si è propagata l’eco dell’entusiasmo e della soddisfazione degli ospiti a cui viene assicurata libertà, dignità e autonomia, ma anche di tutta la comunità fiera di poter celebrare un modello di cura innovativa».

A definirlo così anche il Sottosegretario al Ministero dell’Interno, Wanda Ferro, sottolineando come «si tratta di un successo di qualità, di professionalità, di tanta umanità da sostenere e da prendere come esempio per un progetto da replicare in tante altre realtà, dinanzi a una richiesta sempre in crescita per quanto riguarda le demenze. Condividerò la bellezza e l’impegno profuso in questa struttura anche con il Presidente Occhiuto, sperando di poter contribuire a garantire assistenza».

Altrettanto entusiasta il sindaco di Cicala, Alessandro Falvo, che, sin dal 2018, con l’intera amministrazione comunale ha sostenuto la mission promossa dalla Ra.Gi.per restituire valore alla vita delle persone affette da malattie neurodegenerative, facendo nascere il primo borgo amico della demenza in Calabria, appunto a Cicala.

«Abbiamo creduto sin dall’inizio in questo progetto straordinario di Elena Sodano – ha aggiunto –. Tutti insieme siamo riusciti a far sviluppare una maggiore sensibilità agli abitanti di Cicala che quotidianamente si rapportano con gli ospiti di CasaPaese. Dinanzi a questo ulteriore successo, ci sentiamo orgogliosi di far parte di questa best practice».

CasaPaese si è trasformata in un vero e proprio paese stracolmo di vita. Rappresenta un’ancora di salvezza per tante famiglie che rischiano di sentirsi sole e abbandonate. Come ci ha tenuto a sottolineare Sodano, «arrivano tante richieste, proprio in questi giorni ci è venuta a trovare una famiglia di Napoli interessata per una propria cara e a giugno arriverà un nuovo ospite da Berlino. Quotidianamente abbiamo conferma che le famiglie per assicurare la serenità dei propri cari superano anche l’ostacolo della distanza».

Questo traguardo rappresenta un nuovo punto di partenza: infatti, il primo compleanno di CasaPaese coincide con una nuova operazione di solidarietà. #ChiVinceDonaSempre è l’hashtag che accompagna la nuova raccolta fondi (https://www.gofundme.com/f/casa-paese-cicala-chidonavincesempre)   lanciata per rendere anche gli spazi esterni accoglienti e funzionali. L’obiettivo è realizzare piccoli viali alberati in cui passeggiare, che conducono a un giardino in cui, tra aiuole fiorite, alberi da frutto e area giochi, gli ospiti potranno godersi momenti di relax insieme ai parenti e agli amici a quattro zampe.

«Siamo certi che la catena di solidarietà che ha permesso di realizzare questa meraviglia si rafforzerà sempre di più in tutta Italia per ampliare le nostre attività, sempre a base di emozioni e corporeità, ma anche gli spazi verdi in cui garantire il contatto con la natura», ha concluso Sodano invitando tutti a contribuire, ognuno secondo le proprie possibilità, al consolidamento di CasaPaese, tra le cui mura vivaci, oltre la demenza c’è vita. (rcz)

A Elena Sodano il Premio Caposuvero per l’impegno sociale

Prestigioso riconoscimento per Elena Sodano, presidente dell’Associazione RaGi e fondatrice della CasaPaese, residenza innovativa per persone affette da Alzheimer e demenze neurodegenerative, che è stata insignita del Premio Caposuvero per l’impegno sociale.

Il riconoscimento promosso dalla Proloco di Gizzeria, con il patrocinio dell’Unpli provinciale e regionale, del Comune di Gizzeria e del Consiglio Regionale della Calabria, impreziosisce l’estate della Ra.Gi. ricca di attività, progetti e strategie operative che, come sempre, mettono al centro le famiglie e le persone affette da demenza.

«Per noi i diritti non vanno mai in vacanza, nel periodo estivo in cui purtroppo si acuiscono disagi e solitudine, stiamo continuando a tendere la mano alle persone affette da demenza e ai lori familiari», dichiara Sodano, inorgoglita del premio e dei traguardi raggiunti insieme al suo team.

Numerose le telefonate giunte da ogni angolo d’Italia al numero gratuito VerDemenza (800.034443) attivato dalla Ra.Gi per offrire supporto immediato, consigli e informazioni utili alle famiglie che vivono quotidianamente la complessa problematica della demenza.

Frattanto si è consolidato anche il progetto Casa Ladyd, un cohousing assistito destinato a donne affette da decadimento cognitivo. Un modello innovativo di domiciliarità gratuita che coniuga il bisogno di assistenza continuativa alla permanenza in un ambiente familiare protetto, nel centro storico di Catanzaro.

«In questi mesi estivi, per sopperire al caldo della città, stiamo offrendo loro un soggiorno a CasaPaese, nel piccolo borgo Dementia Friendly di Cicala, dove tra un clima più fresco e la convivenza con gli altri ospiti, possono vivere una serena quotidianità all’insegna del confronto e della condivisione di momenti ricreativi», racconta l’imprenditrice della cura, vulcano indomabile di idee e soluzioni per aiutare familiari costretti a sacrificare la propria esistenza per assistere i propri cari affetti da demenza.

