ATROCE INSINUAZIONE: I FONDI COESIONE
VERREBBERO UTILIZZATI PER LE GUERRE

di FRANCESCO RENDE – Immaginate un attimo se quei fondi che adesso servono per costruire scuole, infrastrutture strategiche, innovazioni tecnologiche e strumenti di competitività per le aziende venissero invece utilizzati per comprare droni e componenti militari in grado invece di abbattere ponti, scuole e strade. Bella contraddizione, vero?

È invece quello che sta succedendo nelle ultime settimane a Bruxelles: i venti sono cambiati, la presidenza Trump vuole rinegoziare le percentuali di contribuzione alle spese militari della Nato e moltissimi paesi (tra cui il nostro) sono in enorme difficoltà. I venti sovranisti spirano forte e l’industria delle armi e delle componenti militari garantisce crescita economica: ecco perché, sempre più forte, da Bruxelles arriva l’indiscrezione che vedrebbe sacrificati i fondi di coesione sull’altare della competitività europea. Ecco quindi cosa potrebbe succedere: pesanti sforbiciate, tagli rimodulati a chi non ha ancora speso (o programmato la spesa) e fondi dirottati su nuove esigenze, come ad esempio droni, componenti militari, attrezzature di precisione da utilizzare in campo bellico.

Come si può immaginare che dei fondi, che servono proprio per riequilibrare le disparità tra gli stati membri, possano essere utilizzate per scopi militari: sembra assurdo, anche perché tra le specifiche del regolamento 1060/2021 (l’architrave su cui si basa tutta la politica di coesione 2021/2027) è scritto chiaramente che non si possono utilizzare quei soldi per acquistare armi o materiale bellico. Ma da nessuna parte viene scritto che non si possano utilizzare per componentistica, droni o altro. D’altronde, questa stessa eccezione è stata utilizzata proprio per il Ponte sullo Stretto: fu per prima la nostra testata a dire che a Bruxelles si iniziava a parlare della possibilità di finanziare la maxi-opera con i fondi di coesione. E se quelli non possono finanziare direttamente infrastrutture viarie (ci sono linee di finanziamento apposite) allora si possono utilizzare per le opere accessorie (acquisto di materiale rotabile, opere accessorie, studi di fattibilità e altro): grazie a questa indiscrezione, l’opera ripartì in pompa magna anche con l’ok indiretto di Bruxelles. Cosa che sembra stia avvenendo anche adesso con le armi.

L’indiscrezione confermata e la contrarietà di Fitto

La voce si inizia a diffondere subito prima della vittoria di Trump alle elezioni, quando è iniziato a sembrare incolmabile il divario tra lui e Biden: serve trovare risorse per rispondere immediatamente alla politica economica del tycoon. Dai dazi agli stanziamenti militari per la Nato, tutto cambierà: è quindi chiaro a Von der Leyen e soci che serve trovare, immediatamente, economie. Dunque, il primo indagato diventa da subito la politica di coesione: drena tantissime risorse ed è da sempre nell’occhio del ciclone da parte dei paesi scandinavi che non vedono di buon occhio il dover (continuare a) pagare da anni per far sì che i servizi e il Pil medio si riequilibri all’interno della zona Euro. In più, il fatto che queste somme si vadano a moltiplicare alla risposta Covid ingessando di fatto gran parte del bilancio europeo (aggiunta anche la congiuntura della guerra ucraina, che continua a richiedere pesanti risorse): prima il Financial Times a novembre, in un completo articolo a firma Paola Tamma (mai smentito) e poi un ritorno di qualche giorno fa su Politico mettono a chiaro la questione.

Le politiche di coesione verranno riviste: miliardi di euro di finanziamenti regionali destinati alla costruzione di scuole, politiche sociali e ambientali, verranno orientate nelle nuove priorità, tra cui il potenziamento militare e (forse) l’edilizia abitativa. Questo è solo il primo tassello di un disegno più ampio, che potrebbe cambiare totalmente il volto dell’Unione dei prossimi anni.

