ABBANDONO DEI BORGHI, RIFIUTO DEL SUD
SI VA ALLA RICERCA DEL SUCCESSO NEGATO

di GIUSEPPE ROMEO – Leggo spesso riflessioni sul l’abbandono dei piccoli paesi dell’entroterra calabrese. Una sorta di erosione umana continua, che nel suo manifestarsi come depopolamento rappresenta, di fatto, un risultato chiaro di un disboscamento antropologico oltre che di un abbandono di un passato ritenuto scomodo, da dimenticare, sacrificato sull’altare della modernità dei consumi, dell’effimero patinato utile alla massa e utile alla nostra vanità.

Insomma, posso essere d’accordo sul pathos che conquista le nostre anime camminando tra vicoli senza vita, apparente, ma direi che non è l’abbandono dei piccoli centri, o non solo quello, a dare un quadro disarmante alla nostra anima di eterni sentimentali. Ma è il rifiuto del Sud da parte nostra e dei giovani ciò che dovrebbe preoccupare…

Un rifiuto che depopola un’intera regione… Perché se ieri era il lavoro che andava cercato per emanciparsi dal ricatto del bisogno, oggi è il voler raggiungere il successo ciò che conta. Oggi è sbarcare a Milano o a Roma o in un celebrato altrove il vero sogno “calabrese”. Oggi è il riuscire tra colossei e madonnine ad “agganciare” il dominus politico, cinematografico o giornalistico la vera sfida. Una sfida con sé stessi e con la propria terra lanciata per soddisfare vanità da copertina o da potere rinnegando, poi, le origini salvo disvelarle solo se utili al proprio scopo.

Ne ho visti e conosciuti troppi di tali esempi e ogni volta ho notato la loro supponenza se non arroganza. So che sono parole non corrette per un lettore che vuole affidare il proprio sentire ad una narrativa emozionale, vivendo di tali pensieri positivi magari in attesa di cure non si sa da parte di chi.

Ma questo è un risultato antropoculturale testato sul campo. Avere la “cittadinanza” romana o milanese è oggi ciò cui ambiscono buona parte dei giovani, e non solo loro. Essere introdotti nei salotti che contano è il risultato da raggiungere, costi quel che costi. Sul resto possiamo scrivere di tutto, ma questo è un dato di fatto come è un dato di fatto che dei Borghi dell’entroterra importa solo per una stagione agli stessi calabresi di successo per un vanto con gli amici, preferibilmente romani o milanesi. Un buon argomento da conversazione al vespro laico dello spritz, o per una intervista in tv: nulla di più.

Vi è poi un Sud che condanna se stesso e i suoi Borghi incantati, impedendo il rientro di quei pochi che con nuove idee ne vorrebbero garantire il rilancio. Qui c’è la resistenza di chi è rimasto, arroccato nelle cittadelle politiche e occupato a difendere proprie rendite di posizione il quale, in una visione ad excludendum, non gradisce pensieri di ritorno sopratutto se portati da calabresi fuoriusciti. Meglio ospitare il forestiero. Costui si adegua subito alla realtà perché gli è permesso interpretarla come vuole non essendo riconosciuto come portatore di un interesse proprio (un competitor) e confidando nella sua generosa simpatia.

In fondo, al forestiero estasiato e ben guidato sulla strada del racconto enfatico delle eccellenze, cosa importa se la realtà dei Borghi spopolati è poi una realtà dovuta alla mancata capacità di creare economie circolari tra centri e periferie? O se questa sia il prezzo pagato da una comunità politica che presa e compresa da se stessa non comprende che il termine di conurbazione negli assetti metropolitani, ad esempio, racchiude significati più ampi e che abbracciano in modo sinergico l’ urbano e il rurale?

L’abbandono delle piccole economie rurali, mai messe in rete, e la negazione di un dialogo nei servizi ne ha poi concluso l’opera. E così l’incanto si disvela in amarezza. (gr)

(Analista e saggista politico)