SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE
REGOLA I LIVELLI ESSENZIALI ASSISTENZA

di ETTORE JORIO – Una sentenza della Corte costituzione, la n. 233 del 21 novembre 2022 (red. Antonini), cui non è stato dato il giusto e meritato risalto. Ciò perché non si è bene compreso il senso RIGUARDA L’ASPETTO DEI FINANZIAMENTI  e delle sue pesanti ricadute sul sistema del finanziamento della salute. Sulle sue regole e sui divieti. Tutto questo è avvenuto nonostante la sentenza sia da considerarsi uno strumento di pregio assoluto di esaltazione dei Lea e, con questo, dell’ineludibile rispetto della finalità di utilizzo della quota del Fondo sanitario nazionale destinata al loro finanziamento.

Al di là Lea non si passa
La sentenza, invero molto articolata, mette la parola fine accogliendo una eccezione sollevata dalla Corte dei conti, Sezioni riunite in speciale composizione, relativamente alla legge di stabilità regionale per il 2016 della Regione Sicilia. Più precisamente, ne sancisce l’incostituzionalità nella parte in cui prevedeva per il sessennio 2016-2021 il ricorso a una quota del Fondo sanitario nazionale per estinguere un prestito contratto con lo Stato da utilizzare nel convenuto piano di rientro sanitario. Rilevando al riguardo una chiara alterazione interpretativa di un importante precetto della regolazione di armonizzazione dei sistemi contabili e dei bilanci regionali.

Più esattamente, del principio di cui all’art. 20, comma 1, del d.lgs. 118/2011 – peraltro in contrasto con la delega di cui alla legge nr. 42/2009 – che sancisce e pretende che nel bilancio delle Regioni/Province autonome ci debba essere «un’esatta perimetrazione delle entrate e delle uscite relative al finanziamento del proprio servizio sanitario regionale».

Da considerarsi in senso stretto.
A ben vedere, una prescrizione rigida, perché indispensabile per «consentire la confrontabilità immediata fra le entrate e le spese sanitarie iscritte nel bilancio regionale e le risorse indicate negli atti» di programmazione finanziaria sanitaria.
Per pervenire a tale interessante e dettagliata narrativa, la Consulta ha tratto i suoi anzidetti convincimenti, di non potere assolutamente distogliere, foss’anche un euro, risorsa alcuna destinata a finanziare i Lea. Ciò nella considerazione che con i quattrini destinati alla cura delle persone non si possono effettuare pagamenti di altro. Ciò in senso assoluto.
Non è la prima volta che lo dice. Nell’arrivare a una siffatta pregiata conclusione la Corte costituzionale ha fatto tesoro di due suoi precedenti specifici nella materia.
Quanto alla copertura erogativa assoluta dei Lea, la Consulta ha preso atto di quanto sancito nella sentenza nr. 132/2021 (red. Modugno) nella quale è stata ribadito che la loro tutela erogativa non è esposta ad alcuna deroga, tanto da sottolineare che un tale invalicabile limite risiede nella distinzione legislativa tra le prestazioni sanitarie per i Lea e le altre prestazioni sanitarie.

Un distinguo severo, questo, che è ricavabile dal divieto di destinare «risorse correnti, specificamente allocate in bilancio per il finanziamento dei Lea, a spese, pur sempre di natura sanitaria, ma diverse da quelle quantificate per la copertura di questi ultimi». Da qui, la previsione specifica insediata nell’art. 20 del d.lgs. 118/2011 che «stabilisce condizioni indefettibili nella individuazione e allocazione delle risorse inerenti ai livelli essenziali delle prestazioni». Una asserzione, questa, cristallizzata nella sentenza n. 197/2019 (red. Orione).

Ciò con l’unica eccezione, contenuta nel successivo art. 30, comma 1, terzo periodo, a favore di quelle Regioni/province autonome virtuose, capaci di erogare i Lea ai livelli più dignitosi realizzando risparmi gestori. In quanto tali liberi di essere destinati a finalità diverse, sempre sociosanitarie.

Oltre la lettera, c’è ben altro
A ben leggere la sentenza viene a maturarsi una interpretazione innovativa che è nelle corde del Giudice delle leggi, che certamente influenzerà il giudicato del Giudice contabile, sia in sede di parificazione dei rendiconti regionali che in sede di controllo.
Considerato, infatti, che nessuna Regione/provincia autonoma, prescindendo se in piano di rientro o meno, sia nella condizioni ipotizzate nel suddetto art. 30 del d.lgs. 118/2011 di assicurare i Lea nella loro dimensione qualitativa ideale e generare, nel contempo, risparmi di gestione da destinare ad altra attività sanitaria extra Lea, il divieto va ben oltre il pagamento del mutuo di cui alla sentenza in esame.