Dopo l’esperienza positiva portata avanti dal progetto Camini Alzheimer che ha registrato la presenza delle prime equipe di prossimità per intercettare sul territorio calabrese famiglie di persone affette da Alzheimer e demenza, grazie all’avviso pubblico Fondo Royalty del Comune di Catanzaro, ha avviato un altro progetto, “Mai senza un Caffè: Una rete di Caffè Alzheimer al servizio di famiglie e persone con Demenza”.

«Consapevoli delle ricadute economiche, relazionali ed emotive che la cura e l’assistenza di pazienti affetti da demenza hanno sui caregiver e familiari, cerchiamo di rafforzare sempre più gli interventi a supporto, ampliando la presenza dei Caffè Alzheimer, oltre a quelli già esistenti a Catanzaro e Cicala, in altri comuni, come Petronà, Taverna, Sersale, Soveria Simeri e Miglierina. Al momento siamo nella fase più delicata del progetto, ovvero quello della formazione dell’equipe che partirà con le attività da settembre, anche grazie alla disponibilità e alla collaborazione dei sindaci di questi paesi», spiega Sodano, annunciando nuovi protocolli d’intesa con realtà associazionistiche locali e nazionali, come per esempio l’Associazione PerLe Demenze. Famiglie Unite Calabria e l’Associazione Nazionale Geriatri Extraospedalieri, ma anche importanti iniziative che si terranno a settembre, riconosciuto come Mese Mondiale dell’Alzheimer. (rcz)

Inaugurata a Cicala (CZ) Casa Paese centro per demenze e Alzheimer

Inaugurato a Cicala (CZ) il centro di accoglienza promosso dall’Associazione Ra.Gi per le persone affette di Alzheimer e demenze neurovegetative, battezzato “Casa Paese”. Una grande festa all’insegna dell’umanità e l’accoglienza.

«Oggi – ha detto emozionata e soddisfatta Elena Sodano, presidente dell’Associazione Ra.Gi. – non abbiamo raggiunto un traguardo, bensì intraprendiamo un ulteriore sentiero che conduce verso l’alba di un nuovo giorno per le persone affette da Alzheimer e demenze neurodegenerative». 

Con queste parole la Sodano ha dato il benvenuto alle centinaia di persone accorse a Cicala per celebrare l’inaugurazione di CasaPaese, la residenza accogliente che, nel piccolo borgo calabrese – Dementia Friendly Community riconosciuta dalla Federazione Italiana Alzheimer – è pronta ad assicurare protezione, libertà e dignità a soggetti affetti da una patologia che, spesso, li relega ai margini della società.

Ad affiancarla durante la cerimonia d’apertura la giornalista di LaC Tv, Rossella Galati, e una madrina d’eccezione come l’attrice Annalisa Insardà, ma soprattutto il calore dei pazienti con le rispettive famiglie, dei sostenitori sopraggiunti da ogni parte d’Italia e delle istituzioni locali, tra cui il sindaco di Cicala, Alessandro Falvo, che ha supportato l’ideatrice di CasaPaese sin dai primi passi.

Un’intera comunità si è stretta attorno a quest’opera straordinaria – prima e unica in Calabria interamente dedicata a persone affette da demenze – resa possibile dall’appassionato impegno di Sodano, sostenuta dalla rete di solidarietà costituita da aziende, associazioni, imprenditori, singoli cittadini che hanno partecipato al crowdfunding lanciato lo scorso anno.

«CasaPaese ci dimostra come, grazie alla collaborazione tra società civile e soggetti istituzionali, è possibile valicare il muro della solitudine e avviare un percorso di accoglienza e solidarietà, che porta risultati significativi per il paziente fragile e per l’intera comunità» ha dichiarato l’assessore alle politiche sociali del Comune di Catanzaro, Bonaventura Lazzaro, intervenuto con il vicesindaco Giusi Iemma e il presidente del consiglio comunale Gianmichele Bosco.

Il team della residenza di Cicala, composto da psicologi, animatori, educatori ed OSS, è pronto ad accogliere 16 pazienti, con tempi cadenzati dalle loro esigenze e abitudini, sia di giorno che di notte, affrontando la malattia nella sua dimensione umana ed esistenziale, più che assistenziale, attraverso la Teci, Terapia Espressivo Corporea Integrata, metodo non farmacologico ad approccio corporeo, ideato da Sodano, che, reputando il corpo uno scrigno di esperienze ed emozioni, integra il movimento funzionale con la consapevolezza mentale del corpo.

Il sogno di CasaPaese ha camminato sulle gambe di centinaia di donatori che hanno permesso di raggiungere questo traguardo importante per l’intera Calabria, ma ora, come ci tiene a ribadire Sodano, è giunto il momento che le istituzioni politiche diano la possibilità di diventare operativi: “Stiamo inaugurando per mostrare alle tante persone che ci hanno aiutato cosa siamo riusciti a realizzare con le loro donazioni, ma organizzeremo una festa ancora più bella quando avremo tutte le autorizzazioni per far funzionare la struttura e i necessari accreditamenti”.

