Che distanza siderale tra la Calabria reale
e quella narrata e quella immaginata

di DOMENICO MAZZAPer quanto inaspettata e, certamente, non programmata, la campagna elettorale appena decorsa, avrebbe dovuto essere il palcoscenico del riscatto di una terra a lungo dimenticata.

In verità, da un’analisi attenta e dalle tematiche sviscerate dagli attori in campo, la partita si è ridotta al solito teatrino di burattini e burattinai. Uno spettacolo scadente, ormai, a cui l’elettorato attivo di questa Regione è avvezzo da tempo. Le argomentazioni trattate, il più delle volte, sono state esplicate in modo confuso e, soprattutto, elencate a mò di lista della spesa.

Nessun filo conduttore. Nessuna visione di sintesi. Sparita dai radar una prospettiva realistica di crescita e sviluppo sostenibile. A proposte da missione impossibile sono stati contrapposti impegni improbabili. Ciò che, tuttavia, lascia basiti sono gli atteggiamenti che hanno caratterizzato buona parte degli interpreti del dibattito. Tra alternanza di gaffe grossolane e atteggiamenti irrispettosi della dignità umana, ancor prima che della dialettica politica, chi esce malconcio da questo teatro dell’assurdo non sono gli attori di scena, ma è la Calabria. 

Al confronto di piazza, quello vero e sentito, quello non filtrato, sono stati preferiti preconfezionati contenuti social. La comunicazione delle tematiche ha ceduto il passo agli slogan, artatamente costruiti da videomaker professionisti. Tuttavia, tali strumenti, non hanno fatto altro che palesare un vuoto di contenuti e una visione raffazzonata della realtà. E, mentre aspiranti consiglieri animavano i salotti televisivi (talvolta rendendoli simili a pollai), la Calabria continuava a scivolare in una spirale involutiva. Dubito, in tutta franchezza, che le ricette politiche messe in campo, tra la fine dell’estate e questi primi scampoli d’autunno, possano risollevare questa terra dal baratro in cui è sprofondata. Ma tant’è. 

Aspiranti consiglieri alla ricerca di un’identità: i novelli personaggi pirandelliani 

Per status, i consiglieri regionali sono chiamati a legiferare e programmare in materie stabilite dalla Costituzione e dalle normative di Stato. È sui richiamati campi che gli aspiranti agli scranni dell’Assise regionale devono misurarsi. Non sul terreno di roboanti dichiarazioni, ma sul piano concreto delle politiche attuabili. Un consigliere regionale non è un Ministro, né un Parlamentare. Invero, non deve svolgere neppure mansioni d’Amministratore. È un legislatore regionale e, come tale, deve proporre leggi, piani, strategie su quelle competenze che il diritto gli attribuisce. Chi si candida a rappresentare una Regione non dovrebbe essere alla ricerca di un applauso facile. Dovrebbe, altresì, aspirare al confronto con i cittadini su tematiche dirimenti: ambiente, cultura, welfare, trasporti, sanità, energia e, soprattutto, lavoro. È sulle elencate argomentazioni che si gioca la credibilità di coloro che aspirano a rappresentare i territori in seno all’Assise regionale. In Calabria, invece, molti di loro, si sono dilettati nella stesura di vuote note stampa mirate a colpire l’avversario piuttosto che a fornire soluzioni atte a nutrire di nuova linfa un elettorato ormai disincantato. D’altronde, quando si arranca vistosamente sui temi da trattare o si brancola nel buio, attaccare gli altri diventa l’unico modo per mettersi in luce. Per certi versi, la campagna elettorale ha ricordato molto gli interpreti del teatro pirandelliano.

I “Sei personaggi” del drammaturgo siciliano sono stati fedelmente sostituiti da concorrenti Consiglieri in cerca d’autore (e di idee). I trenta giorni appena trascorsi avrebbero dovuto servire a fare chiarezza su come intervenire per invertire la rotta della Calabria. Dettagliare linee guida credibili e mettere sul tavolo i problemi reali della Regione, avrebbero dovuto essere l’imperativo categorico. Vieppiù, fornendo idee utili per la risoluzione delle questioni in chiave interdisciplinare. Si è preferito, invece, narrare una terra fatta da suggestioni: piena di promesse, ma infarcita d’illusioni. 

La moralizzazione pubblica: una reclame elettorale 

Non sono mancate, in campagna elettorale, le figure dei moralizzatori politici a orologeria. Personaggi che promettono di spazzare via nequizia e corruzione riportando l’etica dove ha regnato, a loro dire, solo il malaffare. Salvo poi, una volta eletti, scivolare nelle stesse dinamiche che avevano denunciato. È un gioco delle parti. È un sistema che non cambia. E se le persone che aspirano a rappresentare un Popolo non studiano e non si aggiornano sui cambiamenti della società e sulle mutazioni dei territori, non saranno mai in grado di offrire una prospettiva diversa. Alla fine, giocoforza, cadranno negli stessi errori di cui, dai palchi, accusavano i loro predecessori. La moralità, quella vera, non si grida per le piazze: si dimostra con i fatti e con la coerenza tra ciò che si dice e ciò che si fa. Il popolo calabrese ha bisogno di risposte, visione e progetti per costruire un orizzonte di crescita reale e credibile. Non ha alcuna necessità di altre parole vuote e decontestualizzate dalla realtà effettuale. La Calabria merita un futuro concreto, mappato con intelligenza e realizzato con determinazione e per obiettivi. Non servono artate scale di merito per dimostrare un’effimera superiorità degli attori del presente rispetto a quelli del passato. Necessita un’ottica credibile e declinata in maniera chiara su quelle che dovranno essere le progettualità da mettere in campo per uscire dal baratro. Altrimenti, resterà ben poco che possa delineare questa terra come una della 20 Regioni che compongono il mosaico istituzionale del Paese.

Sanità, mobilità, agricoltura, ambiente, turismo, industria: quali pianificazioni? 

Si è parlato di sanità, ma lo si è fatto con lo stesso approccio degli ultimi decenni. Non si costruisce una sanità migliore recriminando sulle chiusure dei Presidi o accusando i Commissari precedenti. Si potrà disegnare una sanità credibile, se la medicina territoriale sarà scorporata da quella ospedaliera; se verrà avviata, tanto nelle Asp (Aziende sanitarie provinciali) quanto nelle AO (Aziende ospedaliere), una riforma sistemica tendente a revisionare la geografia dei perimetri sanitari, omogeneizzando ambiti affini.

Non ci sarà alcuna miglioria alle difficoltà di mobilità dei calabresi se non si affronterà, con cognizione di causa, il tema della intermodalità. Limitarci a chiacchierare di mancata attuazione delle trasversali, senza indagare sul perché i progetti delle stesse siano stati snaturati, non cambierà le difficoltà di raggiungimento dei Centri diroccati. Quanto detto vale sia per l’arrampicamento dalle linee di costa che dalle aree vallive. Se il comparto agroalimentare continuerà a essere a gestione familiare, i nostri prodotti d’eccellenza non avranno mai il riconoscimento che meritano. Continueranno, invero, a essere surclassati, sui mercati internazionali, dai prodotti di altri Paesi. 