Ma qualora foss’anche rinvenibile, per una sorta di illusione ottica, ogni risparmio dovrà essere ove mai “investito” in prestazioni socio sanitarie che vadano oltre i Lea ma giammai in sopportazione di oneri finanziari. Sarebbe come pagare le rate di un leasing con le spese di cura di una epatite ovvero con una diagnostica per immagini salvavita negata.

Istruzioni per tutti, anche per revisori e giudici dei conti
Ma il discorso va ben oltre. La chiara lettura che fa la Corte costituzionale della disciplina retributiva dei Lea, da essere garantiti su tutto il territorio nazionale uniformemente, impone una profonda esegesi delle regole. Con il principio fissato dal Giudice delle leggi, di divieto assoluto e di suprema indisponibilità dei finanziamenti per coprire ciò che non sia Lea, si arguisce una ulteriore regola di divieto.
Il problema (grave e frequente) si pone anche in relazione a pagamento dei debiti pregressi consolidati, ovverosia non soddisfatti con quelle quote del Fsn destinate, per competenza (si badi bene!), all’erogazione dei Lea, dei quali gli anzidetti debiti erano a essi strumentali. Ciò avuto riguardo, in senso però favorevole e dunque derogatorio, – a detta del Giudice delle leggi – per quei debiti comunque irrisolti rientranti nel perimetro sanitario, sempreché gli stessi sia provati in tal senso da una corretta contabilità analitica, in verità molto infrequente. Una distinzione, questa, che sembra emergere dalla sentenza n. 233/2022, difficile da condividere sul piano della regolazione contabile.

Infatti, non si riesce a capire il perché di questa differenza di trattamento, nel senso di vietare – da una parte – il pagamento di un mutuo attraverso il quale si sono saldati debiti accumulati e –dall’altra – consentire la corresponsione della debitoria pregressa, purché insediata nel perimetro. Delle due, una: o si vieta di distogliere, comunque e in ogni modo, i quattrini destinati i Lea oppure non lo si consente solo in favore di un mutuo bancario. L’egualitarismo reale non sarebbe affatto d’accordo.
Ma si sa nel nostro Paese, capita anche questo. Per non parlare della ricaduta che avrà il dictum costituzionale in quelle Regioni ove si è più abusato nel non rendere esigibili i Lea e nell’accumulare allegramente debito (figuriamoci in quelle commissariate). Un problema, finora troppo trascurato spesso anche da parte di alcune Sezioni regionali di controllo. (ej)

LA CALABRIA L’ETERNA COMMISSARIATA
TRA I LEA INSUFFICIENTI E MENO DIRITTI

di GIACINTO NANCIIl Governo ha reso noti nei giorni scorsi i dati del monitoraggio dei Lea (Livelli Essenziali di Assistenza). I Lea sono calcolati con degli indicatori di qualità dell’assistenza sanitaria nelle varie regioni e si quantificano con un punteggio. Ebbene la Calabria è la sola regione (insieme alla Valle D’Aosta che però lo è per la prima volta) che continua ad essere insufficiente in tutte e tre le macroaree Lea (Distrettuale, Prevenzione e Ospedaliera) con un punteggio inferiore a 60, quello della sufficienza.

Ebbene come è possibile non chiedersi, da parte dei politici, degli amministratori, dei sindacati medici, del ministro della salute, come mai, dopo 14 anni di commissariamento e di piano di rientro sanitario cui è sottoposta la Calabria, la condizione della sanità calabrese è ancora così disastrosa?

Tra l’altro la Calabria ha com Dmissariate da ormai 4 anni tutte e 5 le sue Aziende Sanitarie e i tre maggiori ospedali regionali. Il commissariamento per definizione è un intervento EI LIV efficienza e di breve durata per cui o gli innumerevoli commissari mandati in Calabria sono stati tutti degli incompetenti (e non ci pare il caso) oppure c’è qualche altro motivo per il quale dopo 14 anni di pluricommissariamento siamo ancora con tutti i Lea sempre insufficienti che tradotto in soldoni vuol dire che in Calabria l’aspettativa di vita in questi ultimi anni, per la prima volta nella sua storia, invece di aumentare e diminuita e un bambino che nasce oggi in Calabria vivrà sicuramente meno dei suoi genitori.

