IL LAVORO IN CALABRIA E AL MEZZOGIORNO
COSTERÀ DI PIÙ PER I TAGLI A FINANZIARIA

di PABLO PETRASSO – Il lavoro in Calabria costerà di più: la manovra del governo stoppa – su input dell’Unione europea – la decontribuzione Sud. Un bel risparmio che il Mezzogiorno rischia di pagare in termini di occupazione.

Non si tratta solo di una revisione della spesa. Oltre ai tagli lineari ai ministeri e ai definanziamenti come quello che colpisce il fondo per l’automotive, il disegno di legge di Bilancio per il 2025 recupera risorse anche eliminando la decontribuzione Sud, l’esonero contributivo del 30% introdotto durante la pandemia per i datori di lavoro situati in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. Questo aiuto era valido non solo per le nuove assunzioni ma anche per i lavoratori già in forza.

L’agevolazione, che Giorgia Meloni aveva dichiarato di voler rendere “strutturale”, sarà abolita dal 2025 perché Bruxelles non ha rinnovato l’autorizzazione al maxi aiuto di Stato. Il ministro Raffaele Fitto aveva promesso che Roma avrebbe introdotto “misure analoghe”, ma la nuova agevolazione prevista nella manovra ha un costo molto inferiore.

Indipendentemente dall’efficacia di quell’incentivo, discutibile dato che più della metà degli sgravi è stata utilizzata per incentivare assunzioni a termine e stagionali, spesso part-time, si tratta di un’operazione di taglio mascherato che – secondo le letture più critiche – il governo avrebbe fatto passare sotto silenzio. Anche perché la conferenza stampa di Giorgia Meloni per illustrare la finanziaria e rispondere alle domande dei giornalisti, annunciata da Giancarlo Giorgetti per il 21 ottobre, non si è mai tenuta, senza che Palazzo Chigi abbia fornito spiegazioni.

Il taglio emerge chiaramente dalla memoria depositata alla Camera dall’Ufficio parlamentare di bilancio durante l’audizione sul disegno di legge. «Le spese si riducono soprattutto per effetto del definanziamento della cosiddetta decontribuzione Sud, pur tenendo conto della contestuale istituzione di un fondo per interventi volti a mitigare il divario nell’occupazione e nello sviluppo dell’attività imprenditoriale nelle aree svantaggiate del Paese e della proroga per il 2025 del credito di imposta Zes», scrive l’organismo indipendente commentando le misure dedicate alle imprese.

All’agevolazione nata nel 2020 erano destinati, ricorda l’Upb, 5,9 miliardi nel 2025, 3 miliardi nel 2026 e 4,4 miliardi nel 2027, per un totale di 13,3 miliardi nel prossimo triennio. Il nuovo Fondo destinato a finanziare politiche per il Mezzogiorno, che potrà concedere agevolazioni per l’acquisizione di beni strumentali da parte delle aziende del Sud, avrà invece “solo” 2,45 miliardi per l’anno prossimo, 1 miliardo nel 2026 e 3,4 miliardi nel 2027: in totale 6,85 miliardi, poco più della metà. Sommando gli 1,6 miliardi del credito di imposta per la Zona economica speciale per il Mezzogiorno si arriva a 8,45 miliardi: quasi 5 miliardi in meno rispetto alla dotazione della Decontribuzione. Questi fondi vengono utilizzati per coprire altre spese previste nella manovra.

A bocciare questo approccio è il capogruppo del M5S in decima commissione Senato Orfeo Mazzella: «Questa decisione, che penalizza le regioni del Mezzogiorno, rappresenta un grave passo indietro per lo sviluppo economico delle aree già fragili. Pertanto, reputo fondamentale che il Governo ripristini misure adeguate di sostegno al Meridione: voltarsi dall’altra parte vuol dire continuare a incrementare il gap Nord-Sud». (pp)

[Courtesy LaCNews24]

BENVENUTI AL NORD: LAVORO, IL GOVERNO
PREMIA E INCENTIVA CHI SE NE VA DAL SUD

di SANTO STRATI – Benvenuti al Nord! L’ultima genialata del Governo Meloni, all’interno della Finanziaria, è un fringe benefit (un’incentivazione, diciamo meglio) per i nuovi assunti nel 2025 che trasferiranno, per lavorare, la propria residenza “oltre il raggio di 100 km da quella di origine”.

Detto in soldoni, è un premio a chi emigra (riguarda tutti, senza limiti di età, se il reddito non supera i 35mila euro), ovvero un invito bello netto a lasciare il Sud. Ma come? Si sono spesi fiumi d’inchiostro per scrivere e parlare di “fuga di cervelli” e questo Governo anziché incrementare le opportunità di occupazione nel Mezzogiorno, contribuisce (da 100 “incredibile” bonus (da 1000 a 5000 euro) servirà a convincere anche i più riluttanti a fare le valigie e andare al Nord (dove sennò?).

Questo Governo – nonostante le belle parole, le promesse e le migliori intenzioni – non ama il Sud, non ama il Mezzogiorno, pur continuando a essere tutto il Sud un serbatoio formidabile di voti.

Non ama il Mezzogiorno perché con la politica di tagli alle risorse è evidente che va a colpire le regioni più svantaggiate e più esposte alla crisi economica che mangia il valore di acquisto dei salari scarsi e inadeguati che caratterizzano l’occupazione meridionale.