La forestazione dovrà essere, certamente, un settore su cui avviare massicci investimenti. Non bastano smart working o finanziamenti a fondo perduto per ristrutturare immobili a invogliare i giovani a ripopolare le Aree Interne. Tuttavia, pensare che la Calabria di oggi sia quella degli anni ‘70 sarebbe un grave errore. Al tempo, le esigenze erano diverse. Oggi i giovani hanno necessità di servizi. Servizi, talvolta, neppure garantiti nelle aree urbane e totalmente assenti nei contesti decentrati.

Serve una visione turistica che ricostruisca destinazioni d’ambito per gli avventori. È necessario un processo di marketing territoriale da avviare nelle principali aree metropolitane europee e negli aeroporti internazionali. Vanno realizzate filiere turistiche che escano fuori dai confini regionali e abbraccino aree delle Regioni contermini e a interesse comune. Non possiamo continuare a definire turismo le vacanze di ritorno dei calabresi che occupano, prevalentemente, seconde case sui litorali. 

Andranno avviate politiche di rilancio industriale. Non è pensabile che questa Regione, fatto salvo i 50 anni di industria a Crotone, abbia totalmente abbandonato il settore. Certamente, i processi industriali sui quali bisognerà investire dovranno essere a basso impatto e collegati agli altri settori produttivi. Tuttavia, smettiamola di illuderci che si possa vivere soltanto di turismo e agricoltura. Regioni come la Lombardia, il Veneto, l’Emilia Romagna sono riuscite a far coesistere e implementare tutti i settori produttivi. Dobbiamo farlo anche noi.

Soprattutto, non possiamo più permetterci di ragionare per compartimenti stagni. I richiamati settori, combinando le esperienze, potranno concorrere efficacemente a generare nuovi posti di lavoro. Al bando soluzioni isolate: dobbiamo coniugare le nostre eccellenze per creare valore aggiunto. Solo così la Calabria potrà risalire. E la politica dovrà avere le competenze per impostare un piano strategico affinché questa Regione sia l’appendice euro-mediterranea e non già un’enclave europea del Corno d’Africa. (dma)

(Comitato Magna Graecia)

Dopo le elezioni: la sinistra è sorda
e la destra giustamente sorride
I calabresi nel mondo aspettano la Consulta

di  SANTO STRATI La conclusione dello spoglio, a notte inoltrata (ma perché tutto questo tempo?) ha affievolito la distanza tra la cocente sconfitta di Pasquale Tridico e la formidabile vittoria-rinvincita di Roberto Occhiuto. Restano, però, sempre circa 16 punti di distacco: un abisso, in politica, che il cosiddetto “campo larghissimo” vuole minimizzare a tutti i costi. Se ci fate attenzione, dalla segreteria nazionale c’è una sorta di cupio dissolvi, come di una fastidiosa incombenza di cui ci si è liberati e si sfregano le mani pensando già all’appuntamento toscano di domenica prossima. La “rossa” Toscana – pensano e dicono al Nazareno – farà dimenticare il 2-0 subito e ci rimetterà in pole position per conquistare anche Puglia e Campania.

Questa auto-assoluzione è una grave offesa ai calabresi di sinistra che non hanno alcuna intenzione di restare a guardare un partito (una coalizione?) avviato inesorabilmente a una rapida estinzione, o quasi. Il popolo della sinistra guarda non soltanto il disastroso risultato delle urne, ma vuole capire cosa porterà il futuro  e, soprattutto, se l’opposizione in Consiglio regionale mutuerà gli stessi atteggiamenti mantenuti durante la passata legislatura di rifiuto totale al dialogo e a qualunque possibilità di convergenza trasversale sulle grandi criticità di questa terra.

Un dato è certo, l’unico reggino presente in Consiglio regionale, Giuseppe Falcomatà, sindaco prossimo dimissionario del Comune e della Metrocity di Reggio, farà certamente il diavolo in quattro finché la “Regione straniera” non consegnerà le deleghe alla Città Metropolitana. Una colpevole dimenticanza che non si può rubricare come involontaria distrazione. Neanche quando è stato Presidente il compagno di partito Mario Oliverio, Falcomatà è riuscito a farsi dare le deleghe che servono per costruire, in autonomia, il futuro della città. Quindi, c’è – evidentemente – qualcosa che non va. E ricordo agli smemorati che Occhiuto affidò alla VicePresidente Giusi Princi una delega (al pari di un assessorato speciale) sulla Città Metropolitana, ma si è guardato bene dal consegnare le deleghe di spettanza alla Metrocity. Vedremo, dunque, cosa succederà nei prossimi mesi.

Ma se la Destra, giustamente, sorride e prosegue diritta facendo numeri inaspettati (ma non certo imbarazzanti), la Sinistra calabrese è sorda agli appelli, alle aspettative, alle richieste dei suoi iscritti. L’alibi del poco tempo per la campagna andatelo a raccontare altrove: i calabresi non hanno l’anello al naso e anche i ragazzini sanno che le campagne elettorali non si improvvisano bensì si preparano il giorno dopo la pubblicazione dei risultati elettorali. I numeri servono a far riflettere vincitori e vinti. Ma qualcuno sa spiegare perché si è rinunciato alle Primarie che buona parte degli iscritti avrebbe auspicato per poter esprimere i desiderata della base? La risposta non è nel vento – come canta Bob Dylan – ma nella amara constatazione che a questa sinistra (che, ricordiamolo, in Calabria vanta una lunga e gloriosa storia) non interessa nulla della cosiddetta base. Il territorio è il laboratorio dove sperimentare (dall’alto della terrazza romana del PD) improbabili percorsi di crescita (elettorale) e di sviluppo di altrettanto improponibili alleanze, i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Occhiuto ha fatto un buon lavoro in questi quattro anni di legislatura (pur con tante lacune da sanare) ma ha trascurato troppi aspetti della “nuova” Calabria. Fra i tanti, non si può fare a meno di segnalare l’assoluta indifferenza nei confronti del calabresi nel mondo: un capitale umano straordinariamente attivo, vero (e gratuito) testimonial di una terra che vuole crescere e non dimenticare i suoi figli lontani: la Consulta dei Calabresi nominata con molto ritardo rispetto all’insediamento, è rimasta inattiva perché non si è potuto/voluto nominare il vicepresidente cui spettano le deleghe operative. Eppure, la Santelli, la compianta Presidente Jole, aveva in animo di fare molto per la Consulta e per i calabresi. Che farà Occhiuto, in questo secondo mandato? Fingerà di dimenticarsi nuovamente dei calabresi nel mondo o attiverà finalmente uno strumento di promozione e propaganda che può diventare un volano di attrazione sia per il turismo delle radici sia per investimenti sul territorio? In questo modo, a sorridere non sarebbe più solo la “Destra” ma ogni calabrese che sogna il riscatto della sua terra, in qualunque parte del mondo esso si trovi. (s)