I fondi per le scuole usati per fabbricare droni

Eppure, questo piano ha un nemico non indifferente: il suo nome è Raffaele Fitto e da sempre, per cultura e background, è uno dei più profondi sostenitori delle politiche di coesione europee. Viene da una regione, la Puglia, che proprio grazie a questi fondi ha trovato una nuova primavera ed è consapevole di quanto siano importanti queste risorse: inoltre, è in prima linea per mostrare ai paesi del nord Europa che queste politiche vanno difese e che i bassi tassi di spesa, come detto recentemente a Cracovia, dipendono solo dalla priorità data finora ai fondi Covid, che hanno una scadenza più ravvicinata.

Eppure, quanti alleati troverà nella sua difesa dei cohesion funds? Una partita molto difficile e tutta da giocare, che vede sullo sfondo le intemperanze di un presidente degli Stati Uniti che toglie certezze più che darle. Eppure lo spauracchio, seppur non immediato, è dietro l’angolo: il rischio che i fondi per realizzare una scuola a Magisano possano essere utilizzati per realizzare un’azienda che fabbrica droni da lanciare contro le basi Isis in Somalia non è purtroppo fantascienza, è pura realtà. «La sicurezza è una delle tante importanti sfide europee», ha affermato Céline Gauer, funzionaria di alto rango ripresa da Politico che guida la task force della Commissione incaricata del fondo per la ripresa post-Covid. «La politica di coesione rientra nella risposta? Penso proprio di sì». (fr)

[Courtesy LaCNews24]

PONTE SULLO STRETTO, ULTIMA CHIAMATA
SERVE ALL’EUROPA, SI USINO LE RISORSE UE

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – La legge di bilancio per il 2025 prevede anche uno stanziamento da 1,5 miliardi di euro in più per il Ponte sullo Stretto. Lo prevede un emendamento della Lega. Così, i fondi complessivi per l’opera superano i 13 miliardi di euro, di cui quasi la metà a carico delle Regioni.

Qualcuno evidentemente si è convinto che il costo del Ponte sullo Stretto di Messina debba essere a carico dei siciliani e dei calabresi. Come fosse una passerella per far incontrare più facilmente il ragazzo di Messina con la sua amata di Reggio Calabria. E non il completamento del collegamento tra Singapore/Hong Kong e Berlino, e un modo per evitare che le maxi-porta containers attraversino tutto il Mediterraneo, escano dallo stretto di Gibilterra, costeggino Spagna, Portogallo, attraversino la Manica, lo stretto di Calais per arrivare a Rotterdam. Con conseguente immaginabile emissione di CO2.

Se la visione è la seconda allora non solo non deve essere finanziato dalla Sicilia e dalla Calabria, ma nemmeno dall’Italia, perché è una infrastruttura che serve all’Europa, in particolare in un momento in cui si guarda sempre di più al Mediterraneo, considerate le problematiche sempre più complesse che attengono ai rapporti tra Unione Europea e Federazione Russa.    

Ma, riprendendo quello che diceva don Rodrigo sull’unione tra Renzo e Lucia (“Questo matrimonio non s’ha da fare“), siamo profondamente convinti che “questo ponte s’ha da fare”.

È in un momento così complicato (ma ce ne sono di semplici?), che si possa attingere al Fondo di Sviluppo e Coesione, e quindi alle risorse messe a disposizione dall’Unione Europea, non dimentichiamolo purché siano aggiuntive a quelle ordinarie e servano ad eliminare o diminuire le distanze economiche e sociali rispetto al resto del Paese, può anche essere opportuno.

Senza considerare il fatto che impegnare il Fondo di Sviluppo e Coesione in un modo così virtuoso ed evitare che si sprechi per alimentare il consenso della classe dominante estrattiva o peggio che vada perduto per incapacità di spesa può essere un esercizio virtuoso.

Ma deve essere chiaro a tutti, Unione Europea compresa, che un tale costo deve essere affrontato con la fiscalità generale, come avvenuto con il Mose di Venezia e continua ad avvenire con la TAV. Come si è proceduto con l’alta velocità ferroviaria, prevalentemente realizzata nel Centro Nord e con il costo delle autostrade.

