Passo indietro del Governo sulle risorse al Sud
La promessa del 34% rischia di non valere più

di SANTO STRATI – Promesse da marinaio: non sapevamo delle frequentazioni marine dell’avvocato del popolo Conte “Giuseppi” (come lo chiama Trump), ma il suo impegno proclamato e conclamato appena pochi mesi fa sulle risorse da destinare al Sud è pronto ad andare in soffitta. Sospesa fino a nuovo ordine la norma – perentoria – che imponeva di riservare il 34% della spesa per gli investimenti al Mezzogiorno. Almeno è quanto prevede un documento riservato della Presidenza del Consiglio, elaborato dal Dipartimento per la Programmazione e il Coordinamento della Politica Economica. Nel documento sono presenti alcune proposte per far ripartire il Paese dopo l’emergenza sanitaria. Una ripartenza, che – a quanto pare – va fatta a spese del Mezzogiorno e, ovviamente della Calabria.

A dare l’allarme di questo inspiegabile e illogico passo indietro sono i deputati dem del Mezzogiorno (tra cui i calabresi Enza Bruno Bossio e Antonio Viscomi) che hanno inviato una lunga e arrabbiata nota al Presidente Conte.

I deputati democratici del  Mezzogiorno ritengono «imprescindibile che il Governo mantenga, ribadendola con forza, una linea politica per lo sviluppo economico e sociale delle regioni meridionali che da un lato favorisca una pronta ripartenza del proprio tessuto produttivo e dall’altro permetta il recupero progressivo dei divari economici e infrastrutturali con il resto del Paese». A tal fine, – dicono i parlamentari – «consideriamo i seguenti punti come componenti fondamentali e non derogabili di questa strategia:

1. mantenere il vincolo di destinazione territoriale delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) congiuntamente a quelle degli altri Fondi strutturali, al fine di promuovere le politiche per lo sviluppo della coesione sociale e territoriale e la rimozione degli squilibri economici e infrastrutturali tra le regioni;

2. considerare le risorse di cui al punto 1) aggiuntive rispetto a qualsiasi altro strumento di finanziamento ordinario e/o straordinario, non derogando così al criterio dell’addizionalità previsto per i fondi strutturali dell’Unione Europea;    

3. rispettare la cosiddetta ‘clausola del 34%’ che prevede la distribuzione degli stanziamenti in conto capitale delle Amministrazioni Pubbliche in proporzione alla popolazione nelle varie regioni italiane. Il 34% è, infatti, la percentuale della popolazione residente nel territorio delle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia».

È opportuno far notare che il Presidente Conte, a fine novembre aveva dichiarato che il Governo intendeva dare attuazione «alla nota “Quota 34”, ovvero un criterio di riequilibrio territoriale della spesa per investimenti» riconoscendo che la quota di spesa effettiva del 28% rilevata nell’ultimo decennio si è tradotta «in una vera e propria perdita di risorse per investimenti al Sud, che si riflette anche in quel crollo delle dotazioni infrastrutturali». Quindi il premier per sanare questo squilibrio aveva stabilito, attraverso un’apposita norma in legge di bilancio, che «tutti i programmi pubblici di investimento devono distribuire ex ante le risorse in maniera proporzionale alla distribuzione della popolazione sul territorio».

Magnifica proposizione d’intenti, ribadita peraltro a Gioia Tauro alla presentazione del Piano per il Sud con il ministro Peppe Provenzano.

Quest’ultimo – convinto meridionalista – aveva esposto chiaramente nella sua premessa che «Colmare i divari territoriali non è solo un atto di giustizia, è la leva essenziale per attivare il potenziale di sviluppo inespresso del nostro Paese… L’Italia sarà quel che il Mezzogiorno sarà. Nessuno si salva da solo. La sfida del Sud – aveva detto Provenzano – è la più difficile di tutta la nostra storia unitaria. Ma non è una causa persa… Lo sviluppo e la coesione sono “missioni”. Non riguardano solo i meridionali, ma tutti coloro che sono impegnati nella battaglia per rendere l’Italia un paese più giusto e avanzato. Le istituzioni e i cittadini, la politica e la società devono combatterla fianco a fianco. Consapevoli delle difficoltà, certo, ma anche del mare di opportunità che abbiamo di fronte. Possiamo aprire una nuova pagina. Dobbiamo scriverla insieme».