A mostrare subito disponibilità e sostegno l’Onorevole Tilde Minasi, già assessore regionale, e il presidente del consiglio regionale, Filippo Mancuso, concordi nell’affermare “ci impegneremo affinché la lungimiranza di Elena Sodano e dei suoi operatori possa diventare un modello di cura da ampliare in Calabria e replicare anche in altre regioni d’Italia”.

L’inaugurazione di CasaPaese è stata impreziosita dalla benedizione del vicario del Vescovo di Catanzaro-Squillace, Don Savino Cognetti, che, insieme a Sodano e alle istituzioni presenti, ha spalancato le porte della residenza in cui si respira il profumo dell’umanità. (rcz)

Elena Sodano – Un grande cuore per la cura dell’anima

di PINO NANO – Qualcuno la vorrebbe “Donna dell’anno”, ma a Catanzaro c’è già chi la chiama l’ “Eroina del Covid”. Nata a Catanzaro 56 anni fa, il 21 febbraio 1965, sposata e madre di due ragazzi, Rachele e Giuseppe, oggi Elena Sodano viene premiata sulle piazze di questa folle estate calabrese come una “testimone del nostro tempo”.

La foto forse più emblematica che ci fa vedere la ritrae accanto al Procuratore della Repubblica Nicola Gratteri a cui Elena consegna idealmente le chiavi della sua bella “Comunità terapeutica”. Conosco Elena Sodano da almeno 40 anni, da quando lei faceva la giornalista a tutto campo, prima a Vuellesette-Cinquestelle poi alla Gazzetta del Sud, dove ancora lavora occupandosi principalmente di temi sociali, e se allora avessi dovuto immaginare il futuro di Elena avrei detto “diventerà una grande cronista”. Giornalista moderna, preparata, veloce, riflessiva, capace di grandi inchieste TV ma anche brava nel ricostruire sulla carta stampata grandi eventi e grandi fatti di cronaca,sembrava che il suo futuro fosse già segnato, quasi obligato, per giunta in una regione dove non era facile conciliare una buona scrittura con una presenza  forte come lei appariva in televisione. Ricordo che era così determinata e immediata che qualcuno in quegli anni, pensò anche di candidarla in politica, ma allora i partiti erano così ben strutturati e granitici da non permettere “voli pindarici e bizzarri”. E così Elena continuò per anni a scrivere, e soprattutto a raccontare la Calabria dagli schermi della televisione dei Grandinetti di Lametia Terme .

– Elena che famiglia hai alle spalle?

«Mio marito lavora come educatore in un centro di recupero per tossico dipendenti e divido con lui la mia vita da 27 anni. 24 anni solo di matrimonio. Sono figlia unica di due genitori che seppur anziani sono sempre indaffarati in mille cose. Mia madre presa dalla sua passione per le piante, gli animali e il cucito, mentre mio padre è appassionato di macchine, moto, motori, carpenteria, sai come si vive da queste parti. Di poco e di mille cose insieme. Io vivo in casa con tre cani, di cui un Lupo cecoslovacco e un meticcio completamente cieco. Ho una grande passione per le piante grasse, curo le mie amate orchidee come dei bambini, e poi i miei libri, che hanno favorito i miei sogni di bambina e di ragazza poi”».

– Da giornalista di grande talento, a cos’altro? 

«Dopo la mia Laurea in Lettere e Filosofia, indirizzo Dams all’Università della Calabria  a Cosenza, ho preso a Roma una Laurea magistrale in Psicologia del lavoro e delle organizzazioni. Ma non sono una psicologa, in quanto non ho mai fatto, per scelta, l’esame di Stato per l’abilitazione. In fondo volevo fare quello che in effetti sto facendo ora. Volevo creare “Luoghi ideali” per curare meglio ammalati complessi».

Alle spalle Elena Sodano ha un curriculum di tutto rispetto.Un corso di specializzazione Triennale in Scienze della Comunicazione all’Università di Camerino, due Master di Secondo Livello,il primo in “Governance e Management Sanitario”, il secondo in“Neuropsicologia Clinica”, ma nel 2010 trova anche il tempo per prendere il diploma come “Danzaterapeuta”, e sette anni dopo esordisce con un saggio dal titolo Il Corpo nella Demenza: La terapia Espressiva Corporea Integrata nella malattia d’Alzheimer e nelle altre demenze (Maggioli editore, Sanità 2017) che nei fatti la consacra “Creatrice del metodo terapeutico Non Farmacologico per la cura delle Demenze TECI  Terapia Espressiva Corporea Integrata”.

– Elena, da dove partiamo? 