Infrastrutturare un territorio, dotandolo di porti, aeroporti, linee ferroviarie, collegamenti autostradali, fa parte di un progetto che deve essere affrontato con le risorse ordinarie. Per il Sud invece pare che questa regola non valga, visto che tutte le strutture aeroportuali e anche parte delle autostrade sono state realizzate con i fondi “aggiuntivi“europei.

Adesso si vuole finanziare anche il ponte sullo stretto con le risorse aggiuntive? In un momento particolare, come quello che attraversiamo e visto che il CiPESS potrà approvare il progetto soltanto se vi è certezza di finanziamento, forse il passaggio che si è effettuato può anche essere opportuno. Ma con la riserva che tali risorse vanno restituite al Mezzogiorno, perché possano servire per gli obiettivi per i quali sono stati dati: cioè di costituire fondi aggiuntivi per lo sviluppo di tali territori.

Certo, forse qualche sforzo in più si poteva fare per inserire alcune opere accessorie o compensative, che potevano essere completate entro il 2026 nel PNRR, per il quale non si raggiungerà quasi certamente quel 40% stabilito che, con un colpo di mano rispetto all’oltre 50% che sarebbe toccato se si fosse utilizzato l’algoritmo individuato dall’Unione Europea per distribuire le risorse ai vari Paesi, e che il Governo Draghi ha individuato per l’attribuzione al Sud.

Ma inutile piangere sul latte versato, adesso quello che va richiesto è che le risorse utilizzate del Fondo Sviluppo e Coesione siano restituite al Mezzogiorno, sia se si troveranno investitori aggiuntivi, privati o pubblici, sia che invece rimanga tutto a carico dello Stato italiano.

E la richiesta che va fatta forte e chiara è che si inquadri il collegamento stabile come il passaggio di 3 km di mare inserito nella logica di un collegamento tra Augusta e Berlino con l’alta capacità ferroviaria, che metta in condizioni l’Italia  di attrarre i grandi traffici provenienti dall’Estremo  e Medio Oriente e dall’Africa e farli sbarcare nei porti di Augusta e di Gioia Tauro, superando il monopolio per anni consentito a Genova e Trieste, che devono farsene una ragione del fatto che sono sotto le Alpi e non in mezzo al Mediterraneo.

Che hanno retroporti molto contenuti in termini di spazi. Tale approccio potrebbe soprattutto fornire un’alternativa interessante agli armatori che gestiscono i traffici internazionali.

Per tale obiettivo è necessario però che si realizzi l’alta velocità ferroviaria nei tempi previsti, finanziando l’adeguatamente di tutta la rete ferroviaria, obiettivo che nell’ultimo periodo sembra slittare nel tempo.

Così come è necessario che si realizzino gli investimenti opportuni su Gioia Tauro ed Augusta, in modo da cominciare a testare il sistema complesso necessario  ed attrarre i traffici, che non saranno facilmente ceduti da Rotterdam, che ormai ha raggiunto la quasi perfezione nella sua attività.

Avendo presente che mentre noi rinviamo i nostri investimenti, gli altri competitor, come ad esempio Tanger Med, lavorano intensamente per fare quello che noi rinviamo nel tempo, illusi che quando vorremmo farlo ci saranno le condizioni necessarie.

Tranne che i rinvii e le meline non siano funzionali a lasciare la situazione quale è adesso, nella paura di perdere posizioni acquisite da parte di qualche altra area interessata.

“A  pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca” diceva Andreotti e certo, nel passato l’emarginazione dei porti di tutto il Mezzogiorno ha avuto il retro pensiero di rendere centrali quelli di Trieste e Genova, ma in realtà favorito solo Rotterdam.

Oggi il principale assertore della necessità del Ponte sullo Stretto, Matteo Salvini, è in difficoltà sia per fatti interni alla Lega che per fatti esterni, dovuti al processo di Palermo. Per questo è ancor più necessario il monitoraggio della situazione per evitare che vi siano passi falsi che ritardino tutto il percorso.

