di MARIACHIARA MONACO – È stato presentato, nel suggestivo Salone degli Specchi, presso il Palazzo Arcivescovile di Cosenza, il volume Vita e persecuzione di Giovanni Falcone scritto da Claudio Martelli, ex guardasigilli e fedelissimo del leader socialista Bettino Craxi.
Ne hanno discusso insieme all’autore, Fabio Liparoti, Presidente Unione Giuristi Cattolici di Cosenza, Sergio Tursi Prato, Direttore Responsabile di Miga web TV, Sandro Principe, storico amministratore socialista rendese, e Giacomo Mancini.
«Abbiamo voluto fortemente la presenza dell’onorevole Martelli, uno dei maggiori protagonisti politici degli anni ’90, egli ricoprì il ruolo di Vice Presidente del Consiglio nel Sesto e Settimo Governo Andreotti, e di Ministro della Giustizia. La sua, fu un’azione incisiva per quanto concerne la lotta alla criminalità organizzata, basti pensare al decreto Scotti – Martelli, nel quale il 41bis venne modificato e ampliato ai detenuti reclusi per mafia. Questo volume mette in evidenza numerose zone d’ombra sulla strage di Capaci del 23 maggio ’92, e analizza da cima a fondo, periodi difficili per il nostro paese, dal Terrorismo, alla Trattativa Stato – Mafia», introduce Tursi Prato.
Un racconto avvincente, ma anche incisivo e rabbioso, nel quale l’ex guarda sigilli, ricostruisce minuziosamente gli anni della sua permanenza presso il Ministero della Giustizia, durante i governi Andreotti, e Amato (quest’ultimo dal giugno ’92 all’Aprile ’93), dal quale si dovette dimettere in febbraio, poiché raggiunto da un avviso di garanzia, arrivato probabilmente per la stretta collaborazione con il magistrato siciliano Giovanni Falcone, chiamato a dirigere l’Ufficio Affari Penali del Ministero, dopo un incontro, proprio a Palermo con Martelli.
Tutto questo, mentre l’Italia intera veniva scossa dall’inchiesta Mani Pulite, dall’omicidio di Salvo Lima (marzo1992), e non solo, visto che nel gennaio dello stesso anno era arrivato al culmine il cosiddetto Maxiprocesso, iniziato nel 1986, che aveva visto condannare tanti boss, fra cui il latitante Riina, personalità di spicco nella gerarchia di Cosa Nostra.
Artefice di tale miracolo giudiziario, fu proprio Falcone, grazie al suo innovativo sistema di indagine che prevedeva forti collaborazioni fra le Procure e le forze di polizia, anche oltreoceano, in particolare con la Fbi e la Dea. Martelli, nel cuore del racconto ha messo in evidenza non solo le capacità investigative del magistrato, il sostegno massiccio dell’opinione pubblica e la fama anche negli Usa, di Giovanni Falcone, ma anche il ruolo della magistratura e della politica (come il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando), che lo avevano messo sotto accusa attraverso interrogatori e sedute speciali del CSM.
«Falcone ebbe tanti nemici, ma due furono quelli che cominciarono a farlo morire, e che poi effettivamente lo uccisero. Al primo posto c’è la mafia di Totò Riina che lo massacrò col tritolo; al secondo, i non pochi magistrati che cominciarono a farlo morire, molto tempo prima della strage di Capaci».
C’è una frase di Paolo Borsellino, suo grande amico e collega, ucciso anche lui da Cosa Nostra, che ha tutte le sembianze di un j’accuse, e che Martelli acutamente riprende: «Lo Stato, la magistratura, che forse ha più colpe di ogni altro, cominciarono a far morire Falcone nel gennaio 1988. Giovanni si era candidato a capo dell’Ufficio Istruzione, solo per continuare il suo lavoro e qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro, e il giorno del mio compleanno, il Csm ci fece questo regalo di preferirgli con motivazioni risibili Antonino Meli. Mi resi subito conto che nel volgere di pochi mesi Giovanni Falcone sarebbe stato distrutto… morto professionalmente nel silenzio senza che nessuno se ne accorgesse…doveva essere eliminato al più presto, Giovanni Falcone».
Parole che Claudio Martelli studia attentamente e parafrasa più volte nel suo libro-denuncia, scritto con la giusta distanza di chi ha poi compreso nel tempo, i misteri e i dubbi che ancora aleggiano sulla morte del coraggioso magistrato. È soprattutto quella frase, «la magistratura, che ha forse più colpe di ogni altro», a scuoterlo nell’intimo e a spingerlo a ricostruire la vicenda del giudice che, per la prima volta nella storia, aveva costretto i capi mafiosi alla sbarra, facendoli condannare sulla base di riscontri oggettivi, legati ad una lettura articolata di un potere criminale che, come spiegava, era diventata la più potente organizzazione criminale del mondo, non perché figlia del sottosviluppo, ma perché capace di approfittare di uno sviluppo distorto come quello che si era realizzato proprio in Sicilia.
Già dopo lo strano attentato dell’Addaura, il 21 giugno 1989, Falcone parlò di menti raffinatissime, e Martelli fa notare che non si riferiva soltanto a quelle dei mafiosi: «Nelle settimane e nei mesi successivi poliziotti che erano sul luogo e potevano fornire testimonianze decisive a chiarire l’identità degli esecutori, sono stati assassinati e gli assassini mai trovati».
Per non parlare dei depistaggi successivi alla strage di via D’Amelio, continua: «Con l’invenzione di rei confessi, poi creduti dai magistrati come oro colato quando si autoaccusarono, ma ignorati per tutti gli anni successivi in cui ritrattarono e rivendicarono la loro innocenza, accusando poliziotti e magistrati di averli forzati con metodi brutali e manipolati con false promesse».
Proprio da qui iniziano le domande, gli interrogativi, che l’ex guarda sigilli pone al centro della sua analisi, delle sue riflessioni, nel racconto forte e determinato di una verità che, a distanza di anni, tarda ad essere svelata.
«Sarebbe importante sapere – conclude – se anche i magistrati che congiurarono contro il giudice Falcone si sono pentiti, se riconoscono le loro colpe. Parlo dei magistrati che erano suoi colleghi, che l’avversarono apertamente, ma parlo soprattutto dei finti amici, giornalisti e politici, che l’ingannarono e lo tradirono». (mm)