Nicola Gratteri alla Camera: «La mafia oggi va braccata sulle reti digitali»

di PINO NANO – «Sul piano del contrasto alla criminalità organizzata e alle sue nuove forme, abbiamo perso molto know how. Fino a sei o sette anni fa, le nostre forze dell’ordine erano le migliori, “davano le carte” in tutti i più importanti tavoli internazionali, oggi non è più così. E questo perché chi ha programmato il Paese negli ultimi dieci, quindici anni non ha avuto capacità di visione».

-Procuratore Gratteri, come se ne esce?

«Serve che il Governo decida di investire in software, e serve farlo subito. Serve assumere ingegneri informatici, oltre che coprire le piante organiche delle forze dell’ordine C’è chi dice limitiamo e torniamo indietro sulle intercettazioni, torniamo al maresciallo anni 50. Se non capiamo e non ci rendiamo conto che oggi un telefonino è più potente del computer che ha consentito all’uomo di atterrare sulla Luna e che possiamo ordinare sul dark web due tonnellate di cocaina comodamente dal salotto, e allo stesso tempo sento dire che bisogna tornare ai pedinamenti, io mi preoccupo, rabbrividisco e mi arrabbio. Le mafie e la criminalità mutano col mutare della società».

Nicola Gratteri non fa sconti a nessuno, e si sbagliava chi immaginava che una volta destinato a Napoli a guidare la Procura più grande d’Europa, se ne stesse richiuso nel silenzio ovattato della sua stanza, sulla parte più alta e inaccessibile del grattacielo che ospita la Procura napoletana. 

Ieri alla Camera dei Deputati è tornato a tuonare contro tutto il sistema che oggi gestisce la macchina burocratica della giustizia italiana. Ma soprattutto, è tornato in cattedra, su invito della Fondazione Internazionale Magna Grecia, per spiegare come anche la mafia abbia rivoluzionato la sua vita interna, adeguandola alla tecnologia più avanzata del momento. Del resto, commenta il procuratore di Napoli, viviamo nell’era dell’Intelligenza Artificiale e dovevamo pure aspettarcelo.

Nessuno dieci anni avrebbe mai potuto immaginarlo, ma oggi la mafia controlla e governa anche le reti digitali di tutto il mondo. Come? Semplice. Dialogando con gli altri, conquistando la gestione diretta del mondo dei social, entrando in contatto con il mondo digitale. Questo del procuratore Gratteri sembra quasi il racconto avveniristico di un fenomeno nuovo, ma questa – avverte – è la realtà con cui gli investigatori da oggi in poi dovranno fare i conti. Un mondo completamente diverso da quello di un tempo, scandito oggi da contatti in rete e da algoritmi che solo in pochi sanno ancora governare bene, e tra “questi pochi” ci sono anche le mafie. 

Ma tutto questo ce lo spiega straordinariamente bene il Rapporto presentato ieri a Roma, alla Camera dei Deputati, dal Presidente della Fondazione Magna Grecia, l’onorevole Nino Foti, e di cui Nicola Gratteri ne è stato testimonial.

«La rivoluzione digitale – si legge nel rapporto della Fondazione – ha cambiato il modo di comunicare di tutti noi, compreso quello delle mafie. Nel grande ecosistema digitale, i Social Network Sites (Sns) sono i vettori privilegiati di interazione e diffusione dei contenuti. Dai pizzini ai social network, anche le mafie si sono adeguate al mondo digitale. Oggi comunicano con post, video e tweet, usati per parlare tra clan, per lanciare messaggi di avvertimento, per dare istruzioni, ma anche per arruolare nuove leve con codici e linguaggi che sembrano appartenere a veri e propri influencer». 