In tale logica va bene che le risorse attinte siano provenienti dal  Fondo Sviluppo e Coesione, ma a patto che sia un prestito da restituire totalmente e  in tempi brevi. Altrimenti si darà ragione a coloro che sostengono che il ponte è solo uno specchietto, che probabilmente mai si realizzerà, e che assorbirà talmente tante risorse da sottrarle a tutta una serie di esigenze che continuano ad esserci e che sono sempre più pressanti. (pmb)

(Courtesy Il Quotidiano del Sud/L’Altravoce dell’Italia)

 

PERCHÉ AL SUD SERVE IL CENTRALISMO
PER MIGLIORARE LA GESTIONE DEL PAESE

di PIETRO MASSIMO BUSETTA  – Centralismo o federalismo. Vi sono nel Governo due forze che spingono in direzioni opposte. Da un lato la Lega che, con la proposta di autonomia differenziata di Calderoli,  porta avanti un progetto che vorrebbe che le Regioni diventassero piccoli Staterelli, e che i Governatori assumessero il ruolo di Presidenti del Consiglio della loro realtà.

Dall’altra parte quello che sta accadendo con Raffaele Fitto che sta spingendo, con l’accordo di Giorgia Meloni e di Fratelli d’Italia, verso forme sempre più accentuate di centralismo. Gli episodi più recenti riguardano l’unica Zes per tutto il Mezzogiorno e la centralizzazione del fondo di coesione. 

Il mancato funzionamento nei tempi previsti dei fondi strutturali che sono stati assegnati al Mezzogiorno dall’Unione Europea è dipeso fondamentalmente da due fattori: il primo la struttura carente delle organizzazioni regionali che hanno avuto difficoltà a mettere a terra risorse importanti. La seconda il conflitto tra le  varie forze politiche che spesso preferiscono che le risorse non vengano spese, piuttosto che vengano utilizzate in modo che favoriscano elettoralmente la parte avversaria. 

L’operazione che sta avvenendo è una forma di commissariamento per evitare le problematiche accennate. Ma non dimenticando che alcune volte i commissariamenti, se non virtuosi, producono risultati peggiori di quelli che si volevano evitare. L’esempio più eclatante è quello della sanità calabrese, nella quale si nominarono commissari improbabili e una disattenzione ai motivi dell’origine del commissariamento che ha prodotto risultati pessimi, tanto che oggi in Calabria hanno avuto bisogno dei medici cubani. 

Il rischio che si corre però é che i fondi diventino il bancomat utile per tutte le esigenze di risorse per fatti eccezionali, che poi si presentano molto frequentemente: dalle alluvioni, ai terremoti. L’altro elemento di centralizzazione é l’istituzione della Zes unica, che fa decadere gli attuali commissari, nominati dal Governo precedente. Anche qui i rischi esistono e bisognerà vedere come verrà gestita centralmente la Zes unica. I problemi delle otto precedenti non sono stati pochi, se la Zes unica riesce a superarli sarà un passo in avanti. 

Tale strumento è importantissimo perché dovrebbe consentire l’attrazione di investimenti dall’esterno dell’area. Per avere quella occupazione nel manifatturiero che tanto manca nell’economia meridionale. Il funzionamento della Zes, unica adesso, é un passaggio fondamentale del piano di sviluppo del Sud. Se fallisce lo strumento sarà un tassello importante del piano che viene meno. 

Dal 1° gennaio 2024, l’istituzione della Zona economica speciale unica per il Mezzogiorno, che dipenderà da una cabina di regia di Palazzo Chigi e da una struttura di missione che subentrerà agli attuali commissari (i cui incarichi scadranno a marzo 2024), potrebbe finalmente portare grandi investimenti. Che arrivano soltanto se tutto il Paese lo vuole. L’interlocutore per la Intel é evidente che non può che essere che il Governo. 

