ASSOLUZIONE PER MARIO OLIVERIO, ADAMO
E LA BRUNO BOSSIO: IL FATTO NON SUSSISTE

Assolto l’ex governatore della Calabria Mario Oliverio dalle accuse di corruzione e abuso d’ufficio che l’inchiesta giudiziaria Lande desolate aveva avanzato nei suoi confronti: «il fatto non sussiste». Una formula che, ovviamente, rende felice l’ex presidente, ma non allevia la sofferenza di quell’obbligo di dimora che nel dicembre del 2018 gli impedì per alcuni mesi di esercitare il proprio mandato. Escono prosciolti dall’inchiesta, con una sentenza di “non luogo a procedere”, anche la deputata dem Enza Bruno Bossio e il marito Nicola Adamo. Oliverio aveva chiesto il rito abbreviato, dopo il rinvio a giudizio del luglio 2019 e ieri mattina il giudice dell’udienza preliminare Giulio De Gregorio lo ha mandato assolto, smontando tutte le ipotesi accusatorie. La Procura aveva chiesto la condanna a 4 anni e 8 mesi.

L’inchiesta poco prima di Natale 2018 aveva sconvolto la politica regionale calabrese, con l’obbligo di dimora per l’allora presidente Oliverio nella sua città natale, a San Giovanni in Fiore, impedendogli di fatto di recarsi in Cittadella per svolgere il suo mandato. L’inchiesta giudiziaria riguardava presunte irregolarità nella realizzazione di tre opere pubbliche (due incompiute): l’avio superficie di Scalea, l’Ovovia di Lorica, in Sila, e il rifacimento di piazza Bilotti a Cosenza. Assolti i tre esponenti politici, vanno a giudizio altri 14 imputati rinviati a giudizio che saranno processati con rito ordinario il prossimo 7 ottobre.

Secondo l’impianto accusatorio, gli imputati avrebbero cercato di rallentare l’esecuzione dei lavori di piazza Bilotti per “danneggiare” politicamente il primo cittadino di Cosenza Mario Occhiuto in quel momento ricandidato a sindaco. L’ipotesi è stata totalmente smontata e viene restituita dignità a Oliverio e ai due esponenti politici a lui vicini, ma la “delegittimazione” a fare il presidente (con l’obbligo di dimora, annullato dopo due mesi dalla Cassazione) e la gogna mediatica subita non sono facilmente sanabili. È inammissibile che tra l’accusa (e i susseguenti atti giudiziari: arresti, obblighi di dimora, etc) e la sentenza ci sia un tempo così lungo. È incivile e inaccettabile per un Paese che è culla del diritto. Purtroppo, il disinvolto utilizzo delle vicende processuali da parte di media in cerca di visibilità provoca, irrimediabilmente, processi mediatici a cui nessuno riesce a sottrarsi: non esiste la presunzione d’innocenza (Costituzione, art. 27, comma 2: «l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva»), ma un gioco al massacro di cui tutti dovremmo vergognarci.

L’ex presidente Oliverio ha accolto con soddisfazione e commentato su FB con molto fair play la decisione del giudice: «È una sentenza netta, chiara. La Giustizia finalmente è, in ritardo ma è arrivata.  arrivata. Sono stati due anni di gogna mediatica, nei miei confronti. Ho speso la mia vita e il mio impegno politico e istituzionale avendo sempre come bussola la legalità, la correttezza amministrativa, il rispetto dei diritti e delle persone. Ho sempre combattuto in prima fila per il riscatto della mia terra e per la liberazione di essa da tutte le mafie e cricche affaristiche. Quella mattina di dicembre del 2018 è come se il mondo si fosse capovolto. Nella mia funzione di massimo responsabile del Governo della Regione venivo sottoposto ad un provvedimento cautelare. Un atto grave non solo per la mia immagine, ma soprattutto per l’immagine della Calabria finita nel tritacarne mediatico e nella macchina del fango. Il solo pensiero che i calabresi, a partire da quelli che avevano riposto in me fiducia, potessero essere indotti a credere che il loro presidente avesse tradito la loro fiducia ed approfittato del ruolo che gli avevano conferito sono stati la più grave ferita e il più grande e insopportabile tormento della mia vita. Sono felice per i miei figli, per i miei cari, ma anche per i calabresi.

«Ora che si è affermata la verità e che la Giustizia, attesa da me in rispettoso silenzio, si è imposta – ha scritto Oliverio – è necessaria una riflessione approfondita. Non posso non ringraziare quanti mi sono stati vicino in questa fase difficile, ma soprattutto ringrazio i miei avvocati difensori Enzo Belvedere ed Armando Veneto che sin dall’inizio hanno saputo impostare una linea difensiva argomentata e forte non solo della verità quanto della lettura giusta delle carte processuali. Esse tutte sin dall’inizio mostravano la mia totale estraneità agli addebiti mossimi con “grave pregiudizio accusatorio”».
L’ex presidente ha ancora altre grane giudiziarie da affrontare, saranno i giudici a confermare le accuse e a decidere per la condanna o l’assoluzione. Il problema è di altra natura: quanti casi come quello di Oliverio ci sono non solo in Calabria? Perché non è garantita, almeno sui media, la presunzione d’innocenza fino alla condanna definitiva? Solo dopo anni di perdita di dignità, di accuse spesso infamanti e irrevocabilmente trasformate anzitempo in condanna dalla pubblica opinione aizzata da vergognose macchine del fango, spesso crolla il castello degli addebiti e delle contestazioni, ma ormai sono state distrutte carriere, famiglie, qualche volta anche vite umane. Il giustizialismo non appartiene alla cultura del diritto del nostro Paese, ma, purtroppo, molto di frequente c’è chi riesce a cavalcarlo, e non c’è assoluzione che possa lavare l’infamia che viene consumata. A danno del malcapitato di turno, ma con grande spregio della giustizia e dei cittadini. (rp)