Utilizzano droni e sommergibili radiocomandati per trafficare in droga e armi, assoldano i migliori hacker del mondo, agiscono con disinvoltura sul web – dove hanno oramai spostato molte delle loro attività – creano banche online per riciclare denaro, cominciano a usare l’intelligenza artificiale. Sono queste le nuove mafie, sempre più abili a cavalcare l’onda dell’innovazione tecnologica e informatica per ampliare il loro raggio di azione e aumentare i profitti. 

-Cose che il Procuratore Nicola Gratteri racconta e spiega al Paese da anni.

Grazie alla loro grande capacità di adattamento le mafie sono diventate ormai organizzazioni ibride, capaci cioè di operare tanto nella realtà analogica quanto in quella digitale. Al tradizionale pizzo affiancano le estorsioni online, puntano sul metaverso e sul dark web. Se prima andavano alla ricerca di avvocati, commercialisti, broker, notai, agenti immobiliari… oggi, cercano ovunque ingegneri informatici, hacker e drug designer. La mafia corre in rete insomma, e corre veloce, mentre imprese e istituzioni arrancano affannosamente in un’eterna carenza e inadeguatezza di risorse e di personale specializzato. 

Tradotto in parole più semplici vuol dire che Facebook, YouTube, Twitter, Instagram e TikTok, in quest’ordine, si sono impadroniti della rete, dei nostri computer e dei nostri smartphone, creando una dimensione osmotica che integra e spesso risponde a quanto avviene nel reale. Le mafie, dunque, raccontano sé stesse e si (ri)specchiano nei post di denuncia dell’antimafia sociale: se gli esperti prima interpretavano il fenomeno organizzandone il racconto, ora si può assistere al reality show delle mafie semplicemente aprendo le nostre app e selezionando il flusso di contenuti suggeriti dagli algoritmi, o seguendo i trend virali degli hashtag o delle canzoni trap e neomelodiche. In tal senso, si è dimostrato quantomai necessario uno studio delle dinamiche performative dei mafiosi online.

Un report che non mancherà di far discutere e di essere analizzato da quanti ogni giorno si confrontano con questo tema e che racconta il “fenomeno criminale” attraverso un’analisi di 90 GB di video TikTok, due milioni e mezzo di tweet, 20mila commenti a video YouTube e centinaia fra profili e pagine di Facebook e Instagram, “«dai quali emergono – spiega il Presidente della Fondazione onorevole Nino Foti le caratteristiche di un fenomeno che sembra affermarsi sempre di più in una mescolanza dai confini labili tra reale e virtuale».

Ne emerge un immaginario digitale delle mafie che si alimenta in maniera circolare: i social sono lo specchio e il motore di aggiornamento costante (updatism) della cultura criminale mafiosa che risemantizza i vecchi immaginari costruendo consenso attraverso una bulimica creazione di contenuti. Come navigati influencer i rampolli delle mafie promuovono, attraverso la ridondanza del lusso, il successo del loro brand criminale. La generazione Z dei clan e delle paranze sta cambiando il volto delle organizzazioni criminali mostrando quanto sia necessario saper gestire la scena digitale per ottenere consenso ed essere riconoscibili in quanto mafiosi all’interno di una società in cui informazione e consumi rendono tutti uguali. 

Non a caso il Procuratore Nicola Gratteri ha tenuto ancora una volta una delle sue solite lezioni magistrali sul ruolo fondamentale che la scienza informatica può dare oggi a chi come lui dà la caccia ai latitanti della Ndrangheta in tutto il mondo, ricordando anche  – e sottolineando più volte- che nel paragone con altri sistemi giudiziari internazionali non sempre siamo i primi, «ma potremmo diventarlo se si investisse di più nella lotta al mondo organizzato del crimine, come fanno per esempio gli americani, un sistema che non condivido anche se più pragmatico del nostro, o come fanno ancora meglio gli israeliani che hanno capito meglio di tutti gli altri quanto il controllo della rete sia fondamentale per capire cosa si muove attorno a noi e come intervenire in tempo per evitare il peggio».