Poter poi usufruire delle procedure semplificate non soltanto per «progetti infrastrutturali», ma per «progetti inerenti alle attività economiche ovvero all’insediamento di attività industriali, produttive e logistiche» da licenziare con autorizzazione unica, il tutto da gestire attraverso uno sportello unico digitale, è un passaggio fondamentale. 

Mentre quello strumento che è il credito d’imposta che serve ad avere la detassazione degli utili per i primi anni, nel nostro caso per tre anni, fino al 2026, riguarderà tutti i settori produttivi con l’esclusione di trasporti ed energia.

Vi é  poi una decisione virtuosa quella del via libera ad un piano di assunzioni straordinario che permetterà di assegnare 2.200 funzionari anche alle Regioni e ai Comuni meridionali. 

È noto che la mancanza di professionalità adeguate é stato un limite notevole a tutte le azioni, comprese quelle relative al PNRR, che riguardano il Sud. Capire che senza risorse umane adeguate qualunque piano non può funzionare é un passaggio importante.  

Non cambia  il vincolo di destinare l’80% delle risorse al Mezzogiorno. Risorse che però non transiteranno tutte dalle Regioni. Ma soprattutto l’utilizzo dei fondi dovrà essere concordato con il ministero, che avrà sempre l’ultima parola. Il meccanismo del fondo di rotazione, peraltro, verrà applicato anche ai fondi dell’attuale ciclo 2014-2020 su cui , aveva detto Fitto negli scorsi mesi, le Regioni non hanno brillato.  

Dietro questo decreto vi è una dichiarazione di sfiducia nei confronti delle Regioni, che da molti sono state ritenute una moltiplicazione di passaggi, un appesantimento dei costi complessivi, che ha portato ad un ritardo, soprattutto nelle regioni meridionali, del processo della spesa, che è venuto fuori in maniera evidente con il Pnrr, che ha dato scadenze precise per incassare le varie rate e che quindi ha evidenziato tutti i punti carenti del processo decisionale, che poi porta a mettere a terra le risorse. 

Sono venuti fuori i limiti di una classe dominante estrattiva che invece di pensare al bene comune pensa ad alimentare le proprie clientele.  Limite che riguarda, trasversalmente, sia la destra che la sinistra, visto che nelle regioni meridionali vi sono amministrazione di entrambi gli schieramenti. 

Tale esigenza di centralismo, probabilmente, si presenta meno pressante nelle regioni settentrionali, nelle quali il controllo della società civile è più presente e che presentano invece esigenze opposte, anche se la gestione della sanità nel periodo del covid ha dimostrato che molte attività, come la sanità, vanno gestite in maniera centralistica. 

Certamente le decisioni prese dal Ministro Fitto devono far riflettere su quale deve essere la governance migliore per arrivare ad una gestione più avvertita di tutto il Paese. 

Forse è necessario un ripensamento globale sul ruolo e sui poteri delle Regioni, nonché sulla loro utilità se rimangono organizzate come lo sono state. 

L’esperienza della Regione Siciliana, che ha dimostrato come maggiore autonomia possa risultare uno strumento per amplificare gli sprechi e i privilegi deve essere illuminante sul percorso da seguire. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

FONDI COESIONE: 20 MILIONI ‘DIMENTICATI’
OCCHIUTO BATTE CASSA CON LA CARFAGNA

dalla REDAZIONE ROMANA – Usa il suo profilo Facebook il Governatore Roberto Occhiuto per aprire il grande e annoso dibattito sui Fondi Europei destinati alla Calabria. «Ci sono risorse FSC stanziate da oltre 20 anni – sottolinea il Presidente – che vanno spese subito per non perderle. Ne abbiamo parlato con la Ministra Carfagna. Le risorse europee che arriveranno tramite il Pnrr e tramite altri strumenti di finanziamento servono tutte per la Calabria, e per creare sviluppo e lavoro. Nemmeno un euro, questo il nostro obiettivo, deve essere distratto a vantaggio di poteri criminali. Sotto il profilo sociale – sottolinea Roberto Occhiuto – la Calabria si colloca in fondo tra le 281 Regioni europee negli indicatori aggregati del disagio. È una cosa che il governo regionale che rappresenta i calabresi non può più tollerare».