È questa è una cosa molto grave che dovrebbe indurre tutti i citati interlocutori a farsi la giusta domanda. La cosa ancora più grave è che tutti gli interlocutori sopra citati conoscono il motivo per cui i Lea sono e saranno insufficienti. Il motivo è che la Calabria è la regione che ha il suo sistema sanitario gravemente sotto finanziato fin dal 1996 anno di introduzione del nuovo sistema di riparto dei fondi sanitari alle regioni. Anzi è stato proprio l’effetto di questo sotto finanziamento che ha messo in ginocchio la sanità calabrese tanto che nel dicembre 2009 a causa di un suo presunto deficit sanitario (leggi conseguenza del grave sottofinanziamento) alla Calabria è stato imposto il piano di rientro sanitario e il commissariamento, che invece di risolvere il problema, stante il perdurare del sottofinanziamento, lo ha aggravato per come possiamo constatare in questi giorni.

Tutti gli interlocutori lo sanno perché la Conferenza Stato-Regioni già nel 2017 ha parzialissimamente (per come dichiarato dall’allora suo presidente Bonaccini) modificato il criterio di riparto dei fondi sanitari alle regioni introducendo il concetto della “deprivazione”. Ebbene a causa di questa parzialissima modifica alla Calabria sono arrivati nel 2017 ben 29 milioni in più rispetto al 2016 e a tutto il Sud (le cui regioni sono, anche se molto di meno, nelle stesse condizioni della Calabria) ben 408 milioni in più. Per capire di quali cifre si tratta bisognerebbe moltiplicare per 4 le quelle appena citate e dal 1996 ad oggi.

Ma a rendere ancora più grave la situazione della sanità calabrese è il fatto che la Calabria è la regione che riceve meno fondi pro capite per la sua sanità pur essendo quella con il più alto numero di malati cronici, e quindi di fondi ne dovrebbe ricevere di più delle altre regioni e non di meno. E anche di questo tutti sono a conoscenza perché il tutto è certificato dal Dca N. 103 del lontano 30/09/2015 in cui l’allora commissario Scura nell’allegato n. 1 alla pagina 33 scriveva che in Calabria ci sono almeno il 10% di malati cronici più che non nel resto d’Italia.

Il decreto per come prevede il piano di rientro prima di essere pubblicato è stato vidimato prima dal Ministero dell’Economia e poi da quello della Salute, ecco perché tutti sanno che la Calabria è la regione che riceve meno fondi pur avendo molti più malati cronici. La modifica fatta ai criteri di riparto dei fondi fatta nel 2017 non è stata ne ripetuta ne ampliata, ma oggi c’è una nuova opportunità perché il governatore della Campania, che ha la situazione sanitaria più simile a quella della Calabria, nell’estate del 2022 ha fatto ricorso al Tar proprio per impugnare il criteri di riparto dei fondi sanitari alle regioni fatte dalla Conferenza Stato-Regioni.

La novità è che il governo e la Conferenza Stato-Regioni hanno concordato di modificare per il 2023 i criteri del riparto dei fondi sanitari alle regioni, e lo hanno fatto ancor prima della sentenza del Tar sapendo che il ricorso è giusto e verrà accettato. Il nuovo accordo di modifica del riparto dei fondi sanitari è simile a quello fatto nel 2017, quello della deprivazione, che ricordiamo è stato “parzialissimo” con pochi benefici economici per la Calabria e il Sud.

Per cui questa è l’occasione di superare anche questo accordo e di battersi, specialmente da parte dell’attuale commissario alla sanità regionale nonché governatore della Calabria Occhiuto, perché finalmente ci sia un riparto basato sui veri bisogni delle popolazioni nelle varie regioni. Per fare questo è indispensabile chiedere che la Conferenza Stato-Regioni finanzi le sanità regionali in base alla numerosità delle malattie croniche presenti nella varie regioni. Oggi sappiamo quanti malati cronici ci sono nelle varie regioni, sappiamo quanto costa curare ogni anno le singole malattie croniche e quindi è possibile e necessario dare i fondi alle regioni in base alla presenza delle varie malattie.

