LONDRA, LA RELAZIONE COVID E DIABETE
SCOPERTA DAL CALABRESE PROF RUBINO

di SANTO STRATI – Arriva da Londra, dal King’s College, una delle più prestigiose cliniche universitarie inglesi, l’allarme sulle conseguenze del covid sui malati di diabete. Ma soprattutto – è questa la novità scoperta dal prof. Francesco Rubino, scienziato calabrese, da anni in Inghilterra – è stato evidenziato l’insorgere della malattia diabetica a pazienti contagiati dal coronavirus. 

Rubino è professore di Chirurgia Metabolica nel prestigioso King’s College ed è uno dei più apprezzati diabetologi del mondo, con specializzazione nella chirurgia bariatrica. È originario di Cosenza e, come molti altri calabresi, è stato “rapito” da Londra dove ha costruito una luminosa e brillante carriera. Si è laureato all’ Università Cattolica del Policlinico Gemelli di Roma e si è formato negli Stati Uniti al Mount Sinai Medical Center e successivamente al Cleveland Clinic e poi in Francia all’European Institute of Telesurgery di Strasburgo, prima di andare a Londra. Di lui hanno parlato il New York Times, il Wall Street Journal, la CBS, la BBC, Newsweek, etc, quindi è un’autorità nella lotta al diabete.

Il prof. Rubino ha riscontrato effetti del coronavirus nel pancreas, con insorgenza di diabete in persone che prima di scoprire la positività al virus non avevano evidenza di questa malattia. Il diabete è una malattia terribile che colpisce 400 milioni di persone nel mondo. Il prof. Rubino ha scritto con alcuni colleghi di questa ipotesi sul New England Journal of Medicine, uno dei più quotati organi di informazione scientifici, e ne ha parlato anche alla BBC in un’intervista su questa evidenza clinica che allarma il mondo scientifico impegnato nella lotta al coronavirus e al Covid nelle sue pericolose varianti. 

Calabria.Live ha ascoltato lo scienziato cosentino-londinese su questa complicazione aggravante del coronavirus.

– Prof. Rubino, come ha scoperto la relazione covid-diabete?

«Quasi immediatamente dopo l’inizio della pandemia, è emersa chiaramente una relazione fra covid e diabete. Uno di questi aspetti era che pazienti con diabete erano riconosciuti con alto rischio di avere un covid più severo e, quindi con necessità di ospedalizzazione e di terapia intensiva. Purtroppo, le prime statistiche riguardanti la mortalità da covid evidenziavano che i malati di diabete avevano maggiore rischio di mortalità da covid-19. Di conseguenza, una cosa di immediata evidenza era che il diabete aumentava il rischio di contrarre il virus, con livelli di severità del covid. Ma anche nei primi mesi della pandemia cominciavano a circolare alcuni report, magari semplicemente tra colleghi, dove emergeva che tra i pazienti ricoverati per covid c’erano molti casi di diabete in persone che però non sapevano di averlo. 

Questo tipo di osservazione ha dato lo stimolo a me e ad altri colleghi, con i quali avevamo deciso un pomeriggio di tenere un meeting online per parlare di tutt’altro, per approfondire la cosa. 

Tutti i colleghi che si occupano di diabete erano preoccupati del fatto che c’erano casi in diversi Paesi, riportati da colleghi, dove il diabete dei pazienti non era preesistente, almeno non apparentemente. E allora ci siamo chiesti se ci potesse essere in realtà una relazione, che noi chiamiamo bi-direzionale, fra covid e diabete. 

Da una parte, avere il diabete aumenta il rischio di contrarre il virus in maniera severa, con alto rischio di mortalità da covid; dall’altra avere il covid aumenta il rischio di complicanze severe del diabete in chi già ce l’ha, ma anche addirittura, almeno apparentemente, di provocare il diabete in chi non l’ha mai avuto. E quindi ci siamo chiesti se ci potesse essere qualche meccanismo biologico che potesse spiegare questa relazione così stretta e, soprattutto, bi-direzionale, appunto che va in entrambe le direzioni. 

E, guardando semplicemente, alcune pubblicazioni scientifiche precedenti, per esempio sulla Sars – non so se si ricorda c’è stata una pandemia di Sars qualche anno fa – anche quella provocata da un coronavirus, similmente al covid, c’erano stati dei report nella letteratura medica di casi di diabete, apparentemente inspiegabili, associati alla Sars. E in alcuni casi autopsie avevano rivelato un effetto del coronavirus nel pancreas di questi pazienti. Quest’altro indizio ha alimentato fortemente il sospetto che ci potesse essere qualcosa in più. 