Ma anche su questo Nicola Gratteri va giù pesante.Il Procuratore di Napoli spiega infatti che il tema è attualissimo «ma i dati legati al rapporto che intercorre tra il mondo organizzato del crimine e il mondo digitale è in perenne trasformazione, e che quindi i dati di oggi tra sei mesi non saranno più utili. Da qui la necessità di riaggiornarli continuamente e si sottoporli ad analisi continue».

La ricerca, realizzata nel pieno rispetto della privacy, alla fine ha dimostrato che l’utilizzo dei social network rendono trasparenti i processi di comunicazione delle mafie in cui “fan”, simpatizzanti promuovono il “brand” attraverso un’estetica del potere che esalta il lusso e l’onore, e quindi il successo dell’organizzazione anche attraverso il ricordo di chi ha dato la vita e di chi ha patito il carcere per giungere a questo risultato. Tutte cose che Nicola Gratteri aveva già anticipato dieci anni fa, quando per la prima volta si incominciava a parlare di queste cose. 

I primi a comprendere l’importanza dei social media – racconta lo studioso italoamericano Antonio Nicaso che prende la parola subito dopo Nicola Gratteri – sono stati i cartelli messicani, dando sfoggio della loro potenza militare, ma anche della loro esasperata violenza.

«Su Youtube postavano i video delle loro efferatezze, simili a quelle dei jihadisti che decapitavano i loro nemici. Quei video hanno fatto da apripista. Nel vortice di una violenza sempre più ibrida, vistosamente comunicativa, sono finiti anche webmasters, cantanti neomelodici, rapper e trapper. Si è passati dalle ballate che raccontavano le gesta dei rivoluzionari messicani ai narcocorrido, le musiche popolari che descrivono, a volte celebrandole, le imprese dei narcos».

«Oggi sui social media c’è di tutto. Senza più il filtro di un regista, di uno sceneggiatore, di un autore. Oggi sono loro a rappresentarsi, a raccontarsi, a celebrare il mondo dei nuovi ricchi che, grazie ai narcopesos, vestono Armani e girano in Ferrari al fianco di ragazze strepitose. Anche i mafiosi sono diventati prosumer, consumatori e produttori di quello che in Nord America viene definito “cyberbanging”, ovvero l’esaltazione dei comportamenti, del tenore di vita di chi si è arricchito con i proventi delle attività criminali».

«Sembra quasi impossibile da credere, ma la cultura dei Meme sta prendendo il sopravvento su quella dei pizzini, contribuendo a svecchiare i miti del passato e a creare nuove narrazioni. La crescente iper-connettività – spiega bene il report della Fondazione Magna Grecia – ha portato a una diluizione dei confini tra la vita online e quella offline, con conseguenze significative sulla nostra antologia del presente».

E non a caso in prima fila ancora oggi c’è lui, Nicola Gratteri, il nemico numero uno di questa nuova Mafia digitale. (pn)

A Palermo il convegno sulle mafie della Fondazione Magna Grecia

Domani, a Palermo, a I Giardini del Massimo, si terrà il convegno sulle mafie nell’era digitale, organizzato dalla Fondazione Magna Grecia, guidata da Nino Foti.

L’evento prevede due momenti: la prima sessione, dal titolo Organized crime in the internet age, avrà inizio alle 10.30. Prendendo spunto dalle attività di ricerca della Fondazione Magna Grecia, si approfondirà il
tema della presenza della criminalità organizzata sul web. Introduce il Presidente della Fondazione Magna Grecia Nino Foti.

Successivamente interverranno Pasquale Angelosanto, Generale di Corpo d’Armata, già Comandante dei ROS, Antonio Nicaso, giornalista, scrittore e studioso dei fenomeni criminali di tipo mafioso, Docente Queen’s University Canada, Walter Rauti, Research Fellow PNRR Lab SDA Bocconi, e Curatore del “Primo rapporto Cyberec” della Fondazione Magna Grecia, Marcello Ravveduto, docente di Digital Public History Università di Salerno e Curatore del rapporto “Le mafie nell’era digitale” e Ranieri Razzante,
Componente Comitato per la strategia sull’IA della Presidenza del Consiglio. Questo primo panel sarà moderato dal giornalista Fabrizio Frullani, vicedirettore del Tg2.

