di SANTO GIOFFRÈ – Il 1° dicembre 1365, nella baia di Venezia, muore Leonzio Pilato, il più grande studioso, intellettuale e letterato, mitografo meridionale del Medioevo. Nato a Seminara, verso il 1313. Leonzio Pilato è il padre dell’Umanesimo occidentale. Mai, amor mi fu tanto caro!
Sigero, ambasciatore di Bisanzio a Venezia, comunica a Francesco Petrarca: “Leonzio Pilato, dopo aver tradotto la Fisica di Aristotele, decise di lasciare Costantinopoli. Mentre si trovava vicino all’albero di trinchetto della nave, in vista del porto di Venezia, un fulmine lo uccideva. Fu allora, nel momento in cui la vita stava per abbandonarlo, che Leonzio raccolse le sue ultime forze e lanciò per aria i suoi preziosi codici per donarli agli Dei, perchè li custodissero e al vento tempestoso perchè li spargesse per il mondo. Io lo abbracciai, forte, ma Leonzio, ormai, apparteneva al mondo dei suoi amati Dei e, quando tentai di strigere la sua mano, udii il sospiro del vento sussurrare Irene, Irene…”
Fino a 40 anni fa, di Leonzio Pilato nulla si sapeva. Soffice piuma confusa, dal vento, tra le polveri di scarto. Francesco Petrarca, dicendo di Lui e del suo pessimo carattere di arcigno greco meridionale, lo condannò alla damnatio memoriae, pur avendo visto, attraverso Lui, la luce della sapienza del mondo classico.
Allevato da Barlaam, secondo Scuola e disciplina bizantina che regolava l’addestramento dei bimbi allo studio e alla traduzione dei codici antichi, si presume che Leonzio Pilato all’età di 7 anni, fosse stato addestrato da Barlaam a tradurre i codici classici dal greco in latino, come in uso nelle Scuole dentro i Monasteri Ortodossi. La prima notizia certa, su Leonzio adulto, ci viene riferita da Boccaccio quando apprende il significato del Mito di Proteo dalle parole di Paolo da Perugia, rettore della più fornita Biblioteca in Europa; quella Napoletana di Roberto d’Angiò. Spiegazione che Paolo da Perugia aveva avuto da Leonzio Pilato, che a lui si era presentato come Auditor (allievo) del grande Barlaam. Ricordiamo, a chi mi legge, che Paolo da Perugia scrisse una grande opera sugli genealogia degli Dei le Collectiones.Ma pare, che, in effetti, gran parte della stessa opera fu scritta o dettata da Barlaam.
Come Leonzio Pilato scrisse gran parte dela Genealogia degli Dei Gentili che Boccaccio s’intestò. Dopo 10 anni che Leonzio era rimasto a Creta per perfezionarsi nella lingua greca, lo ritroviamo a Padova, il 5 dicembre 1358, straccione, senzatetto e mentre cercava l’elemosina in Piazza della Ragione, per mantenersi ai corsi di laurea presso lo Studium Padovano. Qui incontrò, perchè a Lui indirizzato, Francesco Petrarca, che era un Dio in terra e uno degli uomini più ricchi, egoisti, superbi e potenti di quel tempo. Petrarca, sapendo di questo straccione calabrese, (sporco, ostico, puzzolente, con i capelli in disordine, ma la più grande mente esistente nella conoscenza delle favole greche, come lo descrive, dettagliatamente, Giovanni Boccaccio nelle Genealogie, libro XV) che recitava l’Iliade, in latino, dando consigli ad un avvocato per affrontare cause difficili, andò a trovarlo e gli propose di fare una cosa, mai tentata al mondo: la traduzione, dal greco in latino, dell’Iliade e dell’Odissea. Leonzio, pur riluttante, perche aveva in odio gli uomini col piglio padronale, accettò per fame e con modesta mercede. Ma, poco durò il suo tempo col Petrarca!
Per contrasti circa la sua tecnica antica di affrontare la Translatio, verbum de verbo, Katà podà, mentre Petrarca pretendeva la traduzione a senso, arrivato alla traduzione del verso 3401 del V libro dell’Iliade, Leonzio, dopo l’ennesimo richiamo del Petrarca “fac citius, fac citius – fai presto, fai presto”, mandò, letteralmente affanculo, il Poeta Laureato.
L’abbandonò, buttandolo nello sconforto totale perché, il Cantore di Laura, capì che, perdendo Leonzio, gli sarebbe venuta meno l’unica persona, in tutt’Europa, tra i traduttori, persino Bizantini di altissima cultura, capace di maneggiare e tradurre i Poemi Immortali.
Petrarca aveva e soffriva la pecca di non conoscere il greco e, da grande Intellettuale qual era, oltre ad essere sospettato di finanziare ladri e trafficanti di manoscritti, sapeva l’importanza, per lui, dell’entrare in possesso, prima di tutti gli altri al mondo, del fiume di notizie contenute nell’Iliade e nell’OdisseŒ.
Fu Giovanni Boccaccio il quale, implorato da Petrarca, intercettò Leonzio Pilato sulla strada verso Avignone. Lo portò con sè a Firenze, facendolo mettere a stipendio dalla Repubblica Fiorentina come fondatore e insegnante presso la prima cattedra di Greco in Italia.
Leonzio Pilato, tra il 1358 e il 1360, tradusse tutta l’Iliade e l’Odissea e l’Ecuba di Euripide. A Pisa, tradusse il Digesto, parte greca delle Pandette.
Nel 1363, dopo un’ulteriore scontro con Francesco Prtrarca, a Venezia, s’imbarcò per Costantinopoli dove, per campare, dava lezioni di greco ai giovani rampolli veneziani e tradusse la Fisica di Aristotele.
Da un frammento ritrovato, risulta che Leonzio era un laureato. Cioè, a Padova, Leonzio Pilato raggiunse la massima onorificenza di studi, la Laurea. In Italia, allora, i laureati erano sì e no cinque. ′