«Dalla prima cosa che la gente forse vuole sapere. Cosa faccio nella vita? Bene, mi piace definirmi una “Imprenditrice della Cura dell’anima”. Perché ogni persona ammalata vorrebbe e dovrebbe essere oggetto di cura, e il mondo sarebbe un luogo molto migliore se tutti noi ci curassimo di più, gli uni degli altri. Il mio slogan è questo: “La cura protegge la vita e coltiva la possibilità di esistere”». 

– Partiamo allora dall’inizio della tua nuova attività di “imprenditrice della Cura” come tu ami essere chiamata?

«Gli studi che ho affrontato dopo la laurea, dopo aver rinunciato a fare per professione la giornalista, tanti anni fa in Calabria sembrava un lavoro per soli uomini, mi hanno avvicinato e messo in contatto con il cuore vero della vita. Nel campo dell’esperienza umana ci sono cose essenziali e irrinunciabili. Spesso però può anche accadere che tali essenzialità sfuggano alla nostra attenzione, sopraffatti magari come siamo da molti altri problemi esistenziali.

– È vero che il tuo approccio con i malati affetti da malattia di Alzheimer, e altre forme di demenza, ha segnato la tua vita?

«In maniera inimmaginabile. Difronte alle persone, e ti prego di scrivere persone con la p maiuscola, affette da demenze, non mi sono rassegnata a quello che erroneamente un tempo si diceva di loro e dei loro comportamenti aggressivi e ostili». 

– Quali sono le domande di fondo che giustificano il tuo impegno sociale di questi anni?

«La prima, cosa significa vivere all’interno di un corpo il cui cervello piano piano si atrofizza a causa della progressione di una malattia di Alzheimer o di altra forma di demenza? La seconda, si tratta di un corpo che riesce a convivere con una demenza oppure che deve subirne il peso inesorabilmente? Sono queste esattamente le domande che mi sono posta quando nel 2008 uno dei nostri pazienti, di cui potrei anche farti il nome ma forse violeremo la sua privacy, varcò la porta dei nostri centri diurni». 

– Il primo di una lunga serie immagino?

«Dopo di lui tante altre persone ammalate sono venute da noi. Persone che sperimentavano sul proprio corpo e nella propria anima una demenza in maniera individuale, persone, corpi che si muovevano insieme ad altri corpi e che entravano in relazione tra di loro pur attraverso linguaggi inusuali, discorsi strampalati, carezze, gestualità innate che appartenevano ad un loro passato, ad un loro repertorio gestuale che, proprio come impronte digitali, rappresentavano eredità uniche e indelebili che nessun deterioramento cerebrale aveva ancora cancellato. Ma quel corpo, rappresentava l’unico strumento che avevano a disposizione per sentirsi ancora protagonisti della propria esistenza. Eppure quel corpo, al momento della diagnosi finale, non veniva più tenuto in considerazione, perché era come se la diagnosi di demenza staccasse all’improvviso la spina da ogni contatto fisico, emozionale ed affettivo».

– Ma alla fine parliamo solo di corpi? Quindi materia, non altro?

«Un errore gravissimo. Sapevo che non esiste una sola memoria, e che tra le tante vi era anche la memoria corporea, una memoria universale che trasformava quel corpo vivo ed emozionato in una biografia di vita immediatamente espressiva che andava oltre la patologia. E da qui ebbe inizio il mio viaggio. È stata una ricerca mista ad una forte dose di curiosità che mi ha portato a varcare i confini regionali e nazionali, incontrare specialisti del settore, confrontarmi con loro, attingere esperienze e principalmente sentirmi confortata del fatto che il corpo delle persone con demenza, da elemento frammentato poteva diventare un corpo riconosciuto e apprezzato nonostante le sue bizzarrie». 

– Nel tuo libro racconti di lunghi periodi di “osservazioni individuali”, cosa vuol dire?

«Per mesi e mesi ho iniziato ad osservare i movimenti e le gestualità di pazienti affetti da demenze varie e che prendevano vita in corpi lenti perché le attività che venivano date per scontate diventano rallentate ed esitanti. Corpi vuoti, in quanto le abitudini e le pratiche acquisite si perdevano. Corpi persi, perché disorientati in un mondo sconosciuto. Corpi silenziosi, perché a lungo andare si manifesta una sorta di evanescenza corporea, e alla fine si arriva non percepire più i propri limiti corporei. Ma, davanti a me vi erano in realtà corpi vivi e vissuti. Corpi espressivi e non organismi senza pulsioni. Bisogni, gesti, simboli. Persone insomma da capire, e gesti da codificare. Ma era in questa dimensione che avevo scelto di restare perché mi ero convinta che la sconfitta terapeutica si realizza laddove vi è la rinuncia di dare un senso all’esistenza più mortificata. Accade ogni giorno con i malati di Alzheimer».

–E nel 2002 nasce quella che tu hai chiamato “RaGi”?

