LE FRAGILI MOTIVAZIONI DEI NO-PONTE
TANTI PREGIUDIZI E SCARSA INFORMAZIONE

di ROBERTO DI MARIA – Capita spesso di leggere, nei giornali a diffusione nazionale, articoli contrari alla costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina. Opera, ricordiamolo ancora una volta, già appaltata ed inserita in un corridoio europeo TEN-T che, incredibilmente, nel 2013 è stata bloccata proprio dal governo italiano.

Tra le voci contrarie, ha trovato ospitalità sul quotidiano Domani del 12 luglio scorso Giorgio Meletti, che con il suo articolo (“La solita fiera di folli idee per spiegare la necessità del ponte sullo Stretto”) si è inserito a buon titolo tra le folte fila di esperti, o presunti tali, contrari all’opera.

Prendendo spunto dal voto della Camera dei Deputati che, a larghissima maggioranza, ha approvato una mozione finalizzata alla realizzazione dell’opera, Meletti non le ha mandate certo a dire. Prendendosela con tutti i parlamentari, fatta eccezione per Leu e per il Movimento 5 Stelle, (gli unici a votare contro), accusati di “propaganda”.

Nel merito, Meletti contesta la tesi, contenuta nella mozione, secondo cui le navi portacontainers provenienti dal Far East possano attraccare ad Augusta e qui trasferire sui treni il loro carico; tramite il Ponte sullo Stretto, questi convogli potrebbero raggiungere l’Europa continentale. Ciò eviterebbe alle navi una tortuosa rotta lunga tremila miglia per raggiungere Rotterdam, o un altro porto nordeuropeo, e trasferire lì i containers su ferro.

L’idea viene però definita sbrigativamente “stupida” da Meletti, perché “in un mercato libero nessuno lo farà mai”. Infatti, far viaggiare un container in treno costa molto più che in nave: “se non fosse così le merci arriverebbero in treno dalla Cina” afferma Meletti.

Peccato che le merci, in treno, dalla Cina arrivano, e già da parecchio tempo. Ma probabilmente Meletti ha seguito poco l’evoluzione dei flussi mercantili negli ultimi 10 anni. Si è iniziato a trasportare containers su ferro, dalla Cina verso l’Europa, nel 2011, anche se con soli 17 treni in un anno. Negli anni seguenti, però, il loro numero è salito esponenzialmente: si è arrivati a contare 379 treni nel solo mese di aprile del 2020!

Motivo? Il trasporto via terra risulta almeno due volte più veloce di quello via mare, anche se i costi sono, in effetti, superiori. D’altronde, a decidere il mezzo di trasporto non è soltanto il costo, ma anche il tempo, che ha anch’esso un valore; se il risparmio, in termini temporali, è consistente, il suo peso diventa determinante.

Tornando al trasferimento dei container dalle navi ai treni in Sicilia, occorre rammentare a Meletti qualche altro aspetto, che gli sarà sfuggito. Oltre al tempo risparmiato (da 5 a 6 giorni di navigazione in più, oltre all’attesa in rada che, per Rotterdam, può arrivare ad una settimana) bisognerebbe tenere conto anche di un altro fattore, a nostro avviso non secondario: le emissioni di CO2 , ossidi di azoto, particolato ed altri prodotti della combustione del “bunker” da trazione navale.

Che, per qualche migliaio di miglia in più non sono certo trascurabili, specie in un’epoca in cui lo sviluppo ecosostenibile viene posto alla base dei vari Piani di Ripresa post-Covid richiesti dalla UE ai paesi membri. Tuttavia, se lo hanno dimenticato gli ambientalisti italiani, unici in Europa a promuovere il trasporto marittimo anzichè quello su ferro (sullo Stretto, per opporsi al Ponte), possiamo forse rimproverare Meletti per questa svista?

Un’altra obiezione, contenuta nell’articolo di Meletti sul Domani, ha attirato l’attenzione di chi scrive: trasferire le merci su ferro ad Augusta e farle risalire la penisola fino a Milano, bloccherebbe l’intera rete Alta Velocità italiana. A conti fatti, Meletti arriva a stimare persino quanti treni compierebbero questo viaggio. Nel conto, il nostro giornalista considera anche i ”circa 70 giorni in cui il ponte sullo Stretto sarà chiuso a causa del vento” . Dato assolutamente destituito di fondamento, dal momento che il ponte è in grado di garantire il passaggio dei treni praticamente per 365 giorni l’anno, resistendo a venti che rarissimamente si manifestano nell’area.