La super vittoria di Roberto Occhiuto: 57%
Tridico: Non mi aspettavo un risultato così

di SANTO STRATIÈ un risultato che va al di là di ogni ragionevole aspettativa: Roberto Occhiuto e la sua squadra non volevamo vincere, ma stravincere. In pochi ci credevano, eppure il sorprendente dato che emerge dalle urne (57% contro 41%, punto più, punto meno, non importa) non solo premia un centrodestra coeso e unito, ma segna il fallimento totale del campo largo. Un’invenzione che non è servita a raccogliere consensi, ma soprattutto a spingere al voto i cosiddetti astenuti, i delusi della politica, gli avviliti, i protagonisti di un dissenso palpabile che si manifestacon la diserzione dalle urne.

Intendiamoci, il 43,14% di affluenza è fasullo, giacché si basa sul numero degli aventi diritto al voto (dove figurano diverse centinaia di migliaia di calabresi iscritti all’Aire, cioè residenti all’estero, ma titolari del diritto di voto. Che possono esercitare – alle elezioni politiche – mediante la preferenza espressa a distanza, per corrispondenza, ma che sono esclusi dal voto se non vanno a votare nella sezione dove figurano iscritti. E a questi vanno aggiunti almeno altri 250mila calabresi che, pur mantenendo la residenza in Calabria, vivono fuori: studenti, lavoratori, insegnanti, etc. Per loro la mancanza del voto a distanza (una pratica di facilissima applicazione se solo la politica lo volesse) si traduce in un astensionismo non voluto, forzato da ragioni soprattutto economiche: un viaggio per votare, pur se scontato significa qualche centinaio di euro, che sono soldi per la stragrande maggioranza di chi vive, studia o lavora fuori. Quindi sarebbe opportuno che si ripescassero i disegni di legge per il voto a distanza (partiti dalla lodevole iniziativa del Collettivo Peppe Valarioti, “Voto sano da lontano”, del 2020), bocciati dal Parlamento.

Ma anche applicando i valori percentuali dell’affluenza su un realistico numero di effettivi votanti (1.200.00 rispetto al milione e 888mila dell’Istat) avremmo comunque un’affluenza più o meno del 50%. Il che equivale, comunque al segnale più evidente di una irreversibile disaffezione per la politica.

Ma non è l’affluenza (un punto in percentuale in meno rispetto al 2021) l’elemento che domina questa tornata elettorale. È il distacco tra i due candidati che certifica, senza bisogno di notai indipendenti, la clamorosa sconfitta del centrosinistra e del campo “larghissimo” che doveva sbaragliare Occhiuto e centrodestra.

Sbagliata la strategia politica, sbagliata la strategia elettorale, sbagliata la comunicazione: Tridico, che può vantare un curriculum di stimatissimo accademico di lungo corso, si è fidato di Giuseppe Conte e dei compagni del PD, mostrando un dilettantismo spaventoso nella gestione della campagna elettorale. Ha combattuto contro l’avversario come fosse un nemico da battere, in un duello da Ok Corral, dimenticandosi che come insegna Sergio Leone «quando un uomo con la pistola incontra un uomo con il fucile, è un uomo morto».

Sarebbe bastato un po’ di buon senso e qualche consigliere esperto a suggerire pacatezza e controllo nelle promesse e nelle dichiarazioni d’intenti. Il suo bel programma ai più è apparso il solito libro dei sogni, ma i calabresi ne hanno piene le tasche di promesse e suggestioni da campagna elettorale. Non ci sono cascati. Ed è prevalsa la logica dell’usato sicuro (con tutto il rispetto per il bis-Presidente), ovvero hanno preferito ridare fiducia al governatore uscente piuttosto che affrontare la via dell’incognito.

Tutto questo richiederà un serio esame a livello nazionale: la sinistra deve decidere se completare il lento suicidio o darsi una svolta. Le lezioni (e le “bastonate”) servono anche a questo. (s)

La Calabria oggi avrà il suo nuovo Presidente. Si può votare dalle 7 alle 15. Affluenza ore 23: 29,08%

di SANTO STRATI – Con molte buone probabilità, entro stasera la Calabria conoscerà il nome del suo nuovo Presidente, il 21° da quando sono state istituite le Regioni nel 1970 (18 presidenti e 2 vice f.f.).

I pronostici danno quasi per scontato il bis di Roberto Occhiuto, il Presidente uscente che il 31 luglio ha rassegnato le dimissioni, ricandidandosi subito dopo. Un segnale agli alleati, una sfida al fuoco “amico” e una provocazione, tattica, diretta all’opposizione che così avrebbe avuto pochissimo tempo per organizzare la campagna elettorale, a cominciare dalla scelta del candidato. Ma qualcuno ha anche letto la ricandidatura come una sfida alla magistratura: “vediamo cosa pensa di me il popolo calabrese”, una mossa azzardata e pericolosa che certamente avrà provocato qualche irritazione nei magistrati che lo avevano messo sotto inchiesta. Un’indagine che non ha, per fortuna, intorbidito la campagna elettorale, ma di cui è prevedibile a breve qualche sviluppo a sorpresa.

Comunque, un Presidente indagato porta su di sé un pesante e fastidioso sospetto e c’è chi, dalla parte avversaria, ha pensato di giocare la carta dell’impresentabilità per un fatto etico, dimenticando, colpevolmente, che anche il candidato di sinistra delle Marche Matteo Ricci si era presentato pur avendo ricevuto anche lui un avviso di garanzia. Che non può essere contrabbandato – a tempi alternati, a seconda delle convenienze, come marchio d’infamia che condanna a priori il malcapitato di turno.

Tutto ciò, ragionevolmente, è rimasto fuori della campagna elettorale, fatta salva la caduta di stile l’ultimo giorno di campagna da parte di Pasquale Tridico che ha domandato a Occhiuto se gli fosse arrivato un altro avviso di garanzia.

È stata quest’ultima, insensata, battuta a far perdere ulteriori voti all’ex Presidente dell’INPS. Non si può essere garantisti a corrente alternata, né si può, ingenuamente, pensare di raccattare voti tentando di screditare l’avversario sul piano giudiziario.

Al di là dei pronostici (che si basano soprattutto sui numeri e la composizione delle liste), Tridico avrebbe potuto essere un serio e temibile avversario se solo avesse scelto di fare il capitano di squadra, senza le spinte e i suggerimenti di un discutibile allenatore (Giuseppe Conte) mica tanto occulto. L’assenza di una strategia convincente che puntasse alla vittoria lascia trapelare il sospetto di una campagna elettorale giocata con l’idea di non vincere. E rendere Tridico un “perdente di successo” con ripercussioni difficilmente sanabili sull’idea di “campo largo”.