Altrimenti i Lea in Calabria la sufficienza non la raggiungeranno mai e cosa ancora più grave i calabresi continueranno a morire prima, a parità di malattia specialmente tumorale, che non nel resto d’Italia e aumenterà ancora la spesa dei calabresi per le cure fuori regione, nei centri di eccellenza del Nord, che è arrivata alla iperbolica cifra di 300 milioni annui senza contare il disagio di chi deve emigrare per curarsi fuori regione. Il governatore Occhiuto dovrebbe dimettersi da commissario chiedere la chiusura del piano di rientro e che la sanità calabrese venga finanziata in base alla numerosità dei malati cronici presenti in Calabria. (gn)

[Giacinto Nanci è medico dell’Associazione Medici di Famiglia a Catanzaro]

SANITÀ CALABRIA, PER LA CORTE DEI CONTI
NON È CHIARO L’UTILIZZO DELLE RISORSE

di GIACINTO NANCILa sezione Corte dei Conti della regione Calabria nella seduta del 01 dicembre 2022 ha messo in evidenza le gravi criticità della sanità calabrese evidenziate sia dal suo ultimo posto nella graduatoria nazionale nell’applicazione dei Lea (Livelli Assistenziali di Assistenza) con miseri 125 punti ed anche  in regressione rispetto all’anno precedente, sia per la mancata approvazione del documento contabile che non pone alcuna certezza in ordine alla modalità di impiego delle risorse e sia per la stratosferica spesa di 242 milioni di euro per le cure dei calabresi fuori regione.

Ma come è possibile che possa accadere una cosa simile visto che la sanità calabrese è sotto piano di rientro dal 2009 e commissariata dal 2010 e visto che la regione Calabria da circa 4 anni ha commissariate sia tutte e 5 le sue aziende sanitarie che i tre più grandi ospedali regionali?

L’applicazione del piano di rientro sanitario e tutti gli altri commissariamenti sono stati imposti alla regione Calabria per un presunto deficit della sua spesa sanitaria causata dalla presunta cattiva amministrazione degli amministratori calabresi. Ma se dopo tredici anni di piano di rientro e di un totale commissariamento della sua sanità la Corte dei Conti registra l’ulteriore peggioramento dei Lea, l’ulteriore aumento della spesa sanitaria dei calabresi fuori regione e la mancanza di un documento contabile dobbiamo allora pensare che la causa di tutto ciò non sono stati ne i “cattivi” amministratori calabresi e neanche il fatto che siano stati mandati, dai governi nazionali, in Calabria in questi 13 anni dei commissari tutti incapaci, ma qualcos’altro.

Ed in effetti il vero problema del presunto deficit sanitario, dei Lea in caduta e della disastrosa situazione della sanità calabrese sta nel fatto che da più di 20 anni a questa parte alla Calabria vengono assegnati in assoluto, in confronto con le altre regioni,  meno fondi per la sua sanità nonostante la necessità di una maggiore sua spesa sanitaria per i molti malati cronici in più rispetto alla media nazionale per come è stato certificato perfino dal commissario al piano di rientro Scura già nel lontano 30/09/2015 con il dca N. 103 vidimato, per come prevede il piano di rientro, prima dal Ministero dell’Economia e poi da quello della Salute.

Quindi dal governo in giù tutti sanno che la Calabria riceve meno fondi pro capite in assoluto per la sua sanità nonostante abbia tra i suoi residenti moltissimi malati cronici in più (circa 300.000 per come è facile conteggiarli dalle dettagliate tabelle del Dca n. 103 del commissario Scura) e tutti sanno che è proprio questa la vera causa di quanto denunciato dalla Corte dei Conti. Anche un bambino sa che i pochi fondi arrivati in Calabria non hanno permesso che i suoi molti malati cronici si potessero curare bene e un malato cronico che non si cura peggiora e poi per potersi curare costa molto di più e peggiora a tal punto che poi per curarsi deve recarsi nei costosissimi centri di eccellenza fuori regione con ulteriore peggioramento della spesa sanitaria e del presunto deficit.

Ed è proprio ciò che è accaduto in Calabria, ed è per questo che 13 anni di piano di rientro e quattro di totale commissariamento hanno portato ad un ulteriore peggioramento dei livelli di assistenza e dei conti sanitari della Calabria. Allora si può perfino perseverare con il piano di rientro e i commissariamenti, nonostante che siano essi stessi a far peggiorare la sanità calabrese, ma bisogna assolutamente modificare il criterio di riparto dei fondi sanitari alle regioni basandolo sulla presenza della numerosità dei malati cronici che è il vero indicatore dei reali bisogni delle sanità regionali.

L’ultima conferenza delle regioni ha posto le basi per una modifica del riparto dei fondi per il prossimo anno basato sulla mortalità sotto i 75 anni e sulla “deprivazione” e ciò configura sicuramente  una prima presa di coscienza del problema di un corretto riparto, ma che sicuramente è poca cosa perché questa modifica di riparto dei fondi porta una variazione di pochissime decine di milioni di euro mentre con il criterio della differente numerosità delle malattie croniche nelle  varie regioni la modifica del riparto è dell’ordine di centinaia di milioni di euro. Ed è questa l’unica e vera soluzione per un corretto riparto dei fondi sanitari alle regioni.