Non poteva scegliere argomento più adatto il Governatore per spiegare che il suo impegno politico dei prossimi mesi sarà tutto puntato nel tentare di salvare il salvabile, ma questa regione va salvata – dice – a tutti i costi.

È di appena qualche giorno fa un’altra notizia importante. Roberto Occhiuto ha infatti sottoscritto, presso la Cittadella regionale, un’integrazione al protocollo di intesa tra la Regione Calabria e la Guardia di Finanza che ha l’obiettivo di rafforzare le azioni a tutela della legalità dell’azione amministrativa, relativa all’utilizzo delle risorse erogate dall’Unione europea, attraverso la prevenzione e il contrasto di qualsiasi tentativo di utilizzo irregolare o fraudolento dei fondi. Tradotto in parole povere, significa «Avanti tutta e con il massimo rigore possibile».

A febbraio di un anno fa l’Unione Europea aveva stilato una graduatoria di merito da cui veniva fuori che tra le cinque regioni meno sviluppate d’Italia, dopo la Basilicata si piazzava la Calabria, che ha però un programma plurifondo (Fesr + Fse) e dunque molte più risorse da spendere: al 15° posto della graduatoria la Calabria aveva già certificato il 29,23% dei fondi ad essa assegnati, ma aveva ancora 1,68 miliardi da spendere nei prossimi tre anni.

Un anno dopo, le cose non sono molto diverse da allora, e Occhiuto questo lo vive ogni giorno sulla sua pelle con apprensione e con preoccupazione.

Dopo la sua elezione a Governatore, a dicembre dello scorso anno, arriva finalmente il primo annuncio importante. La Direzione generale Occupazione, affari sociali e inclusione della Commissione europea comunica lo sblocco dei 69 milioni di euro del Fondo sociale europeo per la Calabria i cui pagamenti erano stati congelati per via di alcune incongruenze emerse dopo normali controlli di routine. «Le due richieste di pagamento finite sotto i riflettori di Bruxelles e che hanno determinato il blocco precauzionale di tutti i pagamenti del Fondo sociale per la Calabria – spiegò nel dettaglio la portavoce della Commissione Ue – si riferiscono a spese complessive per 68,5 milioni di euro (una per 1,5 milioni e l’altra per 67). L’importo è pari al 3% dell’ammontare complessivo del programma calabrese (2,3 miliardi) e al 17% della dote regionale del Fse».

«Un risultato estremamente significativo, difficile da conseguire, un obiettivo per il quale mi ero recato, il 30 novembre e l’1 dicembre personalmente a Bruxelles – ricorda il Governatore – per incontrare vertici e capi unità della Ue. Una missione, quella in Europa, che ha consegnato alla Commissione l’immagine di una Regione credibile, di un’amministrazione reattiva, di un presidente pronto ad intervenire tempestivamente per risolvere le criticità. Tutti aspetti determinanti».

In quella occasione Roberto Occhiuto ringrazia anche pubblicamente il direttore generale del Dipartimento Programmazione Unitaria della Cittadella, Maurizio Nicolai, «per il prezioso contributo datomi in queste settimane, e gli uffici di Germaneto che hanno seguito questo delicato dossier: abbiamo fatto un grande lavoro di squadra. Anche attraverso una vicenda di questo tipo – risolta in modo positivo – possiamo costruire la nuova reputazione della nostra Regione e raccontare all’Italia, e in questo caso anche all’Europa, una Calabria che il Paese non si aspetta».