Ma dalle urne c’è da aspettarsi di tutto e potrebbe persino capitare che Tridico, al di là di qualsiasi sfavorevole pronostico, vinca le elezioni, gettando nello sconforto gli avversari. Ma è uno scenario da periodo ipotetico di quarto tipo: impossibile. Salvo che gli appelli del campo largo e del prof. di Scala Coeli diretti a chi non va a votare (per disgusto della politica o per manifestare il proprio dissenso nei confronti di tutti i candidati) non abbiano prodotto un miracolo. C’è anche chi ci crede…

Siamo osservatori neutrali e non tifiamo né per l’uno né per l’altro, ma chiunque vinca le elezioni dovrà tenere a mente che questa terra non può più attendere: serve un piano di sviluppo che guardi al territorio e al capitale umano disponibile. I nostri ragazzi, laureati, freschi di master, o anche solamente diplomati, hanno una richiesta precisa che non si può ignorare: lavoro e serie opportunità di occupazione che valorizzino capacità e competenze, che devono essere messe a profitto per la crescita della Calabria e vanno utilizzate, appunto, in Calabria. Dove vivere tra gli affetti familiari, l’amore del compagno o della compagna, e solide amicizie maturate negli anni dell’adolescenza e spesso interrotti da un viaggio con un biglietto di sola andata al Nord. Tutto questo deve finire!

Urne aperte da stamattina alle 7 fino alle 23.
E domani dalle 7 alle 15.
E allora tutti a votare!

di SANTO STRATI – A parte le schiere di supporter, addetti ai lavori e pochi intrepidi nel cui cuore batte ancora un briciolo di passione politica, si ha la netta impressione che sia scarsa la palpitazione dei calabresi per questa competizione elettorale.

Frutto anche di una campagna elettorale sguaiata e irrimediabilmente infettata da un ingiustificato livore, dall’una e dall’altra parte. Una campagna elettorale che non è riuscita a scuotere gli animi, che non ha acceso la miccia di una qualsiasi “rivoluzione” gentile finendo allo scontro armato (di buone intenzioni e improbabili promesse) tra due “nemici” piuttosto che avversari politici.

Non è piaciuta per niente questa campagna elettorale ai calabresi, costretti a subire il carosello continuo di slogan logori e deprivati di qualsiasi appeal che l’uno e l’altro, Occhiuto e Tridico, si sono recitati a vicenda (il terzo “incomodo” – Francesco Toscano – col suo candido zerovirgola è un gran simpatico ma non fa testo), ripetendo all’infinito improbabili disvalori (l’uno dell’altro) come se fosse questo l’elemento in grado di spostare voti da una parte o dall’altra.

I calabresi, diciamo la verità, hanno rimpianto le vecchie tribune politiche alla Jader Jacobelli, dove prevaleva il rispetto tra gli avversari, con un immancabile filo di ironia che induceva più al sorriso che al ghigno. Complici anche il tempo troppo ridotto e la fin troppo evidente impreparazione di un centrosinistra, incredibilmente “unito” in un campo largo destinato a produrre un “perdente di successo”, questa volta sono prevalsi tra gli elettori l’indifferenza e un malcelato distacco dall’agone politico. Una battaglia senza eserciti che non assomiglia nemmeno vagamente a un risiko a tavolino, dove, comunque, serve un pizzico di strategia per sconfiggere gli avversari.

Qui la strategia è diventata merce rara, con Occhiuto che sembrava il protagonista de I pirati dei Caraibi e Tridico, il prof, impacciato come un novellino al primo colloquio per un posto di lavoro. Intendiamoci, Occhiuto in questa partita era cartaro e Tridico un giocatore poco esperto, ma queste sensazioni le hanno colte gli addetti ai lavori, gli specialisti della comunicazione, non certo la platea degli elettori, rimasta insensibile allo scambio reciproco di “insulti” basati sul “non fatto” dell’uno – governatore uscente – e sulle debolezze “stilistiche” dell’aspirante.

Ma chi ha curato la campagna elettorale di Tridico? Da quanto si è visto, probabilmente un dilettante, ovvero una squadra di dilettanti allo sbaraglio che non ne ha azzeccata una. Lasciamo perdere gli svarioni verbali, ma Tridico, a chiusura della campagna possiamo dirlo, ha fatto di tutto per offrire il fianco a poco divertenti prese in giro, non ultimo l’accostamento ad Antonio Albanese, alias Cetto LaQualunque, con la differenza che il comico attore faceva ridere (è il suo mestiere), ma Tridico ha fatto mettere le mani nei capelli su quanti lo avevano immaginato nell’angelo vendicatore della sinistra in declino. No, nulla di tutto questo. Da candidato Tridico poteva mettere il naso nella formazione di tutte le liste (ma non l’ha fatto), poteva sganciarsi (con eleganza) dal macigno del “vaffa” grillino (ma non l’ha fatto) mostrando di avere gli attributi giusti, poteva raccontare una storia diversa, vincente della sua idea di Calabria. E invece si è perso a inseguire i “guasti” nella sanità provocati dall’avversario (dimenticando, purtroppo per lui, che i commissari “disastrosi” della Sanità li ha nominati il Governo Conte), si è fatto prendere la mano a rintuzzare l’avversario, al posto di ignorarlo: doveva – a nostro modesto avviso – dire solamente “signori, si cambia” e snocciolare idee e proposte, che avessero basi di concretezza (e disponibilità dei fondi necessari). Poteva tralasciare di ripetere che il Ponte è “una sciagura”, guardando allo sviluppo del territorio e alle infrastrutture che – senza il Ponte – difficilmente saranno realizzate. Invece ha giocato “a perdere”, ma probabilmente nessuno glielo ha fatto notare.

L’ex presidente dell’Inps ha perduto un’opportunità grande quanto una casa e quando gli ricapita? Certo, le urne si aprono stamattina e tutto può ancora succedere (in politica è quasi normale, ricordatevi cosa è successo per il Comune di Catanzaro con l’inaspettato successo di Fiorita…) ma è evidente che Tridico ha giocato male, malissimo, la sua partita: un bel programma di buone intenzioni (e poca concretezza) non è sufficiente a smuovere l’elettorato silente, quello che volontariamente diserta le urne perché stanco, avvilito, a volte disgustato da una politica fatta di nulla ricoperto di niente.