Una ultima considerazione che denuncia l’aberrazione del piano di rientro sanitario è il fatto che, a causa di esso è stato imposto dal governo alla Calabria un prestito forzoso ed usuraio di 424 milioni euro per il quale noi calabresi restituiremo ben 924 milioni in 30 anni dal 2011. Stiamo pagando ben 30.7 milioni di euro all’anno invece di 16 perché su quel prestito forzoso ci è stato applicato dal governo un tasso quasi usuraio del 5.89% (tasso usuraio per le anticipazioni di cassa è del 6,3%).

Quindi ci è stato imposto non solo un ingiusto piano di rientro che ha ulteriormente ridotto gli insufficienti fondi alla sanità calabrese ma anche un altrettanto prestito usuraio e come se tutto ciò non bastasse noi calabresi stiamo pagando, sempre a causa del piano di rientro, più tasse degli altri italiani. Infatti per ripagare il presunto deficit sanitario un lavoratore calabrese con un imponibile di 20.000 euro paga da ormai 12 anni a questa parte ben 406 euro in piu’ di Irpef di ogni altro lavoratore italiano ( e lo dovrà continuare a farlo per i prossimi 28 anni) e un imprenditore calabrese con un imponibile di un milione di euro paga ben 10.700 euro in più di Irap degli altri imprenditori italiani così il piano di rientro oltre a far peggiorare la salute dei calabresi mette in rovina anche la sua economia.

Allora per porre fine alle ingiustizie verso i malati calabresi e la Calabria tutta: 1) fine del piano di rientro, 2) fine dei commissariamenti, 3) riparto dei fondi sanitari alle regioni basato sulla numerosità delle malattie presenti, 4) fine della super tassazione e 5) restituzione dei soldi sottratti con il prestito usuraio. (gn)

[Scritto insieme ai medici dell’Associazione Mediass – Medici di Famiglia Catanzaro, Fabiano Esterina, dott.ssa Greco Antonietta, dott. Muscolo Andrea e dott. Rossi Carmelo]

SANITÀ BOCCIATA DALLA CORTE DEI CONTI
IN CALABRIA LIVELLI DI ASSISTENZA A ZERO

di ANTONIETTA MARIA STRATI – In Calabria i servizi sanitari sono inadeguati. Un fatto molto ben conosciuto, ma che diventa ancora più tangibile – e che dovrebbe far riflettere di più – se a metterlo in nero su bianco è la sezione di controllo della Corte dei Conti della Calabria, nella relazione per il giudizio di parifica del Rendiconto 2021 della Regione, che boccia, completamente, la sanità calabrese.

Quello che emerge dal report, infatti, è sconfortante: nell’ultimo monitoraggio i Lea – Livelli Essenziali di assistenza del maggio 2021 in Calabria si sono posizionati all’ultimo posto, totalizzando un punteggio pari a 125 contro il minimo che è di 160. Un trend in negativo, se si considera che, rispetto al 2020, il punteggio ottenuto era di 162.

«La Giunta regionale della Calabria – si legge nel report – negli anni non ha mai approvato il bilancio di esercizio consolidato del servizio sanitario regionale in aperta violazione della legge. La mancata approvazione del documento contabile non pone alcuna certezza in ordine alle modalità di impiego delle risorse e dei risultati conseguiti dal servizio sanitario».

Nella relazione orale della consigliera Ida Contino, è stato evidenziato come «la Giunta regionale della Calabria, negli anni, non ha mai approvato il bilancio di esercizio consolidato del SSR in aperta violazione dell’art. 32 del d.lgs 118/2011. La mancata approvazione del documento contabile non pone alcuna certezza in ordine alla modalità di impiego delle risorse e dei risultati conseguiti dal servizio sanitario, e viola, tra gli altri, il principio di accountability in ragione del quale gli amministratori che impieghino risorse pubbliche hanno il dovere di rendicontarne l’uso sia sul piano della regolarità dei conti che dell’efficacia della gestione».

In assenza di bilancio, la sezione ha svolto l’analisi della gestione sanitaria avendo come riferimento i dati del IV trimestre 2021 che «come è noto, sono in continua evoluzione e, soprattutto, non sono attestati come veritieri da alcun organo che se ne assuma la responsabilità» è stato evidenziato nella relazione, in cui viene spiegato che «nell’esercizio 2021, la “Missione 13 – tutela della salute“ del bilancio regionale ha visto l’assunzione di impegni per circa 4,098 miliardi di euro cui sono seguiti pagamenti di competenza per 3,214 miliardi di euro. Anche il rendiconto 2021 della regione Calabria conferma che la spesa corrente sanitaria (€ 3.939.587.413,70) costituisce la componente principale di quella regionale (€ 4.954.832.616,90) con una incidenza pari al 79,51%».