C’è un concetto di fondo che il Governatore non fa che ripetere da quando si è ufficialmente insediato, ed è questo: «L’Ue – dice Roberto Occhiuto – pone cinque obiettivi politici alle Regioni: la ricerca e l’innovazione, il clima e l’energia, la mobilità e la connettività, i diritti sociali, e le politiche territoriali. In queste sfide c’è il nostro futuro, il nostro impegno per le nuove generazioni. Sono obiettivi che dovremmo approcciare in una logica complessiva e di complementarità. La Calabria nelle prossime settimane sarà impegnata nella definizione della propria strategia di specializzazione intelligente per il periodo di programmazione 2021-2027. E credo che questo possa rappresentare l’inizio di una nuova Calabria. Il partenariato economico e sociale ha un ruolo chiave. Oggi siamo tutti insieme con la stessa dignità e la stessa responsabilità, consapevoli del compito che ognuno di noi deve svolgere per rendere produttivo l’impiego delle risorse che l’Europa ci mette a disposizione».

Fondi UE non spesi da 20 anni, dunque. Scandaloso, quasi vergognoso. Lo è per un’intera generazione politica che è venuta prima di lui, ma Occhiuto non demorde e nella seduta del Comitato di Sorveglianza del Por Calabria di qualche mese fa ripete con forza il suo mantra: «Sarà importante evitare la frammentazione degli interventi non solo sulla spesa delle risorse che l’Europa ci mette a disposizione, ma anche su quelle del bilancio della Regione. Il mio governo concentrerà l’attività su obiettivi strategici, senza parcellizzare il riparto di queste risorse come troppo spesso è stato fatto al Sud e anche in Calabria. E sarà importante mettere a sistema le politiche di ricerca e di innovazione, favorendo un utilizzo più efficiente dei fondi, tenendo conto del posizionamento strategico territoriale e delle prospettive di sviluppo».

In altri termini, occorrerà costruire un vantaggio competitivo che sia durevole e strutturale. «Per fare questo – spiega il Governatore – bisogna essere capaci di costruire un’offerta pubblica che sia in grado di seguire, e in alcuni casi di anticipare in maniera adeguata, i bisogni delle imprese e degli altri beneficiari coprotagonisti della spesa dei fondi comunitari. Due sono le grandi questioni su cui dovremmo fare una programmazione attenta e in complementarietà con il Pnrr: l’ambiente e le politiche sociali. Considero patologico che su 913 agglomerati di procedimenti di infrazione per il trattamento delle acque reflue urbane in Italia, 174 si trovino in Calabria. Su questo dovremo lavorare con grande impegno e determinazione. Bisogna ripartire da queste debolezze e mettere mano alle procedure di infrazione in materia ambientale. Il mio governo regionale vuole essere un governo che si segnala per un cambio di passo rispetto al passato».

Il confronto con l’opposizione rimane comunque sempre molto aspro. Proprio di recente il gruppo del Pd in Consiglio regionale ha  chiesto chiede alla giunta e al governatore Roberto Occhiuto di aprire un dibattito in Aula dopo la relazione della Corte dei Conti: «Un record di cui avremmo fatto volentieri a meno – riconoscono i consiglieri regionali del Pd Nicola Irto, Raffaele Mammoliti, Domenico Bevacqua, Franco Iacucci e Ernesto Alecci – e che desta profonda preoccupazione proprio quando la macchina burocratica e amministrativa dovrebbe essere pronta a gestire i fondi del Pnrr. Sicuramente le tabelle e i dati forniti dai magistrati contabili non lasciano ben sperare per il futuro e chiamano all’assunzione di responsabilità chi ha governato la Regione negli ultimi anni. Non soltanto a livello politico, ma anche alla guida degli uffici e dei dipartimenti che hanno in gestione la spesa comunitaria».

È la palla che rimbalza da un tavolo all’altro e che si ferma sempre al solito “spiazzo verde” che è il potere della burocrazia, a tutti i livelli istituzionali possibili e immaginabili. Ma la cosa peggiore e più grave è che se la burocrazia sbaglia a pagare è sempre e solo la politica, e forse è arrivato il momento che ogni burocrate paghi invece di persona le proprie colpe, la propria ignoranza, la propria incapacità strutturale. Ma questo Roberto Occhiuto lo ha ben chiaro dal primo giorno in cui ha messo piede a Germaneto. (rrm)