La seconda sessione, che prenderà il via a partire dalle 15, si occuperà degli aspetti relativi ai rischi che la presenza delle mafie nell’era digitale comporta considerato l’attuale vuoto legislativo sulla materia. Il titolo di questo secondo appuntamento è Il mondo del web, “legibus solutus”?

Dopo l’introduzione dell’on. Saverio Romano, Vicepresidente della Fondazione Magna Grecia,  prenderanno la parola: Antonio Baldassarre, Presidente emerito Corte Costituzionale, Antonio Balsamo, Sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione, già Presidente del Tribunale di Palermo, Raffaele Bonsignore, Presidente Fondazione Sicilia, Arthur Gajarsa, Giudice Corte D’Appello Federale USA, Francesco Greco, Presidente Consiglio Nazionale Forense, Giuseppe Rossodivita, Avvocato penalista, Marzia Sabella, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Palermo e Francesco Paolo Sisto, Senatore della Repubblica, Viceministro dellaGiustizia.

Questo incontro sarà moderato dalla giornalista Elvira Terranova, caposervizio dell’agenzia AdnKronos.

«Questo evento – ha spiegato il presidente della Fondazione, Nino Foti – nasce dalle nostre attività di ricerca, in particolare dal primo rapporto sulle mafie nell’era digitale presentato lo scorso mese di maggio alla Camera dei Deputati, alla presenza anche del procuratore Nicola Gratteri, e dal secondo studio, al quale stiamo lavorando in questi mesi, sul Cybercrime, dedicato all’utilizzo diffuso e capillare che fanno oggi le mafie degli strumenti digitali per favorire le proprie attività criminose».

«Lavorare per lo sviluppo sociale ed economico del Mezzogiorno – ha aggiunto –  significa anche affrontare questi temi per comprenderli meglio».

«Sono contento che la Fondazione Magna Grecia abbia accolto la mia sollecitazione ad organizzare questa iniziativa – ha commentato il vice Presidente di FMG Saverio Romano – perché l’attività di ricerca della Fondazione, insieme agli illustri ospiti che ne discuteranno, saranno una buona base per consentire al legislatore di operare con puntualità in un segmento nuovo ed inesplorato». (rrm)

Elezioni / Nino Foti, le priorità: lavoro, infrastrutture e giovani

di SANTO STRATI – Reggino doc, Nino Foti, 64 anni, è stato deputato alla XVI legislatura, eletto nel 2008 per il Popolo della Libertà. Come parlamentare è stato membro della IX Commissione Trasporti e Lavoro della Camera. Laureato in Giurisprudenza, è presidente della Fondazione Magna Grecia, un’organizzazione no-profit che promuove lo sviluppo economico del Paese e, soprattutto, delle regioni meridionali.

Il pensiero fisso per Nino Foti è il lavoro. L’ex deputato si ricandida alla Camera nelle liste di Noi moderati – quarto raggruppamento della coalizione di centrodestra – quale capolista in quota proporzionale per Montecitorio in Calabria ed è convinto che solo cona profonda riforma del mondo del lavoro si possano ristabilire i canoni base dello sviluppo. «Il lavoro – secondo Foti – non nasce per decreto legge, lo creano le imprese…». 

– E la Pubblica amministrazione?