«Nel riparto delle disponibilità finanziarie per l’anno 2021 – si legge – la Regione ha ricevuto a titolo di fondo sanitario indistinto la somma di oltre 3,650 miliardi di euro con un incremento, in termini percentuali, del 2,8% rispetto al 2019. Ha ottenuto altresì oltre 70,605 milioni di euro quale quota del Fondo sanitario regionale vincolato e oltre 31,118 milioni di euro quale quota premiale. Le somme testè indicate sono tutte comprensive delle risorse finanziarie ottenute per il contrasto all’emergenza covid-19».

Inoltre, è stato rilevato come «oltre ai flussi finanziari provenienti dal SSN, la Sanità regionale è stata finanziata dalle entrate extra-fondo (€ 192.252.446,00) e dalle entrate proprie; queste ultime, invero, in riduzione negli ultimi due esercizi. I dati evidenziano, infatti, che in Calabria la compartecipazione dei cittadini al servizio sanitario (attraverso il pagamento dei tickets) si è ridotta, dal 2019 al 2021, del 13,2%», come si è ridotto il saldo derivante dalle attività svolte in regime libero-professionale (intramoenia) che ha subìto un decremento consistente passando da 1,921 mln di euro del 2019 a 1,579 milioni di euro del 2021, con una riduzione pari al 17,81 %».

La sezione di Controllo, invece, ha rilevato come la Regione dimostri uno «scarso indice di attrattività sanitaria, fronte di una elevatissima mobilità passiva di chiaro stampo patologico. Circa il 20% dei ricoveri dei residenti calabresi risulta effettuato presso strutture collocate al di fuori del territorio regionale, a fronte di una media nazionale della mobilita’ passiva pari all’83%. Nel 2021 il saldo della mobilità interregionale è pari a -242 milioni di euro».

«Tuttavia – viene evidenziato – il fenomeno della mobilità incide sui cittadini calabresi molto più di quanto rilevato dal saldo finanziario. Una valutazione complessiva dell’impatto economico della emigrazione sanitaria richiederebbe, infatti, anche la quantificazione dei costi sostenuti dai pazienti e dai familiari per gli spostamenti nonché i costi indiretti per assenza dal lavoro dei familiari, permessi retribuiti ecc».

Rilevato, poi, un sottodimensionamento dei posti letto e personale: «i posti letto del servizio sanitario regionale – viene evidenziato – sono complessivamente, tra strutture pubbliche e private accreditate, n. 5.850, di cui n. 1.967 presso le quattro aziende ospedaliere, n. 1.988 (quindi un numero superiore) presso le case di cura accreditate, n. 1.836 presso gli ospedali a gestione diretta e n. 59 presso gli istituti di ricovero a carattere scientifico. I posti letto, dunque, sono sottodimensionati (di n .654) rispetto a quanto previsto nel Programma operativo 2019-2021, ove ne erano stati programmati n. 6.504, in ragione del DCA 64/2016».

«È stato accertato, negli ultimi cinque anni, infatti – si legge nel rapporto – un sensibile decremento della consistenza del personale di ruolo: nel 2017, il numero complessivo delle unità lavorative era di 20.315 e nel 2021, invece, il numero è di 18.121 al netto delle unità assunte per il contrasto al covid, pari a 1.150 unità. Nell’ambito del comparto, poi, il decremento maggiore riguarda il personale medico che passa da 4.361 a 3.951; nonché del personale assunto a tempo indeterminato».

Un altro problema rilevato riguarda il fatto che la Calabria è tra le regioni che presentano maggiori difficoltà di accesso alla diagnostica strumentale: «Dalle tipologie considerate (acceleratori lineari, angiografi, gamma camera computerizzati, mammografi, risonanze magnetiche) sul territorio calabrese – è stato evidenziato – ne sono presenti 213 di cui 120 in uso presso le strutture pubbliche e 93 in uso nelle strutture private».