Quella fascia di elettorato che il centrosinistra unito (?) avrebbe potuto-dovuto intercettare non con la promessa di un improbabile reddito di dignità da 500 euro al mese, ma con un serio e articolato progetto di crescita e sviluppo del territorio. Così Tridico s’è trovato a recitare la parte del pifferaio magico, senza sapere che i “topi” se n’erano già andati via da soli, sconfortati e delusi dall’impolitica, e scoprendo tardi che non c’erano nemmeno “bambini” da irretire per punire il borgomastro cattivo. Scusate la metafora, ma ci sta tutta: Tridico doveva attuare una campagna di comunicazione fatta non di deboli promesse (tipiche di chiunque si candidi per qualsiasi ruolo, in politica) ma di programmi – davvero realizzabili – non da libro dei sogni.

La Calabria è una terra difficile da governare, lo sanno i 18 presidenti e i due vice facenti funzione che hanno segnato 55 anni di regionalismo. Qualcuno dirà “ma erano altri tempi” e, in parte è vero, ma oggi esistono condizioni forse più favorevoli per capovolgere la narrazione di una Calabria che va a pietire aiuti e sussidi al Governo centrale.

Certo bisogna battere i pugni, ma soprattutto avere la capacità di saperli battere: i calabresi non sono mai stato un popolo rassegnato, sfiduciato e avvilito sì. Eppure dal Nord, che insiste per bocca di Calderoli sull’autonomia differenziata (senza possibilità di successo), vengono chiare e non equivoche indicazioni che la vera locomotiva del Paese è il Mezzogiorno. Ma per farla camminare serve un vero Piano per il Sud che preveda delocalizzazioni di aziende della parte ricca del Paese, che offra e garantisca incentivazioni per il South smart working, che preveda la defiscalizzazione dei contributi dei nuovi assunti al Sud. E ci sia una grande impegno di investimento per la formazione, con la massima attenzione alla scuola, sempre più fanalino di coda degli impegni di tutti i governi.

Occhiuto s’è lanciato anche lui in promesse in parte difficilmente realizzabili, ma può vantare il vantaggio di avere già governato (bene o male ce lo diranno i voti che prenderà).

Le polemiche a risultato definitivo non finiranno, ma sarebbe bello immaginare un impegno trasversale di tutti (maggioranza e opposizione) per il futuro dei nostri ragazzi.

E, naturalmente, andiamo tutti a votare. (s)

L’astensione di chi non torna a votare
Per le Regionali non è ammesso il voto a distanza

di SANTO STRATI – C’è il fondato timore che, ancora una volta, a vincere le elezioni sia il partito degli astensionisti. Non sappiamo quanto abbiano inciso su chi pensa di disertare le urne i discorsi, le promesse, le idee dei tre candidati. Per la verità, questa campagna elettorale è sembrata più un duello tra due più nemici che avversari, con colpi bassi e “insulti” gratuiti cavalcando le debolezze dell’uno e dell’altro e mettendo in piedi scenari”demolitori” del rispettivo competitor. Il buon Francesco Toscano, che – ci dispiace per lui – abbiamo soprannominato il candidato “zerovirgola”, non fa testo, semmai ha un ruolo di terzo incomodo, ma anche lui non ha rinunciato a lanciare qualche strale di cui, però, non si sono sentiti nemmeno scalfiti né Tridico né Occhiuto.

In verità, gli elettori avrebbero gradito sentire illustrare, con relativi riferimenti a dove trovare la dotazione finanziaria necessaria, un programma che non fosse – come al solito – un catalogo di buone intenzioni. E invece è prevalsa la logica dello scontro parolaio, a livello di scuola elementare, pur in assenza della referente: “maestra, mi ha detto che sono brutto», «maestra, non conosce la geografia», etc. Tutte cose che, in circostanze diverse, potrebbero persino indurre al sorriso, ma, invece, hanno provocato ulteriori reazioni di delusione, indifferenza, fastidio. Con queste premesse si può immaginare che qualcuno della vastissima, ahimè, platea di quelli che non vanno a votare abbia cambiato idea? Molto difficile…

D’altronde, c’è da osservare che entrambi i principali contendenti hanno perso una grande occasione. Occhiuto, per la verità, non aveva bisogno di convincere i delusi della politica a votare per lui, avendo già una solida base elettorale: chi è rimasto soddisfatto della sua gestione non avrà remore a confermargli la fiducia e, poi, c’è la grande schiera dei supporter che votano a occhi chiusi. Ma non avrebbe fatto comodo qualche voto recuperato dagli astenuti e dagli indecisi?

Per Tridico, incredibilmente, la sfida a scuotere dal letargo elettorale gli astenuti e gli indecisi era tutta in discesa: sarebbe bastato non usare con disincanto l’improbabile “golosità” del reddito di dignità (che – ha ammesso lui stesso – riguarderebbe solo 20-30mila soggetti) e invece illustrare le ragioni per sostenere un’idea di cambiamento. Ma, salvo le sorprese che le urne possono sempre offrire, i giochi sono fatti.

Tridico poteva pescare a piene mani tra gli indecisi tralasciando le schermaglie verbali con Occhiuto (e relative repliche piccate), puntando invece a un’idea di sviluppo e di crescita attraverso progetti e programmi con al centro il territorio e il capitale umano di questa terra. La gente è stanca di promesse e impegni e sa benissimo che le uniche cambialette elettorali dei candidati vengono onorate solo verso i portatori di voti, dimenticando spesso le vere esigenze della gente, soprattutto di quella che è andata a votare.

Ma non si può fare a meno di sottolineare che, in realtà, il vergognoso primato di astensionismo che affligge la Calabria, in un crescendo spaventoso, elezione dopo elezione (dal 81% del 1970 al 44& del 2021) nasconde un’altra verità. Almeno un quarto di chi non va a votare non si astiene per rifiuto ideologico o disgusto della politica, bensì – più mestamente – rinuncia ad affrontare una trasferta e spese di viaggio (anche se questa volta molto agevolate via ferrovia, bisogna dirlo) che, probabilmente non può permettersi.

Perché per le elezioni politiche gli italiani all’estero possono votare per corrispondenza, ma per tutte le altre elezioni, soprattutto quelle regionali e amministrative, non è ammesso il cosiddetto “voto a distanza”? Ci aveva provato il collettivo Valarioti con un’iniziativa sfociata in un paio di disegni di legge lasciati affossare dalla politica e, quindi, non se n’è fatto nulla. Eppure proviamo a immaginare come potrebbe cambiare lo scenario di un’elezione (regionale, nel nostro caso) dove gli astensionisti sono davvero quelli che per scelta non vanno a votare e non coloro che si privano – a malincuore –  del diritto di voto? Se la stima del 25% può sembrare alta, andate a guardare i numeri dell’emigrazione del Sud e, soprattutto, della Calabria degli ultimi dieci anni. È una cifra da paura che dovrebbe far morire di vergogna i nostri politici locali e nazionali, per la totale assenza di visione di futuro.

I nostri ragazzi, laureati, ricercatori, eccellenti dottori di ricerca, se ne vanno per mancanza di opportunità e occasioni di occupazione seria, all’altezza dei propri titoli e delle proprie capacità. E difatti dal Nord, dall’Europa, dal Mondo, se li contendono e li valorizzano. E con loro se ne vanno genitori, nonni, e amici. Quelli che poi figureranno, probabilmente, nella somma degli astenuti.