«Noi abbiamo molto a cuore il lavoro privato, perché sappiamo bene che è il motore della creazione di un’occupazione sana che contribuisce al Prodotto interno lordo del nostro Paese. Detto questo, lo Stato svolge compiti preziosi e ineliminabili, ma va anche riformato nel profondo. La Pubblica amministrazione per Noi moderati va svecchiata con estrema urgenza, agevolando l’uscita di chi è in età pensionabile e assumendo al più presto decine di migliaia di giovani, tra l’altro decisivi per non affliggere l’attività degli Enti pubblici con quel digital divide di cui soffrono tanti impiegati e funzionari di vecchia data. 

Sburocratizzare, insomma, dev’essere un’autentica “parola d’ordine” per il nuovo Governo di centrodestra; e un’oculata spending review sarà sicuramente d’aiuto. Poi però ci sono anche varie categorie professionali penalizzate ingiustamente, penso ad esempio agli insegnanti. I docenti italiani sono quelli con gli stipendi più bassi d’Europa: noi proponiamo d’aumentare subito la loro retribuzione del 10% per poi riallinearla a quella degli altri Paesi europei».

– Lei proviene da Noi con l’Italia, una delle quattro ‘anime’ di questa lista insieme a Coraggio Italia, Italia al centro e Udc. Maurizio Lupi l’abbiamo spesso sentito molto critico verso i Cinquestelle e il Reddito di cittadinanza…

«Intanto, distinguiamo. Proprio a causa di Giuseppe Conte e del Movimento Cinquestelle è venuto meno il governo Draghi: una ‘mossa’ da incoscienti, da irresponsabili a fronte di sfide epocali che l’Italia ha davanti, dal rapido e proficuo utilizzo delle enormi risorse del Pnrr all’esigenza di farsi valere sui mercati mondiali nonostante la gravissima crisi energetica. Quanto al Reddito di cittadinanza, noi non abbiamo mai chiesto d’abolirlo, ma di rimodularlo completamente. Proprio Lupi ha chiarito che la misura complessivamente costa al nostro Paese 8 miliardi di euro all’anno e che, di questi, 3 miliardi potrebbero continuare a finanziare un “Sostegno” destinato solo a chi non può lavorare o proprio non riesce a trovare un’occupazione».

«Gli altri, però, debbono lavorare, non adagiarsi su una misura assistenzialistica che non fa crescere l’economia del Paese. Va detto con chiarezza che su 3 milioni 450mila percettori circa di questa misura, circa 1 milione 800mila ne hanno effettivamente diritto in relazione a fragilità psicofisiche. 

Ma con gli altri 7 miliardi di euro si potrebbero defiscalizzare tutte le nuove assunzioni, specialmente quelle che coinvolgono le nuove generazioni, creando le condizioni ottimali per le imprese affinché tornino ad assumere gli addetti di cui hanno bisogno. 

I contributi previdenziali figurativi andrebbe a pagarli lo Stato, proprio con questi 7 miliardi. La verità è che i nostri giovani vanno accompagnati al lavoro, non a un sussidio che, una volta terminato, li lascerà in una marginalità da cui sarà davvero difficile uscire».

– Ma non si potrebbero creare migliaia di posti di lavoro con grandi investimenti, realizzando le maxi-infrastrutture di cui nel Mezzogiorno si parla da anni?

«C’è una premessa da fare: il maggior investimento in assoluto è quello nell’ “infrastruttura sociale”, cioè sul capitale umano, sulle competenze, sulla creatività. Quanto alle infrastrutture la priorità, specie qui al Sud, è non farci “scippare” quelle a portata di mano. Faccio un esempio: tutti pensavano che l’Alta velocità ferroviaria, che a nostro avviso deve necessariamente interessare l’intero Mezzogiorno, fosse finanziabile attraverso il Pnrr. 

Ma oggi sappiamo che non è così: è chiaro che la politica deve farsi carico di questo e trovare rapidamente una soluzione. E una soluzione sensata, aggiungo io: non s’è mai vista un’arteria ad “alta velocità” che però è più lunga di quasi 50 km del tracciato ad oggi esistente e costa 2,5 miliardi di euro in più».