«I valori che destano più sospetto – si legge – sono quelli relativi alle risonanze magnetiche, soprattutto ove si rilevi che su un totale di 55 apparecchi, 36 sono in uso a strutture private e 19 in strutture pubbliche. Tra queste ultime ci sono voluti più di nove anni tra l’acquisto e il collaudo di una risonanza magnetica alla azienda universitaria di Catanzaro e più di sei anni e mezzo tra l’acquisto e il collaudo alla azienda ospedaliera di Cosenza e più di cinque anni tra l’acquisto e il collaudo di due risonanze magnetiche all’Asp di Cosenza e tre alla’Asp di Reggio Calabria».

Quelle che emerge, dunque, che è «solo il 19% delle grandi attrezzature in uso in Calabria, dunque, non è obsoleto se si considera che un apparecchio complesso è tale già dopo cinque anni di anzianità».

Inoltre, «la regione Calabria, nel conto economico consolidato al IV trimestre 2021, presenta un risultato di gestione pari ad 26,596 milioni di euro. Con il conferimento di € 119 mln di euro (a titolo di aliquote fiscali, di “quota sociale” delle prestazioni socio-sanitarie presente sul Bilancio regionale 2021 e aggiornamento delle stime fiscali sulle manovre pregresse) il risultato di gestione al 31.12.2021 è pari a +146,001 mln di euro». In poche parole, significa che, considerando «le perdite pregresse al 31.12.2020, pari a -77,443 mln di euro, al 31.12.2021 residua un avanzo di gestione pari a 68,558 mln di euro. Questa sembrerebbe una buona notizia e tuttavia è necessario svolgere alcune considerazioni per leggere correttamente il dato», sottolinea la Corte dei Conti.

Questo perché la copertura del disavanzo «pregresso è stata possibile grazie a una maggiore disponibilità di risorse ottenute per la gestione della pandemia (oltre 251,911 milioni di euro); ma, soprattutto, è stata possibile grazie al ritardo degli interventi che avrebbero dovuto essere messi in atto per l’erogazione dell’assistenza sanitaria».

In sostanza, la Regione i soldi li ha, ma continua a fare debito inutilmente, con conseguente incremento dei costi finanziari.

Inoltre, è importante sottolineare come, per la prima volta, è stata svolta una indagine conoscitiva dalla sezione della Corte dei Conti sugli immobili rientranti nel patrimonio delle aziende sanitarie calabresi, ritenendo che un’attenta valorizzazione dell’ingente patrimonio immobiliare possa rappresentare un passo idoneo per avviare un corretto programma di risanamento.

Infatti, in base ai dati forniti dagli Enti, ci sono 363 apprezzamenti di terreno, o (per un’estensione pari a 4.888,62 are) con un valore di mercato pari a circa 10 milioni di euro; e di 69 fabbricati (per un totale di mq 22.322,00), con un valore di mercato pari a oltre € 11.000.000. Ciò è stato rilevato sono evidenti criticità nella gestione del patrimonio, per il cui esame dettagliato si rinvia alla relazione annessa al giudizio di parificazione. In questa sede sinteticamente si evidenzia che vi sono molti terreni già usucapiti o in corso di giudizio, immobili non accatastati, occupazioni abusive da parte di terzi, inutilizzo di immobili, mancati rinnovi contrattuali, e una non corretta iscrizione del valore dei canoni dei fitti attivi nel conto economico.

Per quanto riguarda, poi, la gestione dell’emergenza covid, la Corte dei Conti ha parlato di «un risultato sconfortante»: «Nonostante la Regione abbia ricevuto, negli anni 2020 e 2021, risorse finanziarie per oltre 251,911 milioni di euro, ad oggi – rileva la Corte dei Conti della Calabria – il 67% della somma (pari a euro 170,227 milioni di euro) non e’ stata ancora trasferita agli enti sanitari».

«Tale dato deve essere letto unitamente – si legge nel rapporto – allo stato degli interventi del piano operativo covid realizzati in Calabria, al 31 dicembre 2021: 12 posti letto in Ti rispetto ai 134 programmati e finanziati; 11 posti letto in Tsi rispetto ai 136 programmati e finanziati; 3 ambulanze rispetto alle 9 programmate e finanziate; nessuna area movimentabile, rispetto alle finanziate; nessun intervento di riorganizzazione e ristrutturazione dei Ps, rispetto ai 18 programmati e finanziati; nessuna rendicontazione da parte delle cinque aziende provinciali del Ssr in merito alle azioni intraprese per l’implementazione dei servizi di assistenza domiciliare integrata».

«La conclusione è evidente – si legge – anche nella gestione della pandemia, nonostante la presenza di cospicue risorse in cassa, il servizio sanitario ha prodotto debiti. Tale anomalia, per come chiarito anche dal Dipartimento della salute, scaturisce da altra ancora più grave: le spese sostenute dagli Enti sanitari per il contrasto del covid non sono state ancora dai medesimi Enti puntualmente rendicontate».