«La Ra.Gi. che sono le iniziali dei nomi dei miei figli, nasce proprio con un obiettivo preciso. Volevo far conosce anche in Calabria, quindi a casa mia, nella terra della mia vita, l’importanza della relazione e della comunicazione corporea nei territori di cura. Parlo di malattie psichiatriche, oncologiche, Sla, e Sclerosi multiple. Tutto questo mi sono detta doveva arrivare nelle scuole, negli istituti penitenziari, nel cuore della società civile dell’intera regione. E il filo conduttore è stato quello di ricercare dietro le apparenze, gli stereotipi, i pregiudizi, “i falsi miti di una demenza imperfetta”».

– Qual è stato l’anno più importante della vostra crescita?

Senza dubbio il 2007. È stato l’anno in cui, grazie all’approvazione del progetto “Soli Mai Più” da parte del Ministero dell’Interno, abbiamo dato vita in Calabria al primo e unico Centro diurno per la cura delle malattie neurodegenerative. Lo abbiamo chiamato “Spazio Al.Pa.De.”, che sta per Alzheimer, Parkinson e Demenze, spostando l’accento della cura da un aspetto prettamente assistenziale a una visione più “esistenziale” della malattia escogitando, pur tra mille difficoltà, le strategie migliori per salvaguardare l’integrità delle persone con demenze e promuovere un modus vivendi significativo e salutare. Perché a mio avviso la cura di comunità svolta in sinergia con le ricchezze naturali può diventare, per le persone con demenza, quel presidio terapeutico necessario per il soddisfacimento dei loro bisogni. Grazie a questo progetto abbiamo realizzato in Calabria il primo Cafè Alzheimer oggi Dementia Cafè, un punto di incontro per numerose famiglie che ogni mese, all’interno del nostro centro diurno, ricevono supporto, informazione e formazione su come gestire il proprio familiare anche a domicilio».

– Nasce da tutto questo quella che tu chiami la “Terapia Espressiva Corporea Integrata”? 

«La Teci è un metodo unico in Italia, per la cura ed il contenimento naturale delle demenze. Un metodo che mira a creare, attraverso la simbologia di queste persone ammalate, dei “ponti” di comunicazione ancora possibili. Ponti che permettono di “raggiungere” chi, affetto da demenza, non può più relazionarsi all’altro in modo convenzionale, perché la sua facoltà di linguaggio è stata compromessa dalla malattia. Ma la Teci inoltre è l’unica terapia che, grazie a supporti neuroscientifici, anatomo-funzionali e psicologici, ridefinisce i limiti corporei delle persone con demenze che vengono smarriti con il progredire della malattia».

– Se tu oggi dovessi dire grazie a qualcuno, chi ti viene in mente per primo?

«Ho dato vita alla Teci, dopo anni di osservazione delle persone con demenza che ospitavamo nel nostro Centro, supportata dagli studi della Dr.ssa Pia Kontos, antropologa della salute della Toronto Rehabilitation Institute, e della Dr.ssa Deborah Barnes della University of California di San Francisco. Ma devo un grazie anche al presidente della “Scuola di Danzaterapia Metodo Espressivo Relazionale” Vincenzo Bellia, psichiatra, psicoterapeuta e gruppo analista, un percorso molto intenso che mi ha permesso di raggiungere una migliore coscienza corporea e approfondire ulteriormente, in questo caso specifico, gli ambiti applicativi del corpo nelle demenze».

– Posso chiederti cosa c’è invece alla base di tutto questo lavoro di ricerca?

«C’è soprattutto il mio amore per la Filosofia, principalmente legata ai miti greci. Gli studi filosofici mi hanno suggerito ad amare la parola “therapeía” intesa come quel cammino interiore che l’essere umano fa per cercare la via per il suo benessere personale nell’assoluta normalità del suo vivere. Per noi un abbraccio dato ai pazienti è terapeutico. Vederli nel loro animo è terapeutico. Contattare la loro pelle è terapeutico. Guardarli negli occhi, prestare loro attenzione e osservarli nella piena importanza che meritano, è terapeutico. Per un uomo assetato, bere un bicchiere d’acqua è la più naturale terapia che ci sia, perché l’acqua rappresenta quello strumento che lo fa dissetare, lo fa star bene. Da qui nasce il concetto di individualità incarnata nelle persone con demenza, ritenendo che, di fronte a una devastazione cerebrale, il corpo sia il solo strumento che la persona con demenza abbia per mostrarsi al mondo come persona viva e vissuta pregna di esperienze, emozioni, sensazioni, vissuti emozionali. Non un corpo inattivo ma un corpo come fonte di una individualità tutta da scoprire. 

C

icala è un paesino della presila catanzarese, appena 900 anime, con un nome magari buffo, ma con una storia molto importante da raccontare. 

È una storia che parla di accoglienza, umanità, solidarietà fin da quando, nel 2018, i giornali  lo identificano come il primo “Borgo Amico delle Demenze”. Quella che gli americani chiamerebbero Dementia Friendly Community. Cicala diventa insomma il palcoscenico ideale di un progetto sperimentale unico il Calabria, fortemente voluto da Elena Sodano e che dal 2006 non fa altro che spiegare, non solo alla società civile ma soprattutto alla società scientifica, in che modo va assistito e curato un ammalato di Alzheimer. Una vera e propria filosofia di vita, del prendersi cura di chi soffre di demenza, che si basa sul considerare il territorio e la comunità come un valido dispositivo riabilitativo e terapeutico per le persone con demenza. 