Poi, c’era anche un fattore biologico: il fatto che il coronavirus, che causa il covid-19, per entrare nelle cellule umane si lega a una proteina che sta sulla superficie delle cellule. Questa proteina non sta solo nelle vie aeree, quindi giustificando il perché il coronavirus causa polmoniti e malattie sostanzialmente dell’apparato respiratorio, ma è altrettanto diffusa questa proteina nelle cellule di altri organi, incluso il pancreas, ma anche altri organi come il tessuto adiposo, il tratto gastro-enterico, il fegato, che sono tutti organi, insieme al pancreas, molto importanti per il metabolismo degli zuccheri. Quindi c’è un fatto proprio biologico che ci dice che, potenzialmente, il coronavirus ha le “chiavi” per entrare all’interno dei tessuti che sono fondamentali per il metabolismo degli zuccheri. E allora, se ci può entrare, in questi tessuti, nelle cellule di questi tessuti, è probabile che possa, come fa in altri tessuti, in altri organi, causare delle disfunzioni di questi organi. E se causa disfunzioni di organi, va da sé che un paziente può sviluppare patologie del metabolismo, incluse forme di diabete tipiche ma anche forme di diabete atipiche. Le quali, magari, non si riconoscono nelle classiche forme di tipo 1 o di tipo 2, perché, effettivamente, con una infezione virale che affligge più di un organo allo stesso tempo si può avere più di un’alterazione allo stesso tempo, non solo, ad esempio, quella di tipo 1 dovuta a una difetto del pancreas o del tipo 2 dove ci sono altri tipi di difetti».

– Questi segnali, questi indizi vi hanno suggerito di approfondire la relazione tra covid e diabete?

«Esatto. Sulla base di questi indizi, io e i miei colleghi abbiamo, infatti, deciso che era una cosa abbastanza seria che valeva la pena di studiare. Sostanzialmente si configura una situazione abbastanza problematica e, quindi, preoccupante. Cioè ci troviamo davanti a una commistione, a uno “scontro” di due pandemie: la pandemia di diabete e la pandemia di covid.Quindi uno “scontro” che piò causare danni abbastanza seri anche da un punto di vista numerico, se si pensa che il diabete è una delle malattie più diffuse al mondo, con 400 milioni di diabetici nel mondo, e ci sono tantissime persone che non sanno nemmeno di avere questa patologia. Dall’altra parte c’è una pandemia di infezione virale che può aggravare il diabete, se c’è, o crearne forme addirittura nuove. Viceversa, il fatto che il diabete può aggravare il covid, ovviamente, rende molte persone vulnerabili all’infezione di covid. Quindi è una situazione che va studiata, capita meglio. Per questo abbiamo messo su un registro internazionale e abbiamo pubblicato sul New England Journal of Medicine, uno dei più importanti giornali di medicina al mondo, l’ipotesi che ci sia un potenziale ruolo del covid nel causare nuovi casi di diabete. 

Abbiamo chiesto alla comunità medica internazionale di farci sapere dei casi di diabete di cui si veniva a conoscenza di descriverli con un minimo di dati clinici e di laboratorio così da farci capire qual è l’entità del problema e soprattutto se è un problema transitorio, piuttosto che un problema cronico che causa diabete solo durante l’infezione, oppure un problema che causa poi il diabete per il resto della vita, etc». 

I lavori sono in corso, abbiamo pubblicato questa ipotesi già ad agosto e da allora i casi si sono moltiplicati». 

– Quindi non è più soltanto un’ipotesi scientifica, ci sono conferme della gravità della relazione tra le due malattie?

«Se prima avevamo un’ipotesi che ci potesse essere una relazione tra le due malattie, covid e diabete, quell’ipotesi adesso è più solida, la relazione c’è, è confermata. Il problema è di vedere quanto spesso il covid piò causare il diabete o se si tratta di casi più rari, come noi speriamo, e viceversa. Magari molti casi che sono stati osservati potrebbero essere casi di diabete che erano preesistenti e che semplicemente il paziente non sapeva di avere: viene ricoverato per altre ragioni e si scopre che ha il diabete. Probabilmente ci troviamo davanti a un misto delle due cose. Sembrerebbe dai dati di cui siamo in possesso che, però, una certa quota di diabete nuovo esiste».

– Questo rappresenta, quindi, un’aggravante delle conseguenze da covid-19. Si tratta, pare di capire, che si vuole scoprire se il diabete provocato dal covid, guarito il covid permane o scompare. Quanto possono interagire in questo senso i vaccini che si stanno somministrando? Avranno anche la funzione di bloccare la degenerazione di altre cellule coinvolte dal covid?