La Corte dei Conti, poi, ha preso atto delle dichiarazioni rilasciate dal commissario ad acta, Roberto Occhiuto,  in merito al quadro delle azioni per affrontare le criticità rilevate, spiegando che «sono stati istituiti gruppi di lavoro con l’ausilio della Guardia di Finanza per la ricognizione del debito; che è stato avviato il processo di circolarizzazione delle posizioni debitorie con l’apertura di una piattaforma e l’invio di 20.000 pec a tutti i fornitori del Ssr per poter concludere la ricognizione della massa debitoria 34 entro il 31 dicembre;; che sono state previste, nella manovra d’autunno, una serie di interventi per rendere più attrattivo il lavoro nel sistema sanitario calabrese; che sono stati avviati importanti investimenti del Pnrr; che è stato predisposto un piano per la dotazione delle tecnologie per ospedali».

Per quanto riguarda i Fondi Comunitari, la sezione «dà evidenza di un preoccupante ritardo nell’attuazione del Programma, che pone a rischio obiettivi di sviluppo e crescita, con conseguente potenziale perdita di risorse comunitarie. È necessario, perciò, dare impulso ed accelerare tutto il processo di spesa per scongiurare la perdita di importanti e significative risorse (rischio calcolato nella misura presunta del 9%),rilevanti per tutto il sistema economico calabrese. Occorre infine, intercettare tempestivamente le economie di progetto maturate o maturabili per riorientare risorse su Assi/azioni più performanti».

Quello che è emerso è un quadro preoccupante, che fa comprendere, ancora di più, quanto sia urgente intervenire sulla sanità calabrese a 360 gradi. Criticità e problemi che sono stati riconosciuti dal presidente della Corte dei Conti, Guido Carlino, intervenuto al giudizio di parificazione della Regione Calabria. Carlino ha assicurato che «l’attenzione della Corte dei Conti è notevole, ovviamente noi faremo la nostra parte per venire incontro alle esigenze degli uffici calabresi».

Anche il presidente del Consiglio regionale, Filippo Mancuso, ha assicurato che «laddove sono state rilevate incongruenze e disfunzioni, si agirà per porvi rimedio».

«Il Consiglio regionale – ha detto – non mancherà di riservare, nell’amministrazione delle risorse pubbliche, un supplemento di responsabilità. L’intenzione è di continuare ad avere con la corte dei Conti un dialogo di costante e leale collaborazione in ossequio ai principi di trasparenza, controllo e risparmio».

«Sono rilievi importanti – ha dichiarato Occhiuto – perché la Corte dei Conti dà contezza di quello che va fatto per migliorare i conti e la qualità dei servizi. Per cui, sono molto soddisfatto dell’esito del giudizio di parifica che per fortuna non produce conseguenze sui documenti contabili che abbiamo approvato, essendoci correzioni nell’ordine di 4 milioni di euro».

«Sono molto soddisfatto – ha proseguito Occhiuto – dell’esito del giudizio di parificazione, che per fortuna non produce conseguenze sui documenti contabili che abbiamo già approvato: ci sono delle piccole correzioni nell’ordine dei 4 milioni di euro, è andata molto meglio dell’anno scorso a esempio. Soprattutto abbiamo raccolto molte osservazioni che diventano una traccia di lavoro per il futuro. Il Rendiconto 2021 contiene in qualche modo la somma di tutte le questioni che si sono cristallizzate e stratificate nella Regione e che piano piano, attraverso risorse coraggiose e strutturali, dovremo affrontare e risolvere».

«Sono impegnato a rifondare un sistema sanitario che ho raccolto in macerie. Non sarà semplice – ha aggiunto Occhiuto – non sarà un’attività che concluderemo nell’arco di qualche settimana o di qualche mese ma sarà un’attività che concluderemo dimostrando che anche la sanità in Calabria può essere governata».

«Nei livelli essenziali di assistenza – ha rilevato – siamo ultimi. Ho detto che il fatto che oggi siamo in avanzo di amministrazione e che questo avanzo è dovuto al fatto che abbiamo riconciliato i conti degli anni precedenti con i ministeri vigilanti non è una buona notizia, perché significa che nelle casse delle aziende sanitarie e del sistema sanitario regionale ci sono le risorse e queste risorse non vengono spese, per cui credo che già dai prossimi giorni approfondiremo anche le questioni legate al governo delle aziende sanitarie e ospedaliere della nostra regione». (ams)