Elena Sodano non ha dubbi: «Il nostro – dice – è uno spirito innovativo che parla di vera inclusione sociale e comunitaria, grazie anche ad un percorso formativo avviato tra tutti i commercianti del paese e focalizzato sulla relazione e sulla comunicazione positiva da instaurare con le persone ammalate».

Ecco allora che, sul piccolo borgo di Cicala, nel 2021, viene immaginato un progetto che rappresenta qualcosa di più grande della prima idea iniziale, una evoluzione che ha in sé i caratteri della stabilità e della residenzialità. Residenzialità che nell’ immaginario collettivo viene fatta spesso coincidere con la fase finale dell’esistenza di un malato di Alzheimer, ma che nella “CasaPaese per demenze di Cicala” assume invece valore di protezione, conforto, accoglienza, libertà. È il borgo che si trasforma in una sorta di comunità-alloggio, un vero e proprio paese in cui soggiorneranno a lungo termine 16 persone non solo con malattia di Alzheimer ma anche con altre forme di demenza nella fase medio-grave della degenerazione.

– Come nasce l’idea di Cicala?

«L’idea della Casa-Paese nasce durante il lockdown dei mesi scorsi,quando abbiamo dovuto modificare i nostri interventi terapeutici che, dal Centro Diurno di Catanzaro, che è un centro specifico per persone affette da demenze, si sono poi trasferiti all’interno delle case dei nostri ospiti. Ecco allora che confrontandoci con le loro famiglie, abbiamo capito che il dolore più grande di questi “casi” non era tanto la progressione della malattia, quanto invece il fatto di non riuscire più a gestire i disturbi comportamentali dei propri cari, con il timore naturalmente di dover gettare la spugna e arrivare così a decidere di inserire questi pazienti in strutture nelle quali, le persone con una demenza, vengono spesso accettate ma viste come elementi seriamente problematici».

– In che senso, Elena?

«Vedi, una persona con demenza non rispetta alcuna regola. Non è pensabile che possa vivere, senza dare fastidio. La persona con demenza si sveglia di notte perché è convinta di doversi radere per andare a lavorare. Spesso se è una donna, a causa delle sue allucinazioni, sente le voci del bimbo neonato che deve allattare. Un malato in queste condizioni è davvero difficile da gestire. Girovaga per casa senza una meta, chiede e ripete sempre le solite cose, a volte scappa, altre volte vuole tornare dalla mamma. Ma c’è di peggio. Non contiene i suoi istinti, è disinibito, sporca dovunque. Una condizione quasi impossibile da gestire, specialmente per i familiari che vivono con lui, e questo genera una tempesta emozionale alla quale molto spesso si risponde con strumenti del tutto inadeguati».

– Come credete di poterne uscire Elena?

«Partiamo da una premessa di fondo.Le strutture che oggi accolgono le persone con demenza sono quasi tutte staccate dal mondo, perché è come se la società in cui viviamo si dovesse quasi difendere e proteggere da coloro che rappresentano invece ed erroneamente un pericolo, seppur non intenzionale. Spesso, le attività giornaliere si svolgono a stretto contatto come tantissime altre persone, che sono però incompatibili con la malattia di Alzheimer o altre forme di demenza. Tutti spesso sono obbligati a fare la medesima cosa, esistono ritmi prestabiliti, le attività vengono imposte dall’alto e di solito non rispecchiano mai la volontà della persona ammalata. E così le persone si spengono. Vengono private della loro identità e della loro coscienza. E tutto questo mentre ovunque, si vanno sempre di più fornendo al genere umano, luoghi di svago, di libertà e di ristoro». 

– Facile a dirsi Elena, ma forse meno semplice a farlo?

«Nel nostro impegno quotidiano noi non abbiamo nessuna intenzione di manipolare i bisogni delle persone affette da demenze. Sono persone, bada bene, non solo anziane. Questo è un falso luogo comune. Il nostro paziente più giovane oggi ha 40 anni, ed è entrato nel centro diurno a 38. Ci sono donne giovanissime con demenze precoci di tipo Alzheimer, e con demenze fronto temporali nelle quali mi ci rivedo. Sono loro per me la vera grande sfida. Stando vicini a loro alla fine ti convinci che se li ami davvero devi  offrire loro un ambiente confortevole dove poter vivere». 

– E questo basta?