Tutta la finanziaria – lacrime e sangue, checché ne dica il buon Giorgetti – non fa che esasperare il divario esistente tra le opportunità di crescita (sempre di meno) per tutto il Mezzogiorno e la “ripresina” al Nord. E la postilla ingegnata per iincentivare a fare le valigie non è che l’ultima beffa ai nostri giovani laureati che continuano a emigrare, portandosi spesso, a seguire, i familiari, unica chance per sopravvivere e pensare di poter costruire una famiglia: chi terrebbe i bambini? I genitori o i nonni che vengono dal Sud, ovvio. Già i costi degli affitti sono improponibili, figurarsi poi se si deve pagare una baby sitter…

Ai nostri giovani – l’ho scritto, ahimè, molte volte – abbiamo rubato il futuro e la nuova classe politica e dirigente (stendiamo qui un velo pietoso) sta concludendo l’opera.

Negli ultimi vent’anni sono andati via dal Sud oltre un milione di residenti (1.100.000 per l’esattezza, ci dice la Svimez). Ed è facile immaginare l’età di chi è andato via (uno su due – secondo la Svimez è laureato). Il motivo della fuga dei cervelli è fin troppo evidente: le famiglie calabresi – tanto per puntualizzare meglio il problema – spendono per la formazione e l’istruzione universitaria dei propri ragazzi in Atenei nella Regione che ormai si avviano a sfiorare molto frequentemente l’eccellenza.

I dati ci dicono che in Calabria ci sono magnifiche Università che preparano adeguatamente i nostri laureati, ma poi vengono a mancare le opportunità di occupazione, di formazione e crescita professionale. Così, i furbastri industriali del Nord (ma anche del resto del mondo) si prendono “a gratis” i laureati che faranno la fortuna delle proprie aziende.

Non a caso, parlando nelle scuole calabresi, con i ragazzi delle ultime classi, a proposito dell’evidente sconforto sul futuro, ho toccato con mano una incontrovertibile logica: “vado a studiare fuori, così prim’ancora della laurea trovo opportunità di lavoro. Perché dovrei studiare in Calabria se poi me ne devo andare a Milano, a Torino, o in qualsiasi altro posto dove valorizzano i giovani e curano il loro perfezionamento nella formazione?”.

Non fa una piega, ma – evidentemente – in Regione dove pure si stanno attuando nuove politiche sul lavoro, non si pensa di creare opportunità di impiego favorendo aziende che creano occupazione. E i bandi che già sono attivi, sono il trionfo della burocrazia più ottusa, visto che non tengono in minima considerazione la qualità dell’idea da realizzare  (il cosiddetto autoimpiego) nè guardano alle prospettive della crescita futura. Tanto per restare in tema, ci sono centinaia di progetti di giovani aspiranti imprenditori (quasi tutti con laurea e tanto entusiasmo) che vengono bocciati perché mancano le cosiddette “garanzie” finanziarie. Quelle che dovrebbero coprire questo vuoto non piacciono alle banche e il giro – dopo mesi di esasperante attesa – finisce in un nulla di fatto.

Andrebbero valutati prima di tutti gli effetti occupazionali di un’idea di impresa (nel caso dei progetti) oppure prevedere premialità importanti per le aziende che assumono.

Il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, calabrese di Pazzano, aveva lanciato qualche tempo fa un principio basilare per il rilancio dell’economia del Sud: la decontribuzione per le aziende, ovvero l’abbattimento degli oneri sociali per chi favorisce e crea occupazione. La manovra di Governo addirittura conferma il taglio della decontribuzione al Sud (già in vigore dallo scorso giugno).

Per quale ragione un’azienda dovrebbe incrementare l’occupazione (e magari attuare percorsi formativi di specializzazione) se non viene motivata adeguatamente?

C’è evidentemente un corto circuito tra paese legale e paese reale: i nostri governanti vivono probabilmente un’altra dimensione e – pur capendo che non ci sono i soldi (che si potrebbero recuperare da una seria lotta all’evasione) – non si rendono conto di quanto sia diventato arduo affrontare la giornata per qualsiasi famiglia del ceto medio. Ecco, la finanziaria – che non piace a nessuno, non soltanto ai calabresi – ha cancellato il ceto medio, distribuendo elemosine a professionisti (17 euro di aumento ai medici, 7 agli infermieri) e mortificando ulteriormente i poveri (nel senso vero della parola) titolari di pensioni sociali minime: un bell’aumento di 10 centesimi (ripeto 10 centesimi) al giorno  e torna l’allegria…

Ci sarà lotta, sicuro, in Parlamento ma è l’impianto generale della manovra che non funziona. Da un lato il nuovo presidente di Confindustria Emanuele Orsini, la scorsa settimana a Cosenza, rilancia sul ruolo del Mezzogiorno per il traino dell’economia, dall’altra il Governo si inventa gli incentivi all’emigrazione dei cervelli (ormai gli operai e la manodopera non emigrano più).

Eppure ci sarebbe una strada praticabile per ridare il sorriso ai ragazzi calabresi (ma anche a tutti quelli che vivono al Sud) incentivando le aziende del Nord (escluse ovviamente quelle manifatturiere che hanno bisogno della presenza fisica del lavoratore) ad attuare programmi di south smartworking: i giovani lavorerebbero da casa (e non è vero che il lavoro da remoto è poco produttivo, tutt’altro), continuando a vivere in famiglia e mantenendo gli affetti, avrebbero un’occupazione stabile e posizioni che possono crescere.

Qualcuno ha detto che al Sud i giovani stanno al mare e in remoto lavorano poco: un’eresia che puzza di razzismo. Lo stesso che ancora incontrano – per fortuna sempre di meno – i nostri ragazzi che tentano la fortuna al Nord, sfidando pregiudizi e preconcetti e mostrando, in breve tempo, talento e capacità che farebbero la fortuna della nostra Calabria. (s)