La politica, presumibilmente, teme il voto a distanza: non per paura di brogli (è più facile manipolare i conteggi alle urne), ma per l’incertezza del risultato. Sono voti che non si riesce a “controllare”, perché a distanza l’elettore è meno coinvolto e più attento ai programmi che alle chiacchiere. Serve la riforma dell’attuale legge elettorale (se mai il Parlamento vorrà farla), ma il primo passo per contrastare l’astensionismo sarebbe permettere il voto a distanza. (s)

Errata corrige
Nella prima edizione dello Speciale edizione, per un errore di trasmissione, nella Circoscrizione Sud, l’elenco dei candidati della Democrazia Cristiana – Unione di Centroo non è corretto (ripete quello della lista Nord chiama Sud). Si è provveduto a correggere l’errore con una nuova edizione, scaricabile da qui:

Digital Edition / 251004_Speciale Calabria.Live Elezioni regionali 2025

Ecco i candidati della Circoscrizione Sud, lista Democrazia Cristiana – Unione di Centro

Riccardo Occhipinti

Evelin Giada Monardi Trungadi detta Monardi

Manuela Barletta

Donatella Moscato

Pancrazio Melcore detto Walter

Luigi Marcianò

Antonino Francesco Latella

Regionali: veline e veleni
per il programma poi si vedrà

di MIMMO NUNNARI – Una sola Calabria non esiste, ne esistono tante, come in passato, quando però si parlava di “Calabrie” a ragione, e il plurale si giustificava con l’esistenza della Calabria Citeriore e la della Calabria Ulteriore, denominazioni ufficiali che la regione terminale d’Europa si portava dietro fin dal Basso Medioevo. Oggi, quando qualcuno usa ancora il termine Calabrie, lo fa per sottolineare la perdurante diversità e la complessità storica e culturale della Calabria, mosaico frammentato, racchiuso in un unico spazio fisico, ma diviso in piccole patrie, che stentano a unirsi veramente. È questo forse il vero fallimento di più di mezzo secolo di regionalismo, vissuto in Calabria tra primati perduti e rancori resistenti. È questa la debolezza più grande di una regione che vuole volare ma resta attaccata al suolo: incatenata e incapace a spezzare le catene, a liberarsene. Questo, dovrebbe essere un tema da campagna elettorale, su cui riflettere e ragionare. Solo una vera sostanziale unità, e col beneficio derivante dall’essere uniti, dal collaborare e dal superare le divisioni, potrà decollare la “regione differente”; differente per cultura, tradizione, miti, modo di pensare e di vivere. Sono tutte belle però queste Calabrie, ancorché divise e rancorose, e chi riuscirà a mischiarle, ad amalgamarle, facendo diventare ogni differenza ricchezza, le farà volare. La sfida più grande tra Occhiuto e Tridico è forse questa: riconciliare la Calabria, riconciliarla con se stessa, e riconciliarla col resto del Paese, con l’Italia del Nord, che è la locomotiva che corre, alla quale bisognerebbe agganciarsi. I campanilismi inutili e i conflitti di stampo municipalistico, che ancora esistono –  inutile nasconderlo – o i duelli politici da asilo infantile sono assurdi. Non fanno altro che alimentare lo stereotipo di Calabria terra conflittuale, ultima irredimibile e perduta. Bisognerebbe provare a volare alto in questa campagna elettorale, concentrarsi sulle soluzioni che le attività politiche possono produrre nella realtà, in una regione che vive tra eccellenze e mediocrità, senza vie di mezzo. C’è questa Calabria plurale di luci e di ombre, sullo sfondo della sfida elettorale Occhiuto Tridico: ultima occasione, per una regione storicamente trascurata e isolata di spiccare il volo verso un futuro rosa; che si merita, uscendo dalle nebbie in cui vive, anche per colpa di una classe politica suddita di partiti nazionali che considerano la Calabria granaio di voti, e basta. Ed è tanto, se non la disprezzano, anzi sottovoce lo fanno, a destra e a sinistra. Avete mai sentito levarsi dai Governi (di destra o sinistra) o dal Parlamento, una voce chiara e forte in favore della regione sud del Sud? Del fanalino di coda dell’Europa che nelle classifiche si trova appena prima delle due enclavi spagnole di Ceuta e Melilla in terra africana?  E del rumoroso silenzio dei parlamentari eletti in Calabria che dire? Non vogliamo fare di tutta l’erba un fascio. Qualcuno va salvato, ma li contiamo davvero sulle dita di mezza mano i meritevoli, di destra e sinistra. Ora, con questo scenario alle spalle, la sfida Occhiuto Tridico diventa un’occasione unica per cambiare, per riportare la discussione sul futuro della Calabria a un livello dignitoso, col recupero della centralità della politica, collocandola a più diretto contatto con la vita dei calabresi, rendendola più aderente alle cose stesse. Certo, è una  sfida anomala quella tra un presidente dimissionario e autoricandidato e un europarlamentare a cui la coalizione di sinistra impreparata ha dovuto appellarsi, pena l’inabissamento. Tridico, è stato un salvagente per la sinistra. Ha tolto dall’imbarazzo il Pd, partito che in passato per scegliere il candidato presidente ha dovuto far ricorso alla lotteria, provandole tutte prima di giungere per sfinimento ad Amalia Bruni, scienziata di valore, ma distante della politica e da esperienze di gestione di un ente importante, come la Regione. Prima di far uscire dal cilindro di via del Nazareno – sede nazionale del Pd – il suo nome, c’erano stati il no a Mario Oliverio, le incertezze antipatiche su Nicola Irto, i rumors su Enzo Ciconte, scrittore e politico d’esperienza, però poco gradito alla nomenclatura post Pci, l’investitura di Maria Antonietta Ventura, imprenditrice ferroviaria di origine pugliese, come Francesco Boccia, all’epoca proconsole Pd, incaricato di sbrogliare la matassa calabrese, di cui “il Manifesto” scrisse: “Non sa più che pesci pigliare”. Quattro anni dopo il Pd resta partito che non sa decidere, poco inclusivo, tendente all’esclusione, senza leader. Se nel campo della sinistra il Pd appare malconcio, e Avs ha dovuto arruolare la filosofa calabroromana Donatella Di Cesare, nota per le sue partecipazioni nei talk show e le amicizie con ex Br, a destra c’è Fdi, il partito della premier Giorgia Meloni, che non si sente tanto bene, tanto da dover ricorrere ad una politica dal profilo alto, come Wanda Ferro, sottosegretaria all’Interno, per rassicurare il proprio elettorato disorientato (a Reggio è stato abbandonato da due dirigenti storici come Giuseppe Agliano e Salvatore Lagana’, fedelissimi dell’ex presidente Giuseppe Scopelliti che sostiene un candidato della Lega ) o arruolare politici provenienti dalla sponda grillina, come Dalila Nesci, 5 Stelle doc, ex sottosegretaria per il Sud. Con questi rumori fuori scena, il palcoscenico è tutto per i due protagonisti: Occhiuto e Tridico. Sarebbe utile che entrambi si ponessero interrogativi semplici su problemi però vitali, riflettendo anche sul fatto che benché la Calabria sia stata governata dal centro, per secoli, con una specie di spocchia coloniale, non sarebbe onesto attribuire solo a ipotetici “nemici esterni” le colpe di un malessere che esiste per corresponsabilità degli stessi calabresi. Quali interrogativi potrebbero porsi, Occhiuto e Tridico, preparandosi a dare risposte? Ne elenchiamo alcuni: – Come correggere, migliorandole, le peggiori condizioni sanitarie d’Italia che comportano minori aspettative di vita e maggiori difficoltà nell’accesso ai servizi sanitari, rispetto a tutti gli altri italiani? – Come creare concretamente posti di lavoro e frenare l’emorragia inarrestabile verso il nord e l’estero di braccia e intelligenze? – Come evitare il rischio che il territorio più a Sud del continente europeo, assuma, progressivamente, le sembianze di uno Stato mafia di tipo balcanico, dominato dalla mafia più potente del mondo? Come risanare le burocrazie, infettate dalla corruzione, e in che modo correggere l’inclinazione politica alla collusione con sistemi occulti e/o mafiosi? – Quali misure legislative mettere in campo, per emancipare le popolazioni dal bisogno che le opprime? Non sarà facile rispondere, con un collegiale e coraggioso impegno, si può tentare.
Con gli slogan non si va da nessuna parte. (dn)

