di MARTINO ZUCCARO – «Il Mistero celebrato attende di essere tradotto in vita concreta: servizio, dono di sé, annuncio». Con queste poche ma efficaci parole, il direttore dell’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali, Vincenzo Corrado, annuncia e tratteggia il significato profondo della Pasqua e ciò che essa dovrebbe essere vissuta nella vita quotidiana.
Intanto, da parte sua, l’artista concettuale Enzo Palazzo con la sua installazione di arte sacra, nella chiesa della Presentazione del Signore di Lauropoli (CS), rivive, rappresenta e fa rivivere ai visitatori L’ultima cena.
«L’Ultima cena, opera di grande impegno e profondo significato -esordisce Palazzo- dove ripropongo in una sintesi di intensa suggestione, aspetti e momenti, per dare forma a uno austero rito conviviale, fortemente segnato dal presagio e dai simboli della passione, riformulata in una nuova prospettiva e organizzando l’opera in un ordine geometricamente calcolato».
-Come spiega i simboli che compongono, nella sua complessità, l’intera installazione?
«Il lenzuolo sullo sfondo dipinto con figure che racchiudono una credenza drammatica. Elementi come una serie di dodici coppelle in terracotta contenenti ognuna un piccolo pane, una ciotola in bronzo al centro contenente un pane più grande, dodici posate dai convitati perfettamente allineate, il libro della Bibbia chiodato su un pezzo di legno, tre chiodi posti su garze e tavoletta, evocano un atto doloroso, una ferita. In questa cadenza – aggiunge Palazzo – ho racchiuso i Calvari, le Crocifissioni, le Vie Crucis. Tutti i pezzi poggiati su un elemento quadrato nero sul pavimento. Sono tutte presenze evocative e modi che a distanza di millenni ricostruiscono un evento che appartiene alla nostra cultura».
-Questa installazione è facilmente comprensibile dal pubblico eterogeneo,?
«L’universalità del tema dell’ultima cena è tale da permettere a ciascuno di noi di leggere in essa la nostra storia; questa mia installazione Ultima cena, non celebra solo un rito di addio, ma è anche capace di evocare simbolicamente la riunione di corpo e anima, dell’umano e divino».
«Al di là delle invenzioni formali come l’intrecciarsi di pittura e scultura, e dell’uso dei materiali extra artistici tipico del concettuale, l’ultima cena è una straordinaria invenzione iconografica».
-Questa straordinaria “invenzione iconografica” fa espresso riferimento all’attualità, alla sopraffazione dei più forti, alla Palestina di Gesù?
«Al giovedì della cena segue il venerdì di passione e l’opera allude anche alle violenze della storia, ai processi ingiusti, alla sopraffazione dei più forti agli assassini degli innocenti e dei vinti. Il tempo, infine si confonde in un eterno presente, dove la Palestina di Cristo si sovrappone all’epoca moderna dei cucchiai, e il pane dell’altro ieri al Medioevo e nell’Espressionismo delle figure, ispirandosi a Klee e Chagall. Il convito di Cristo, a cui idealmente assiste una intera comunità – conclude l’artista – si incarna nella vita quotidiana, nel lavoro e nel cibo di tutti i giorni. Rivela la dimensione non formalistica, anzi sofferta, che ogni segno possiede, che è l’elemento dolore, ed è questa comune legge della vita, prima ancora dell’arte, a cui mi sono richiamato».
Le risposte dell’artista ci inducono a riflettere su un accadimento biblico, di credo religioso, cioè dell’ultima cena che Gesù ha consumata e condivisa con i suoi dodici apostoli; ma è anche un invito a capire “il Mistero celebrato che attende di essere tradotto in vita concreta, cioè di servizio, dono di sé, annuncio, come giustamente ha sottolineato da Vincenzo Corrado, altrimenti resta mera rappresentazione che tanta di unire, appunto, l’umano al divino senza alcuno aspetto benefico in ognuno di noi. (mz)