«La mia idea è che se un “ambiente” è capace di distruggere un individuo, un “ambiente” può anche riorganizzarlo e guarirlo. Ma è nato con queste motivazioni, e grazie all’aggiudicazione di uno stabile di otre 800 mq messo a bando dal comune di Cicala, il progetto della Casa-Paese. Una Casa, che è  ambiente di vita per eccellenza, e all’interno della quale sarà poi costruito un Paese, quindi un nucleo di convivenza e di condivisione pubblica. Sai come lo abbiamo immaginato? Come un ambiente semplice, un angolo domestico, arricchito con oggetti familiari e personali, e in cui verranno ricreate, le vere attività del paese attraverso degli armadi specifici che aprendosi si trasformano in veri e propri negozi; dall’edicola al bar, passando per la piazza, la stazione del treno, l’ortofrutta e il negozio di fiori, che potranno essere facilmente fruite dalle persone con demenza. Non ci saranno le sale comuni ma dei solarium e delle piazze. Non ci sarà a mensa ma un vero e proprio ristorante e una pizzeria, dove gli ospiti potranno consumare le pietanze desiderate anche in compagnia dei loro familiari».

– Detta così sembra quasi una favola…

«Vedo che continui ad essere diffidente. Seguimi per favore. La Casa-Paese che noi abbiamo progettato qui a Cicala avrà un layout, quindi una disposizione differente rispetto a quello che oggi possiamo trovare nelle strutture sanitarie pubbliche. Ogni stanza sarà abitata da due persone, e tutti i luoghi verranno ritualizzati e riconfigurati in un modello di vita passata. L’aria esterna alla struttura diventerà un grande “Giardino Della Memoria”, con un percorso sensoriale arricchito da piante officinali e da erbe ed essenze tipiche calabresi. C’è di più. Abbiamo anche immaginato un percorso di terapia con gli animali, attraverso l’allestimento di zone protette che prevedono la presenza di animali domestici e da cortile. E saranno i nostri ospiti che dovranno prendersene cura».

– Dunque, ortoterapia e giardinaggio?

«Così si banalizza tutto. Vedi, anche la scansione del tempo all’interno della Casa-Paese rispetterà i ritmi capovolti creati dalla progressione della malattia. Dal momento in cui il paziente si sveglia al momento della prima igiene del mattino, al momento della colazione, delle prime attività del giorno, del pranzo e in tutti quegli istanti rituali e personali che segnano per lui il trascorrere della giornata. In tutto questo non va dimenticato il Muro del Dono che perimetra lo stabile e che sarà rivestito con piastrelle con su scritti i nomi di chi sta dando fattivamente una mano in questa nostra impresa fantastica».

– Niente fondi pubblici, niente convenzioni, ma come si fa a realizzare un Casa-Paese come questa di Cicala?

«Per fare tutto questo abbiamo attivato una raccolta fondi, pensata per coprire le spese per l’arredamento della Casa-Paese, perché occorre una progettazione ambientale attenta, mirata e rivolta a queste sfere di fragilità considerando il progressivo mutare della malattia. Per arrivare all’obiettivo finale è necessario l’aiuto di tutti, perché anche solo una piccola donazione può cambiare la vita di decine di persone e delle loro famiglie. Secondo noi “riadattare un ambiente” di certo da solo non guarisce una demenza, perché dalla demenza non si guarisce, ma se riusciamo a far vivere queste persone in un habitat gradevole, forse allora alla fine saremo riusciti a mitigare la rabbia che ogni paziente come loro si porta dentro. e a far sopportare meglio il disagio e anche la loro disperazione con maggiore dignità e conforto».

– Elena ma questa può sembrare una pura utopia?

«Ti assicuro che la Casa-Paese per demenze di Cicala non è solo un progetto, ma è principalmente un cambiamento culturale nei confronti di una malattia come la demenza che deve assumere contorni sociali e non solo sanitari. Un progetto che parli di inclusione e di cura territoriale e comunitaria. Come spiegartelo meglio? Questa è soprattutto una sfida culturale per noi, che sta per “non rassegnarsi” ad una sterile etichetta che vuole e definisce la persona affetta da demenza come un malato  irreversibile e non più capace di nulla. Troppo spesso la diagnosi finale ha un significato discriminante, esclude la persona con demenza dal mondo dei cosiddetti sani, libera la società dai suoi elementi critici e se vuoi “disturbanti”, come appunto sono considerate le persone con demenza. Attraverso la Casa-Paese invece noi ci auguriamo di tracciare una profonda linea di demarcazione tra il concetto di segregazione e discriminazione, e quelle che sono invece le solide basi dell’inclusione, della normalità di vita in un ambiente naturale».

Chi soffre e sta male non è una ‘data da destinarsi’: la lettera della presidente Sodano (RaGi) a Spirlì

«Chi soffre e sta male non è una ‘data da destinarsi’» ha dichiarato Elena Sodano, presidente dell’Associazione RaGi di Catanzaro, scrivendo una lettera al presidente f.f. della Regione Calabria, Nino Spirlì.

Nella lettera, la presidente Sodano ha esposto le preoccupazioni esternatele da dei familiari, preoccupati in quanto «in base all’ordinanza n.82 del 29 ottobre 2020 da Lei emanata, fino al 24 di novembre sono di nuovo bloccate tutte le visite negli ambulatori pubblici, comprese le prestazioni in intramoenia».