Regionali: Sanità, Inclusione e Sviluppo
I nodi di un’elezione molto complessa

di SANTO STRATI –  Inclusione e sviluppo sono il vero nodo delle prossime elezioni regionali. Se si dà per scontata la priorità assoluta rappresentata dalla disastratissima Sanità calabrese, su questi due temi si vanno a confrontare i due candidati Occhiuto e Tridico (forse ce ne sarà un terzo, Francesco Toscano per Democrazia Sovrana e Popolare, se raccolgono le firme necessarie per la presentazione delle liste). Il confronto non appare scontato viste le ben chiare posizioni, ma riguarda essenzialmente la scelta di strategia che sarà adottata.

Un manifesto di intellettuali indica in Pasquale Tridico la svolta necessaria di cui la Calabria ha estremamente bisogno, e non c’è da eccepire sulle qualità accademiche e le capacità di serio economista (oltre al fatto di essere una persona perbene), però la sua candidatura, spinosa per molti versi per Occhiuto e tutto il centrodestra, mostra alcune debolezze, su cui il tempo ristretto gioca sicuramente a sfavore.

Tridico è il padre del reddito di cittadinanza e punta sull’inclusione sociale per raccogliere consensi: l’idea di un “reddito di dignità” è ammirevole sotto tutti i punti di vista e alle critiche del centrodestra che mancano le risorse finanziarie necessarie, il professore originario di Scala Coeli (CS) replica che si possono reperire facendo una “raccolta indifferenziata” tra i vari fondi europei che prevedono misure per l’inclusione sociale. Anche il Pnrr, di cui la Calabria ha, allo stato, impegnato poco più del 10% delle risorse a essa destinate, prevede misure finalizzate a contrastare la povertà.

Non abbiamo dubbi sulle affermazioni di Tridico sul reperimento dei fondi (300/500 milioni l’anno) che non possono essere individuati nel bilancio regionale (nel 2023 il consigliere PD Raffaele Mammoliti propose qualcosa un assegno regionale contro la povertà, ma il progetto venne bocciato dall’aula), ma il problema non sono solo i soldi. È l’idea di un ritorno all’assistenzialismo che non genera nuova occupazione e non spinge a cercare il lavoro: i guasti dell’anche benemerito reddito di cittadinanza (che ha risolto problemi a tantissime famiglie fragili e incapienti) sono sotto gli occhi di tutti. Una buona idea che, al di là del penoso e fallace slogan pentastellato lanciato dalla finestra di Palazzo Chigi “abbiamo abolito la povertà”, si è rivelata una pacchia per i soliti furbetti del Paese (pare che qualche mussulmano abbia ricevuto l’assegno moltiplicato per il numero delle tre-quattro mogli – legittimamente – a carico). Con il risultato che tantissimi giovani e moltissimi disoccupati hanno – soprattutto al Sud – rifiutato il lavoro (magari facendolo poi in nero) perché era più comodo il RdC che consentiva di continuare a restare in ozio (pagato). Dall’altra parte, non si può non riconoscere che, accanto alle storture e agli abusi perpetrati, in realtà il RdC ha dato respiro a molte famiglie realmente in povertà.

E a proposito di povertà in Calabria i numeri sono contraddittori: secondo l’Istat ci sono 70mila poveri assoluti, secondo altre stime il numero va decuplicato. In ogni caso la lotta alla povertà con l’obiettivo di ridare dignità (e lavoro) alle persone senza sussidi, è certamente un traguardo degno di un Paese civile.

Ma l’inclusione sociale su cui punta Tridico può prevalere su un’idea di sviluppo senza la quale non ci potrà essere riscatto sociale? Tridico non è certamente contro lo sviluppo, ma se, nel programma, dovesse essere costretto a far proprie le posizioni oltranziste e abitualmente schierato sul No a tutto (il famoso “vaffa” che si è rivelato una beffa per gli elettori che ci hanno creduto) il suo consenso popolare sarebbe destinato a una decisa sforbiciata. Uno su tutte il Ponte sullo Stretto su cui – per sola ideologia e nulla di più – Pd, Cinquestelle e tutta la sinistra continuano, ostinatamente, a mostrare opposizione, e che invece è un ineccepibile e indiscutibile volano di sviluppo non solo per i territori della Calabria e della Sicilia, ma di tutto il Mezzogiorno e dell’intero Paese. Può permettersi la Calabria, a fronte di un progetto divenuto legge dello Stato – a giorni la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale – un Presidente che, contrario al Ponte, dovrà vigilare ed essere attivo su tutte le opere compensative e di complemento che servono a preparare la realizzazione dell’Opera? Come si potrà conciliare una posizione intransigente su una mega infrastruttura che lo Stato ha deciso di realizzare, con voto democratico del Parlamento, con l’idea di sviluppo che il Ponte stesso porta in dote?