«Il vaccino può essere utile in due modi. Da una parte, riducendo il numero di persone che si ammalano di covid, soprattutto il numero di coloro che si ammalano di covid severo, riduce il rischio di complicanze di mortalità nei pazienti che hanno già il diabete, perché uno dei problemi che è intrinseco a questa relazione fra diabete e covid, è che chi ce l’ha già il diabete è un paziente vulnerabile. Se il covid capita in una persona col diabete preesistente il rischio è non solo di avere complicanze del covid, ma anche complicanze del diabete che possono essere severe. 

Uno pensa sempre al diabete come una malattia indolente, però in alcuni casi può avere complicanze letali, anche immediate. E, quindi, in una qualsiasi situazione dove un paziente riesce a tenere il diabete in qualche modo sotto controllo però si ammala di covid, questo diabete può esacerbarsi e diventare un pochino pericoloso. 

Vaccinarsi significa evitare questo tipo di rischio. D’altra parte vaccinarsi significa anche che tra la popolazione, in generale, ci saranno meno casi di covid e quindi, da un punto di vista di salute pubblica, si spera che questo contenga il numero di casi di nuovo diabete che potrebbero verificarsi. Già abbiamo un’epidemia di diabete che sono trent’anni che va avanti e ogni anno peggiora: non c’è stato nessun tipo di contenimento della curva epidemica del diabete finora. Noi adesso parliamo di covid e cerchiamo di abbassare la curva della pandemia: si pensi che col diabete in trent’anni non ci siamo riusciti. Ogni anno è una malattia che aumenta, è un’epidemia terrificante. Se adesso ci mettiamo che, oltre all’incremento suo, il covid può aumentare i casi di diabete, questa curva può crescere ancora di più». 

– Questa crescita esponenziale della malattia del diabete 2, quello cosiddetto alimentare, ha avuto trasformazioni della patologia trasformandola in tipo 1?

«Quello che sappiamo rispetto a trenta-quarant’anni fa è che non esiste un diabete di tipo 2 meno severo del tipo 1. Molti anni fa si parlava del tipo 2 come malattia degli anziani, del diabete di tipo alimentare che tipicamente insorgeva in età avanzata, difatti si diceva ‘diabete dell’adulto’. Ora, si pensi che da trent’anni a questa parte, quando è cominciata questa epidemia, innanzitutto non è più un diabete di adulto: il tipo 2 affligge purtroppo anche gli adolescenti e i bambini. Quando io ancora studiavo medicina, non era considerata nemmeno una diagnosi plausibile per i piccoli. Il tipo 2 affligge anche in età precoce ed è un diabete altrettanto severo se non di più, perché il diabete di tipo 2 che rappresenta il 95% di tutti i casi di diabete nel mondo, purtroppo è una malattia che causa incremento della mortalità. È una delle principali cause d’infarto del miocardio o di ictus, è la principale causa di cecità e di amputazioni nel mondo occidentale, come una guerra, praticamente. È una malattia che causa insufficienza renale e una serie di patologie che richiedono ospedalizzazione: si è calcolato che il 20 per cento dei ricoverati in ospedale rivela complicanze del diabete. Non è una malattia da sottovalutare, può essere aggressiva e non va sottovalutata. Una volta, ai tempi di mia nonna, si diceva “ho un po’ di diabete”, oggi non si può più dire. 

La buona notizia è che sappiamo che il diabete di tipo 2 – che ai miei tempi di studente di medicina i libri classificavano come malattia progressiva e incurabile – grazie alla chirurgia è curabile, nel senso che anche quando è ormai conclamato è possibile farlo regredire attraverso interventi chirurgici nell’apparato gastro-intestinale, o attraverso diete ipocaloriche importanti. Non è una malattia invariabilmente progressiva e incurabile e in molti pazienti, oggi, può essere affrontata con risultati soddisfacenti.  (s)


A LONDRA NUMEROSE ECCELLENZE SCIENTIFICHE DELLA CALABRIA

L’Inghilterra ospita diverse eccellenze scientifiche di origine calabresi: oltre al prof. Francesco Rubino, professore al King’s College di chirurgia metabolica e bariatrica (specialità che combatte l’obesità attraverso un intervento chirurgico) e tra i maggiori esperti mondiali di diabete, ci sono al St. Thomas Hospital il dott. Luigi Camporota (primo laureato alla Facoltà di Medicina di Catanzaro) che ha curato e salvato il premier inglese Boris Johnson colpito da Covid, il prof. Vincenzo Libri di Lamezia Terme all’University College, e il prof. Giuseppe Rosano di Vibo Valentia al St. George London University.