Le 70 pagine del “Documento di Riorganizzazione della rete ospedaliera, della rete dell’emergenza-urgenza e delle reti tempo-dipendenti” profilano una Regione caratterizzata dall’applicazione di principi non universali e viziati dalle solite dinamiche centraliste. Le medesime dinamiche che, ormai, da più di due lustri, connotano meccanismi di mancata equità territoriale tra le strutture sanitarie calabresi.
Senza voler entrare nei dettagli tecnici di ogni presidio, che pur meriterebbero una riflessione, ci concentriamo su una serie di incoerenze che caratterizzano l’area jonica e che spalancano il campo a dubbi e perplessità.
Partiamo da una semplice analisi relativa all’allocazione dei reparti in base alla classificazione cosiddetta “caldo/freddo” dello Spoke di Corigliano-Rossano. Il recente documento conferma le specifiche già stabilite dal Dca 64/2016, ovvero la vocazione chirurgico-inteventistica (caldo) per il Giannettasio e quella medica (freddo) per il Compagna. In virtù di tale classificazione, mal comprendiamo come possa un reparto di ostetricia restare allocato in uno stabilimento ospedaliero sguarnito di terapia intensiva.
Ad avvalorare quanto sopra sostenuto è lo stesso ducumento programmatico che, relativamente lo spoke Paola-Cetraro, stabilisce: “Previsione del percorso nascita presso lo stabilimento di Cetraro in ragione del rispetto degli standard di sicurezza che prevedono la presenza della terapia intensiva all’interno dei presidi in cui insiste il punto nascita”.
Ecco, ci chiediamo come sia possibile che quanto previsto per l’area tirrenica, realtà in cui esiste uno spoke suddiviso su due plessi parimenti quello jonico, sia invece disatteso per Corigliano-Rossano. Nello spoke jonico, infatti, persiste una commistione ingiustificata ed ingiustificabile di reparti d’area chirurgica e d’area medica (caldo/freddo) in entrambi gli stabilimenti ospedalieri. Tutto ciò non contribuisce a garantire efficienza ed efficacia delle cure mediche. Vieppiù, certifica la totale inadeguatezza di entrambi gli ospedali alle raccomandate e severe prescrizioni disposte.
Non ci appassiona sindacare quale dei due stabilimenti debba includere l’area calda piuttosto che quella fredda. Tuttavia, chiediamo alla politica di prendere decisioni coerenti e di avere il coraggio di perseguirle fino in fondo. Senza più lasciarsi trasportare dai desiderata del personale ospedaliero, piuttosto che da simpatie campanilistiche tra versanti della stessa città. Non è più tollerabile che si renda ancor più precario un sistema già, ampiamente, deficitario.
Altra questione che risalta dalla lettura delle disposizioni programmatiche è la destinazione d’uso del futuro ospedale della Sibaritide. Intanto, per il presidio unico, si delinea una classificazione come ospedale Spoke. Quanto detto appare già come una sonora sconfitta per le locali Classi Dirigenti; evidentemente inabili a far valere e rispettare una forza demografica che, per l’ambito jonico, permetterebbe ben altri utilizzi dell’auspicata struttura sanitaria. Tanto più, se consideriamo i motivi alla base dei ritardi nell’esecuzione dell’opera. Non è un mistero, infatti, che le raccomandazioni strutturali, intervenute a seguito della pandemia, abbiano previsto prescrizioni più stringenti nel ricalcolo dei percorsi “sporco/pulito” nelle corsie degli ospedali.
Trattandosi poi di una nuova costruzione, quanto dichiarato diventa ancora più incalzante. È paradossale, e raggiunge livelli grotteschi, immaginare quella che si presenterà come la struttura ospedaliera più moderna della Regione non già quale Hub all’avanguardia, ma come sostanziale clone delle strutture esistenti. Ci chiediamo, a questo punto, se sia valsa la pena, ammesso e non concesso venga mai terminata, di investire in una nuova struttura piuttosto che pensare ad un sostanziale restiling dell’esistente.
Sicuramente, sarebbero bastati investimenti più contenuti. Inoltre, non ci sarebbe stata la sensazione di aggiungere al danno dell’illusione di un servizio sanitario più rispondente alle esigenze di una fetta consistente della popolazione jonica, anche la beffa di ritrovarsi con una struttura non adeguata ai bisogni demografici dell’area. Insomma, senza altri giri di parole, a struttura ultimata, potrebbe palesarsi la sensazione di essere davanti ad una scatola vuota. Quanto riportato si esplicita in virtù di quelli che dovrebbero essere i Lea (livelli essenziali assistenza), quindi il numero di posti letto parametrati sui bisogni demografici degli ambiti sui quali si pianifica. Ebbene, i tre futuri ospedali (Sibaritide, Piana e Vibo) presentano, ad oggi, inspiegabili discrasie e contraddizioni.
L’ambito demografico ricadente sul previsto ospedale della piana di Gioia è dimensionato in 154mila ab. Per tale nosocomio si prevedono 314 posti letto. Nel caso vibonese, invece, a fronte di un bacino di 167mila abitanti, la struttura ospiterà 350 posti letto. Il presidio sibarita, infine, dall’alto della domanda demografica di 178mila ab., sarà composto da soli 334 posti letto.
Fermo restando il sottodimensionamento dei posti letto nei tre ospedali rispetto alle aspettative prospettate dal documento (3.43 p.l. per 1000 ab.), risalta l’ulteriore mortificazione inflitta al presidio jonico. Quest’ultimo, infatti, a differenza degli altri due in cui il rapporto tra i posti letto per abitanti si assesta su 2×1000 e 2.1×1000, si presenta con un rapporto di soli 1.88 posti letto per 1000 ab.
Chiaramente, quanto descritto certifica plasticamente il consueto trattamento da figli e figliastri che una incallita politica centralista perpetra a danno dello Jonio. Differenze che, ancora una volta, certificano la Calabria come contesto fortemente caratterizzato da profonde sperequazioni fra ambiti concorrenti a formare il mosaico sistemico regionale.
Il dramma si acclara poiché le richiamate pratiche si consumano nella più completa indolenza della politica e dei cittadini. Vieppiù, ad appurate difformità territoriali nella erogazione dei servizi, — lo ribadiamo — il prelievo fiscale operato sui cittadini resta uguale per tutto il contesto regionale. Quanto dichiarato determina un aggravio di spesa per gli abitanti dello Jonio. Costoro, infatti, a differenza dei residenti in altri contesti regionali, sono costretti, per fruire dei servizi mancanti nel proprio territorio, a spostarsi in altri ambiti intraregionali.
Sarebbe ora che lo Jonio si svegliasse dal torpore. Sarebbe necessaria, altresì, una presa di coscienza da parte della popolazione affinché sia consapevolizzato lo stato di degrado in cui, lustri di servilismo politico (talvolta neppure richiesto) ai desiderata dei centralismo storico, hanno relegato il contesto dell’Arco Jonico. (Comitato Jonia Magna Graecia)