È un bel problema e, probabilmente, il prof. Tridico si è già chiesto quale potrebbe essere la soluzione migliore. E qui ci permettiamo un suggerimento: non sia l’inclusione sociale il cavallo di battaglia della sua campagna elettorale, perché, sì, raccoglie facilmente il consenso popolare, ma non soddisfa le reali esigenze della regione, che ha bisogno di crescita e sviluppo, mediante anche un corposo piano infrastrutturale. Ma punti sullo sviluppo (da cui ovviamente deriva implicitamente l’impegno per l’inclusione) indicando priorità e le idee che possano offrire un salto di qualità all’immobilismo cronico che caratterizza la Calabria.

D’altro canto, il Presidente uscente Roberto Occhiuto punta tutto sullo sviluppo della regione, per convincere gli elettori a riconfermargli la fiducia, ma non dovrà trascurare il problema povertà e inclusione sociale che affligge troppe famiglie con conseguenze nefaste per le nuove generazioni. Il rischio è di vedere crescere in povertà un quarto della popolazione calabrese, soprattutto quella che vive nelle aree più depresse (quasi tutte…) e quindi abituarsi all’idea di un 25% di giovani dannatamente poveri e deprivati di qualunque prospettiva di benessere. Non ce lo possiamo permettere e non intervenire a favore di chi ha bisogno (bambini denutriti, anziani privi di cure, famiglie con disabili che vivono di aiuti occasionali) è una vergogna per un Paese civile e, soprattutto, per una regione che ha nel proprio dna i valori dell’accoglienza e della solidarietà.

In buona sostanza, non ci può essere sviluppo senza inclusione sociale, ma quest’ultima non può guidare (o, peggio, condizionare) il percorso di crescita dei territori. Dare l’assegno sociale a chi ne ha diritto (e davvero bisogno) è un impegno che entrambi gli schieramenti –possibilmente in modo trasversale, al di là di chi vince e chi perde in questa competizione elettorale – devono obbligarsi a rispettare. Poi, le modalità di utilizzo (c’è chi giocava alle slot machine con il RdC…) vanno studiate perché il sussidio sia davvero tale. Ma allo stesso tempo si rifugga dall’idea di un nuovo provvedimento di assistenzialismo: la Calabria e tutto il Mezzogiorno non vogliono aiuti sostitutivi, ma opportunità di impiego con stipendi dignitosi e, perché no?, formazione. In Sicilia hanno già formato e preparato giovani tecnici, manovali, carpentieri, etc per i lavori del Ponte: in Calabria non risulta alcuna iniziativa del genere.

Per chiudere, torniamo al punto cruciale, la sanità. Se non si azzera il debito (azzerare, non cancellare: sarebbe ingiusto nei confronti di chi legittimamente deve essere ancora pagato) non si va da nessuna parte. Occhiuto, avventatamente, alcuni mesi fa annunciava “a giorni” la fine del Commissariamento: siamo a fine agosto e sappiamo com’è andata a finire. Il problema è che sono tanti gli interventi necessari (si legga l’accurato Manifesto di Comunità Competente), ma se i fondi sono utilizzati a pagare le rate del rientro del debito, restano poche risorse da investire. Su questo, principalmente, si gioca la roulette del 5-6 ottobre. (s)

Tridico ha detto sì alla sfida con Occhiuto
Domani sarà ufficializzata la candidatura unica per la coalizione di centrosinistra

Con un whatsapp all’Ansa, l’eurodeputato Pasquale Tridico, già presidente dell’INPS nonché “padre” del reddito di cittadinanza, ha sciolto la riserva e ha dato la sua disponibilità a correre per il centrosinistra unito alle prossime elezioni regionali calabresi del 5-6 ottobre.

«Sono disponibile – ha detto Tridico all’Ansa – . Se tutte le forze progressiste ci sono, confermo la mia disponibilità a candidarmi per la presidenza della Regione Calabria». Domani sarà ufficializzata la candidatura e quindi la sfida sarà a due, tra Occhiuto e Tridico.

La decisione è arrivata prima del vertice convocato da Sandro Principe, a nome della sinistra riformista, per stasera a Lamezia.

Sulla disponibilità di Tridico s’è pronunciato anche Giuseppe Conte con un post sui social: «In questi giorni ho letto alcune indiscrezioni di stampa: riferiscono che in Calabria la disponibilità alla candidatura di Pasquale Tridico sarebbe fittizia. Voglio essere chiaro: questo non è il mio personale modo di agire né quello del M5S, che quando siede ai tavoli di coalizione opera in modo lineare e trasparente». Il M5S – dice Conte «mette a disposizione dell’intera coalizione anche la candidatura di Pasquale Tridico, una personalità ampiamente apprezzata che, in una logica di servizio, offriamo come una preziosa risorsa ai cittadini calabresi. Insieme a lui, come già anticipato ai tavoli di coalizione, ci sono le candidature – parimenti autorevoli – di Vittoria Baldino e Anna Laura Orrico. Da qui si partirà con le altre forze di coalizione per scegliere insieme – oltre al programma migliore – anche la candidatura ritenuta più adatta ad interpretarne le necessità di cambiamento». (rp)

Regionali: è caos calmo e la sinistra riformista tenta di evitare il ridicolo
I Cinque Stelle lanciano le autocandidature

Riuscirà la sinistra riformista (che fa capo a Principe) a evitare il ridicolo in cui sta sprofondando il PD e tutta la coalizione che vorrebbe battere Occhiuto? È caos calmo e il tempo per la presentazione delle liste si restringe ogni giorno di più.

Se non fosse una drammatica realtà, ci sarebbe persino da ridere: il Movimento 5 Stelle ha lanciato le autocandidature per le regionali, come se fosse un quiz televisivo per il quale occorre superare i provini. Siamo messi proprio male e questo conferma che il “vuoto” con cui inopinatamente vinsero le elezioni politiche un’altra vita fa, tale è rimasto.

L’ing. Fabio Pugliese, animatore di Basta Vittime 106, è stato uno dei primi a stigmatizzare sui social la bizzarra scelta, promossa dal coordinatore regionale Riccardo Tucci, delle autocandidature: «Non una selezione trasparente – scrive Pugliese – , non un confronto sulle competenze, non un curriculum passato al vaglio di una commissione politica: un post. Sui social. Per dire “fatevi avanti”. Perché non riescono nemmeno a completare le liste…. E quindi via alle autocandidature: chiunque può proporsi. Chiunque può gestire fondi europei, sanità, infrastrutture, lavoro, istruzione. Chiunque può governare la Calabria. CHIUNQUE.

«Questo, sia chiaro, non è un attacco personale, ma una constatazione amara e doverosa: la Calabria non è un campo scuola né un esperimento di improvvisazione politica. Eppure è trattata come tale. E mentre il Movimento 5 Stelle organizza casting, il Partito Democratico – che si dice alternativo, solido, riformista – tace. Perché questi sono i suoi alleati. E va tutto bene.

«Ma a ottobre non si vota per una sagra o per una recita di fine anno: si vota per il futuro della Regione. E chi ha a cuore questa terra ha il dovere di pretendere serietà, competenza e rispetto». (rr)