«Vogliamo dirne un’altra? Il Ponte sullo Stretto ha generato decenni di discussioni e di polemiche inutili. Una volta al Governo, la coalizione di centrodestra saprà dire “basta” a tutto questo e avviare una volta per tutte la realizzazione di un’infrastruttura cruciale non tanto per collegare la Sicilia alla Calabria, ma per consentire appieno le connessioni previste dall’Ue. Peraltro, i soldi ci sono, incluso l’intervento dei privati nel project financing; così come esiste il progetto esecutivo, ovviamente da integrare alla luce delle nuove evoluzioni tecnologiche. Resta un solo rammarico: aver perso l’occasione di realizzare il Ponte e aver speso le stesse risorse che sarebbero bastate a costruirlo in contenziosi col general contractor Impregilo e altri soggetti».

– A proposito: e il trasporto aereo? Non ci avevano promesso impetuosi sviluppi per gli scali calabresi in questi anni?

«Guardi, dobbiamo misurarci con una realtà completamente diversa. Quest’estate, perfino i turisti arrivati a Reggio Calabria dagli Stati Uniti o dall’Australia non hanno trovato voli e sono stati costretti a bivaccare all’aeroporto di Fiumicino senza che nessuno protestasse davvero. Non è possibile che all’Aeroporto dello Stretto ci sia un solo volo al giorno, peraltro operato da una società pubblica ossia l’Ita, l’ex Alitalia insomma, che proprio in quanto pubblica aveva il dovere d’impegnare pochi milioni di euro per coprire il periodo da maggio a settembre senza lasciare tanti passeggeri in gravi difficoltà, incluse persone malate o piccoli commercianti che non possono permettersi di restare una notte a Roma e per guadagnare mille euro finiscono per spenderne magari 1.200».

– La campagna elettorale è il ‘classico’ momento delle promesse che non sempre dopo il voto si realizzano. Ma famiglie e aziende stanno soffrendo terribilmente già oggi per gli aumenti vertiginosi, dal prezzo del pane a quello dei carburanti, legati agli enormi rincari di gas ed energia elettrica. Cosa si può fare al riguardo?

«Il Paese deve dotarsi di una seria pianificazione energetica che in questi anni purtroppo è mancata. Secondo Noi moderati, il nuovo Governo ovviamente si dovrà far carico di aiuti immediati e molto ingenti, soprattutto verso le imprese letteralmente stremate dalle bollette. Ma dovrà anche cancellare l’insulsa politica del “no a tutto” tipico di un certo ecologismo sinistroide che non ha a cuore né il progresso né il futuro dei nostri giovani e iniziare a dire tanti “sì”. “Sì” innanzitutto alle fonti rinnovabili d’energia, “sì” anche alla ricerca per reintrodurre l’energia nucleare su basi nuove, sicure e affidabili. Soprattutto perché l’Italia, così come gli altri Paesi, non ha altra scelta». (s)

A Scilla si conferisce la cittadinanza onoraria a Nino Foti

Domani sera, al Castello Ruffo di Scilla, alle 19, il Comune di Scilla conferirà la cittadinanza onoraria a Nino Foti, Presidente della Fondazione Magna Grecia. 

Il prestigioso riconoscimento è stato conferito per la «meritoria attività di promozione e sviluppo della cittadina di Scilla, profusa dall’On. Nino Foti, Presidente della Fondazione Magna Grecia, che ha contribuito a proiettare il nostro Comune alla ribalta internazionale dell’informazione, dell’imprenditoria e del turismo, e a far conoscere Scilla e il suo patrimonio culturale – ha dichiarato il Sindaco di Scilla, Pasqualino Ciccone – abbiamo inteso nominarlo cittadino onorario di Scilla. È un riconoscimento importante e significativo, che sarà foriero di positività per la nostra comunità». (rrc)

REGGIO – Nino Foti ha aderito a “Noi con l’Italia”

L’ex parlamentare Nino Foti ha aderito al movimento Noi con l’Italia, chiudendo, così, «la mia attività politica in Forza Italia, da cui rassegno le dimissioni, anche dagli incarichi ricoperti, con la consapevolezza di aver sempre garantito, in oltre 25 anni, impegno, lealtà e passione» si legge in una nota.