E il primo passo verso questa “mission” era proprio quel ristabilimento – intoccabile – secondo Conte – del 34& del riparto di spesa da destinare al Mezzogiorno.

Peccato che – come fanno notare i deputati dem nella lettera a Conte – nel documento (alle pagine 129-132) siano «previste due ipotesi di intervento che riteniamo ingiustificate e in grave danno al Mezzogiorno, territorio che rappresentiamo. Nello specifico, – osservano i parlamentari dem – si tratta di una proposta concernente il superamento dell’attuale riparto delle risorse del FSC (80% Mezzogiorno e 20% Centro Nord) per promuovere una nuova redistribuzione che assicuri, evidentemente, una quota maggiore di risorse al Centro-Nord a discapito del Mezzogiorno e di una seconda proposta che riguarda la sospensione (non è specificato per quanto tempo) della norma che prevede di destinare il 34% degli stanziamenti in conto capitale della Pubblica Amministrazione al Mezzogiorno. Con ogni probabilità, anche in questo caso, l’intenzione dell’estensore è quella di ridurre le risorse a favore delle regioni meridionali, assicurandone una fetta maggiore alle altre».

È evidente che l’emergenza coronavirus faccia perdere il controllo anche al più equilibrato dei governanti, ma un minimo di buon senso avrebbe suggerito di immaginare ben altri scenari nella ricerca di soluzioni anti-Covid.

Tanto per dare un’idea del danno che andrebbe a ripercuotersi su tutto il Meridione è interessante ripescare l’interrogazione dello scorso luglio con primo firmatario l’on. Francesco Boccia (attuale ministro delle Regioni) presentata al Governo dai parlamentari dem della coalizione giallo-rossa. Secondo i dati dei conti pubblici territoriali, – evidenziava l’interrogazione – negli ultimi dieci anni la quota di risorse ordinarie in conto capitale della Pubblica Amministrazione al Mezzogiorno è stata in media intorno al 26%, ben 8 punti percentuali in meno rispetto alla percentuale di popolazione residente in quei territori. Ciò si è tradotto in un trasferimento dalle regioni meridionali a quelle del Centro-Nord di circa 4 miliardi all’anno di risorse ordinarie in conto capitale per una perdita complessiva di oltre 40 miliardi nel decennio.

«Dalla lettura di questi dati – si legge nell’interrogazione dei deputati dem eletti nelle regioni meridionali – appare evidente che l’arretramento infrastrutturale del Mezzogiorno, che in larga parte spiega anche il mancato recupero del divario di crescita con le restanti aree del Paese, sia l’effetto inevitabile del taglio delle risorse per la spesa in conto capitale».

Il “marinaio” Conte con il consueto garbo che lo contraddistingue, quando parla al “popolo” si era allargato nel suo entusiasmo del ritrovato meridionalismo: «Sono profondamente convinto – e su questo vi posso assicurare che ho trovato piena consonanza in tutto le componenti di Governo – che abbattere i divari territoriali fra Nord e Sud e fra aree urbane ed aree interne non risponda esclusivamente ad una logica di equità e di corretta redistribuzione delle risorse fra i territori. Riportare il Mezzogiorno su una traiettoria di crescita sostenuta, è una condizione irrinunciabile per garantire lo sviluppo economico dell’intero nostro Paese».

Bene, Presidente Conte, che fa, si rimangia gli impegni? E cosa racconterà ai calabresi, ai meridionali, il buon Provenzano che è rimasto – causa Covid – al palo col suo magnifico Piano per il Sud?

Dirà che il Governo ha scherzato? Attenzione, non è una mano di poker, qui c’è da pensare e ripensare non più alle mille malefatte ai danni del Sud che decenni di cattivo governo (di qualunque colore fosse) hanno provocato, bensì guardare al dopo-Covid.

In un Mezzogiorno che se è stato – grazie a Dio – in gran parte risparmiato dall’epidemia rispetto ai tragici numeri delle tre regioni dell’autonomia differenziata (e soprattutto mancata, per fortuna!), nondimeno ha necessità di far ripartire le aziende, rimettere in moto l’economia reale, con investimenti infrastrutturali, sostegni agli imprenditori, sgravi per incentivare assunzioni e nuova occupazione. E vedersi sottrarre di nuovo risorse finanziarie. Con tutto il rispetto per il disastrato Nord di oggi. Se vi pare poco… (s)