Ma non è l’unico errore nella stima di Meletti. Il milione di containers considerato viene suddiviso in treni da 50 carri, uno per container. Ciò comporterebbe la necessità di instradare 20.000 treni l’anno, ovvero uno ogni 18 minuti “rendendo le linee ad alta velocità inutilizzabili dai treni passeggeri”.

Innanzitutto, rammentiamo a Meletti che essendo prescritta, lungo i corridoi TEN-T, la possibilità di realizzare treni fino a 750 metri, ed essendo la lunghezza di un container (1 TEU) pari a 7,5 metri, i treni conterebbero, ognuno, 100 containers anziché 50. Pertanto non sarebbero 20.000 l’anno, ma la metà. Il che produrebbe un “impatto” sulla rete AV, tanto cara a Meletti, di un treno ogni 36 minuti. Anche considerando l’inesistente chiusura del ponte ai treni per 70 giorni l’anno!

In realtà, le linee AV presentano una capacità di trasporto tale da sopportare persino il treno ogni 18 minuti indicato da Meletti, ma per tranquillizzarlo gli daremo un’altra informazione. Per collegare i porti del sud alla pianura padana non esiste solo la dorsale AV, ma anche quella adriatica.

La quale, già oggi, presenta le caratteristiche giuste (sagoma massima P/C80) per trasportare qualsiasi tipo di container. Non a caso, su questa linea si punta da almeno un decennio come corridoio merci in alternativa alla direttrice tirrenica. E persino il PNRR, tanto stitico per quanto riguarda le ferrovie meridionali, prevede il rafforzamento dei collegamenti diagonali tirreno-adriatico tra Paola e Sibari, al fine di avvicinare Gioia Tauro e la Sicilia al corridoio adriatico.

A proposito di Gioia Tauro, occorre ricordare a Meletti che il mercato del traffico merci via containers è talmente vasto, ancorchè in continua crescita, da non rischiare di tagliare fuori nessuno. Basti, in tal senso, un solo dato: Augusta avrebbe, nel momento di massima espansione, poco meno di 10 km di banchine. Se sommassimo ad essi i 4 di Gioia Tauro ed altrettanti di Taranto, arriveremmo appena a 18, a fronte dei 100 della sola Rotterdam. Ergo, la maggior parte del traffico container rimarrebbe appannaggio del nord Europa, anche se avessimo i 3 porti sopra citati riuniti in rete al massimo delle loro potenzialità.

Altro errore che abbiamo letto, a tal proposito, è quello che assegna alla portualità italiana soltanto la quota merci inerente il bel paese, pari ad un ventesimo di ciò che arriva nei porti nord europei. Un assurdo trasportistico, che dovrebbe invitare la Commissione Europea ed il Governo italiano a fermare, d’un colpo, tutte le opere previste nei sopra citati corridoi TEN-T, finalizzati proprio a collegare i porti italiani al centro dell’Europa. Non soltanto il Ponte (già fermato a suo tempo), ma anche il terzo valico di Genova ed il tunnel di base del Brennero. Che farsene, poi, della Verona-Trieste e della Torino-Lione AV/AC?

Tralasciamo altre affermazioni che si addentrano persino in valutazioni strutturali sulla capacità del Ponte di resistere a “tutto quel peso”, essendo certi che in 30 anni di studi e progetti fino al livello definitivo, qualcuno ci abbia già pensato; e con qualche titolo in più.

Consiglieremmo, tuttavia, a Meletti ed altri che soggetti che decidano di affrontare l’argomento “Ponte sullo Stretto” di approfondire un po’ di più il tema. Non deve essere facile, a giudicare dai 10 metri cubi di documentazione e studi contenuti nel progetto, anche relativi ai flussi di merci su scala internazionale.

Ma, se si vuole guardare con obiettività a domani (minuscolo e senza virgolette) quanto meno un’occhiata…  (rdm)

[Roberto Di Maria è un ingegnere dei trasporti]