«Ho aderito al progetto politico di Silvio Berlusconi – ha continuato Foti – a cui confermo sentimenti di affetto e gratitudine, sin dal suo avvio, convinto che i valori da lui espressi e rappresentati con l’impegno politico diretto coincidessero con quelli che nella mia lunga militanza politica al servizio delle istituzioni ho sempre perseguito e tutelato. Tuttavia, il progressivo distacco del Presidente Berlusconi dall’impegno politico diretto, con le conseguenze che conosciamo, mi hanno indotto a fare altre valutazioni».

«Inizio, pertanto – ha aggiunto Foti –  un nuovo percorso politico a sostegno del movimento Noi con l’Italia, certo di poter esprimere, in questo nuovo contesto, i valori e i principi ai quali è da sempre ispirata la mia azione politica».

«Ringrazio Maurizio Lupi, a cui sono legato da stima e amicizia – ha detto ancora – per il suo invito a partecipare a questa nuova avventura, con l’obiettivo di costruire un punto di riferimento importante per quell’elettorato moderato di centrodestra che sente il bisogno di una nuova rappresentanza. Sono fermamente convinto che questo progetto abbia basi solide e grandi potenzialità e che con l’impegno ed il lavoro sui territori si possano raggiungere importanti risultati».

«Siamo, purtroppo – ha concluso Nino Foti – di fronte ad un periodo estremamente difficile, rispetto al quale serve il massimo sforzo da parte di tutti, ma possiamo e dobbiamo ripartire. Sono certo che, in tal senso, Noi con l’Italia, saprà dare il proprio contributo». (rrc)

Nino Foti: Recovery Plan offesa alla Calabria e ai calabresi. Serve una politica più forte

Per l’on. Nino Foti, già Deputato della Repubblica e presidente della Fondazione Magna Grecia, «il Recovery Plan approvato dal Consiglio dei ministri è l’ennesima offesa nei confronti della Calabria e dei Calabresi. Una situazione inaccettabile che impone una riflessione seria e chiara, sia sull’effettiva portata degli investimenti previsti sia sulla qualità della risposta delle forze politiche calabresi».

«È chiaro – ha aggiunto – che esiste, purtroppo, un nesso storico profondo tra la disattenzione strutturale e intenzionale del Governo centrale nei confronti della Calabria, e il deficit di rappresentanza e credibilità della politica calabrese. In estrema sintesi, chi decide sulle risorse del Paese può permettersi di penalizzare la nostra regione consapevole del fatto che dai rappresentanti istituzionali della Calabria al massimo arriverà qualche protesta pro forma sui media, ma non ci saranno azioni politiche tali da far sentire il peso e l’autorevolezza di un’intera comunità che, invece, meriterebbe ben altre attenzioni».

«Quello che emerge chiaro – ha proseguito – dalla lettura del Recovery Plan infatti, è quanto negli intendimenti del Governo la Calabria sia marginale, quasi un fastidioso problema di cui occuparsi di volta in volta. Una regione che non è mai considerata davvero una terra di opportunità. Ad esempio, si legge che “si estenderà l’alta velocità al Sud, lungo la direttrice Napoli-Bari che viene conclusa e con la massima velocizzazione della Salerno-Reggio Calabria, ottimizzando gli interventi”, confermando così che la Calabria non avrà i treni ad alta velocità ma, nella migliore delle ipotesi, una sistemazione della vecchia rete ferroviaria per far viaggiare i treni a 200km/h invece che a 300km/h. Perché si continua a tollerare ancora tutto questo? Perché siamo ancora costretti a sopportare il peso delle scelte sbagliate di una politica che, ad esempio, quando è stata progettata l’Alta Velocità, non ha pensato ad una prospettiva di sviluppo anche per il Sud? Perché, soprattutto adesso, non siamo in grado di rappresentare e difendere le mille ragioni di una terra che, senza questi interventi, è condannata ad un lento ed inesorabile declino?».