«“Ed ora cosa facciamo”? mi hanno chiesto. Che risposta dare? – si legge nella lettera –. Sono certa che la sua decisione, così totalizzante, sia stata figlia della disperazione e forse della buona fede nel voler proteggere quante più persone possibili dal Coronavirus. Ma a quale prezzo? Non si può generalizzare signor Presidente, non si può più. Forse lo si poteva fare a marzo quando tutti eravamo sprovveduti e impreparati difronte al Covid. Ma oggi no. Oggi no. Dopo nove mesi, proprio no».

«Perché vede signor presidente – continua Elena Sodano – una persona con demenza, non ha nulla di diverso di una persona che soffre di una patologia da voi considerata urgente. Anzi. Lei sa cosa significa non dormire per giorni e giorni? Sa cosa significa sentire le urla di una persona cara che le trapassano i timpani prima e l’anima poi?  Sa cosa significa essere presi a schiaffi, calci, pugni senza poterci fare nulla ma solo accettare una balorda malattia e aspettare con tanto amore che passi una crisi?  Sà cosa significa sentirsi impotenti quando nessun farmaco può sollevare la disperata confusione in cui vive inesorabilmente un genitore, un marito o un figlio con una demenza?  Forse lei non lo saprà, ma noi e le nostre famiglie si. Presidente Spirlì, non sono le sigle messe sulle ricette per le prestazioni specialistiche con classi di priorità D (differibile) e P (programmata) a stabilire una urgenza quando, le famiglie cercano con tutte le loro forze e senza farsi prendere dalla stanchezza, di non abbandonare i loro familiari nelle Rsa, diventati da marzo scorso, il fine vita per molti sacri affetti. E, sull’indifferenza che ho visto in questi mesi io, non ho scorto alcuna umanità». 

«Non possono essere considerate urgenze – ha continuato la presidente della RaGi – solo le prestazioni contenute nel decreto che porta la firma anche del dr. Antonio Belcastro che, tra l’altro, conosce benissimo il lavoro che quotidianamente svolgiamo. Chi può decidere, chi lo decide e in base a cosa viene deciso, chi abbia l’esigenza di ricevere le cure necessarie e chi invece no? Nell’ordinanza Lei ha sospeso anche le attività in regime di intramoenia, mentre invece era proprio quello il percorso più veloce che le nostre famiglie facevano, pur pagando, per non aspettare lunghissime liste d’attesa. Per loro e per i loro cari tempi inaccettabili. Perché mi chiedo e Le chiedo?  Perché sacrificare sempre e comunque i più deboli senza cercare invece di organizzare e diversificare gli ingressi almeno negli ambulatori in intramoenia dando così ulteriori possibilità di cura?  Perché pagare, sempre noi, per una organizzazione politico istituzionale che non è riuscita nei mesi scorsi a pianificare soluzioni alternative, nel caso di una prevedibile seconda ondata della pandemia. Perché isolare, evitare, mettere in attesa negli angoli, silenziare, chiudere in maniera accomunata per risolvere quei problemi verso i quali non si riescono a dare risposte concrete». 

«Eppure – ha proseguito la Sodano – ero convinta che il dr. Belcastro, data la sua esperienza accumulata nei mesi più caldi dell’emergenza, sarebbe riuscito a trovare, questa volta, le giuste strategie per non arrivare a tale assurdità.  Perché semplifichiamo, troviamo facili scorciatoie e omologhiamo i disagi invece di avere il coraggio di sporcarci le mani nel disagio. Perché tuteliamo i pochi e penalizziamo i molti. La sezione “Attività da riprogrammare” nella sua Ordinanza la considero un po’ una presa in giro. Riprogrammare le attività ambulatoriali e gli appuntamenti con tempistiche coerenti con il presente provvedimento. Ma Lei ricorda l’assoluto caos che è successo quando a marzo gli ambulatori sono stati chiusi? Ricorda i successivi tempi biblici d’attesa? Perché vuole condannare ancora a tutto ciò i calabresi? Chi soffre e sta male, presidente Spirlì, non è una “data da destinarsi”». 

«Sto leggendo, da più parti – ha scritto ancora Elena Sodano – che la Calabria ha avuto una dotazione molto consistente di finanziamenti per l’emergenza sanitaria e non spetta a me sindacare il motivo per il quale in tutti questi mesi non siano state create le situazioni necessarie per potenziare principalmente le terapie intensive per fronteggiare la seconda e prevedibile ondata del virus. Perché sono sicura che il direttore generale dr. Francesco Bevere saprà avere quel giusto grado di discernimento per individuare le eventuali maglie larghe».

«Dimenticavo – ha concluso –. Mi chiamo Elena Sodano e sono il presidente dell’Associazione RaGi di Catanzaro. Chi sono queste famiglie? Glielo spiego subito signor Presidente. Sono una piccolissima cellula di tante altre famiglie nei confronti delle quali abbiamo una grossa responsabilità. Quella di tutelare la dignità umana e sociale delle persone con demenze che ogni giorno si rivolgono a noi, entrando nei centri diurni, per trovare un po’ di sollievo da una società distorta che fa a cazzotti con la vita “senza un tempo” di queste persone». (rrm)