di MARIACHIARA MONACO – Sette anni di buio, di mancata giustizia, e di mancate verità.
Ma la famiglia di Maria Chindamo non ci sta, non si arrende, e come ogni anno, avrà luogo a Limbadi il tradizionale sit-in in memoria della coraggiosa imprenditrice uccisa barbaramente dalla ‘ndrangheta, nel 2016.
Tra i partecipanti, ci saranno membri delle istituzioni nazionali, come Wanda Ferro, sottosegretario di Stato all’interno, insieme a Vincenzo Linarello e Giacomo Panizza, in rappresentanza di Goel che, attraverso un provvedimento del Tribunale di Palmi, è stato nominato come “curatore della scomparsa di Maria Chindamo”, in relazione alla sua azienda agricola.
Perché Maria era una figlia, una madre, una sorella, una donna, alla quale è stato tolto tutto, anche il proprio corpo, che ancora gli inquirenti non riescono a ritrovare, ma che secondo il collaboratore di giustizia Antonio Cossidente, è stato dato in pasto ai maiali.
Ma ritorniamo indietro, a quel maledetto 6 maggio 2016. Maria, come ogni mattina, stava per recarsi presso i terreni agricoli di famiglia, quando, secondo la ricostruzione degli inquirenti, sarebbe stata aggredita davanti al cancello della propria azienda da due o più persone. A bordo dell’auto solo tracce di sangue e poco altro di utile. Fin dall’inizio l’attenzione degli investigatori si concentra sui diversi particolari che nessuno crede possano essere coincidenze: dall’assenza di alcuni operai che la donna avrebbe dovuto incontrare quella mattina, fino alla manomissione di una telecamera che avrebbe potuto immortalare i tragici attimi di quel giorno.
Nel luglio del 2019 qualcosa sembra smuoversi, con l’arresto di Salvatore Ascone, in passato coinvolto in diverse inchieste riguardanti la cosca Mancuso. Si tratta però di un falso allarme, infatti il Tribunale del Riesame prima e la Cassazione poi, a causa di prove insufficienti rimettono in libertà l’uomo.
Da anni, la famiglia di Maria Chindamo chiede che venga abbattuto il muro di omertà e di paura che soffoca l’intero territorio. Lo fa anche attraverso i più giovani: «Una volta – dice Vincenzo Chindamo, fratello di Maria – un ragazzo in una scuola mi ha chiesto se abbia mai pensato di farmi giustizia da solo. Ma parlare ai ragazzi, creare un indotto di pensiero contro la subcultura mafiosa è farsi giustizia da solo».
Diverse sono le ipotesi che aleggiano intorno all’omicidio della donna, a partire da quella inquietante che Maria sia stata punita perché aveva “osato” interrompere la relazione con il marito, costruendosi man mano una vita sentimentale e lavorativa. Per questo secondo la cultura ‘ndranghetista, la donna andava punita, cancellata, attraverso quella che per i latini era la damnatio memoriae.
La seconda pista invece è quella delle attività economiche, che Maria stava portando avanti su terreni che deteneva insieme all’ex marito e che potevano essere quindi, reclamati da qualcuno. Secondo quanto ha riferito Cossidente, ex componente del clan lucano dei Basilischi, alla Dda di Catanzaro, Maria sarebbe stata uccisa per essersi opposta alla cessione di un terreno a Salvatore Ascone, indagato per l’omicidio dell’imprenditrice. Una storia di terreni e di confini, che ci riporta alla mente l’uccisione di un altro giovane di Limbadi, Matteo Vinci.
Ritornando sui passi dell’imprenditrice, non è casuale il luogo scelto dalla famiglia per il sit-in: alle porte dell’azienda agricola. Un segnale forte, e un’ulteriore occasione per non dimenticare e per pretendere giustizia. Vincenzo Chindamo non molla: «Fin quando sarò presente il 6 maggio, significa che avrò fiducia e speranza». (mm)