«Aldilà della questione specifica dell’Alta Velocità infatti – ha detto ancora Foti – esiste un problema complessivo che riguarda l’intera infrastrutturazione ferroviaria nel Mezzogiorno, e sebbene questa del Recovery Plan potrebbe rappresentare una vera svolta per una modernizzazione che proietti verso il futuro questa parte del Paese credo – e come me tantissimi – che non sarà così. È probabile, invece, che nel Recovery Plan ci sia semplicemente una conferma di investimenti (insufficienti) già stanziati negli anni scorsi per lavori ancora in corso o mai iniziati».

«Che dire, inoltre – ha detto ancora – della totale assenza del Porto di Gioia Tauro dal Recovery Plan? Un porto – è bene ricordarlo – che nel 2020 ha riconquistato il primato nazionale nel transhipment con una delle crescite più rilevanti nel Mediterraneo. Eppure, il documento approvato dal Consiglio dei ministri dimentica Gioia Tauro e i grandi scali del Mezzogiorno, esaltando i ruoli dei grandi porti del Nord, Genova e Trieste, che “rappresentano snodi strategici per l’Italia e per l’Europa nei traffici da e per vicino-medio-estremo Oriente” e per i quali sono elencati una serie di grandi interventi. Per comprendere il destino di Gioia Tauro dobbiamo aggrapparci a una semplice frase: “il sistema portuale italiano si svilupperà efficacemente al nord per i traffici oceanici e al sud per lo sviluppo dei traffici intermediterranei”. Troppo poco, troppo incerto».

«La realtà – ha detto ancora Foti – è che le risorse previste dal piano Next Generation Eu italiano ammontano a 222,9 miliardi di euro e, almeno in teoria, una fetta importante di investimenti dovrebbe creare un impatto forte nelle regioni del Mezzogiorno. Intervenire in tal senso tuttavia, potrebbe essere ancora possibile, poiché il Recovery Plan, dopo l’approvazione del Consiglio dei Ministri, dovrà ora essere sottoposto alle valutazioni del Parlamento e delle parti sociali. Il documento potrà dunque essere migliorato e i gravi errori commessi a danno della Calabria potranno essere corretti, in tutto o in parte. Ed è proprio su questo punto – conclude Foti – che, come detto, è necessario aprire una seria riflessione: può una politica marginale come quella calabrese determinare i mutamenti necessari a far uscire la Calabria dalla marginalità? Purtroppo la risposta – alle condizioni date – è negativa».

«Non credo – ha detto ancora – che gli attuali assetti della politica calabrese siano idonei alla sfida che è davanti a noi. Non credo che gli attuali rappresentanti istituzionali, fatte le debite eccezioni, siano in grado di fare un granché. Né è servita, o potrebbe servire a qualcosa, l’azione impalpabile del giovane Ministro per il Sud che nonostante i ripetuti annunci di interventi per lo sviluppo del Mezzogiorno ha sempre riscontrato la propria assoluta inconsistenza all’interno dell’esecutivo».

«L’unica vera speranza – ha concluso – è quella di un rinnovamento davvero concreto. Che i partiti, in un sussulto di responsabilità, in vista delle prossime elezioni regionali facciano scelte di qualità puntando sulle donne e gli uomini migliori, scegliendo sulla base delle competenze e non sui bacini elettorali più o meno ampi o più o meno clientelari. L’alternativa è una condanna perenne alla marginalità, alla rassegnazione, alla recriminazione delle tante occasioni perse. Ma il tempo per dare una risposta sta per scadere». (rrm)