PASTICCIACCIO BRUTTO DELL’AUTONOMIA
BOCCIATO DA UE MA “PIACE” A CALDEROLI

di FILIPPO VELTRI – Gran pasticcio dentro la maggioranza di Governo e dentro il Governo della Meloni su DDL Calderoli. Fratelli d’Italia e Lega ai ferri corti dopo il parere della commissione d’esperti del Senato, prima pubblicato e poi scomparso, denso di critiche e di osservazioni ma anche dentro la Lega non si scherza!

Evidentemente infatti Calderoli e Giorgetti, entrambi ministri dello stesso Governo di centrodestra ed entrambi della Lega, non si parlano, né si scambiano le carte.

Calderoli infatti ha confezionato una proposta di legge sull’autonomia regionale differenziata che dice esattamente il contrario di quanto sostenuto da Giorgetti perché prevede che i nuovi poteri della regione siano stabiliti da un patto a due, tra il governo e la regione interessata e le altre verranno al massimo informate.

Tanto è vero che il Parlamento sul patto tra governo e singola regione potrà esprimere solo un parere, probabilmente delle commissioni, di cui il governo potrà tenere conto oppure no. Di più, Calderoli per forzare i tempi ha previsto che le osservazioni dei Ministeri sulle materie oggetto dell’intesa a due arrivino entro 30/45 giorni, pena le sue dimissioni addirittura dalla politica! Il ministro dell’Economia Giorgetti, forse per la prima volta nella storia dei governi, non solo non è il garante/controllore degli aspetti finanziari del procedimento ma ha solo 30 giorni, come gli altri ministri, per rispondere. In altre parole non gli è riconosciuto il potere di fermare o correggere le decisioni del patto a due per garantire i conti pubblici. Se i ministri non rispondono entro i 30 giorni previsti Calderoli pretende il mandato a procedere comunque: questo afferma la sua proposta di legge.
Calderoli è l’unico firmatario della proposta di legge del governo, non figurano né la Presidente Meloni, né tanto meno il Ministro dell’Economia come avviene di solito.

Sembra una presa di distanza ma segnala anche un atteggiamento remissivo verso le pretese di Calderoli e dei presidenti delle Regioni, forse per rinviare lo scontro a tempi migliori. Non si capisce come si possa imporre ai ministeri e soprattutto al MEF un tempo oltre il quale Calderoli procederebbe comunque. Basta pensare alla Ragioneria generale dello Stato che ha l’obbligo di garantire il rispetto dei conti pubblici, approvati dal Parlamento, e questo non c’è nella proposta Calderoli. Solo quando tutto sarà stato deciso da Calderoli e dalla regione interessata il parlamento sarà chiamato ad approvare la legge che deve dare valore al patto a due, tra Ministro e Regione.

Calderoli ha, dunque, forzato la mano decidendo tutto da solo, accentrando poteri, con una colpevole sottovalutazione degli altri ministri e soprattutto della Presidente del Consiglio. Certo la premier firmerà i Dpcm sui Lep, i livelli essenziali di prestazione, perché è già previsto dalla legge, per il resto tutto è nelle mani del ministro Calderoli. I Lep non possono essere affidati ad una commissione a due che poi passerà al governo le sue proposte, le quali verranno trasposte nei Dpcm. Questo è un altro passaggio che impedirà di controllare la qualità dei servizi garantiti ai cittadini e non è questione tecnica ma una scelta politica.

Prima o poi la bolla scoppierà. Giorgetti, che ripetiamo è leghista come Calderoli, afferma pubblicamente che un patto a due non può superare Costituzione e Parlamento e ha ragione, per questo bisogna cambiare la proposta Calderoli portando il Parlamento a decidere su tutti i passaggi di fondo sull’autonomia regionale differenziata, iniziando con l’eliminazione del patto a due, governo/regione, che è il vero motore di tutto il percorso.

La legge deve essere il motore, non un patto tra due esecutivi. Altrimenti Calderoli e il presidente della Regione interessata sceglieranno insieme i poteri da decentrare tenendo all’oscuro il Parlamento fino a quando sarà messo di fronte al fatto compiuto e verrà costretto a votare a favore con il voto di fiducia.

Il tentativo è di tenere tutto il percorso sull’autonomia differenziata sotto controllo leghista, imponendo alla stessa maggioranza le scelte. Calderoli ha preparato una sorta di “supermercato” con il compito di offrire alle regioni interessate fino a 500 funzioni, senza che il Governo precisi fin dall’inizio quali è disposto a decentrare e quali no, facendo intendere che lo possono essere tutte.

Eppure dei ministri hanno già fatto presente che non sono disposti a concedere poteri, ad esempio nella scuola e nei beni culturali. Perfino Confindustria è preoccupata che si creino nuove barriere all’attività delle imprese, creando differenze tra le regioni che renderebbero più difficile l’attività economica.
Per ora Calderoli continua imperterrito sulla sua strada, ma il ministro Giorgetti e la presidente del Consiglio, e con loro la maggioranza, prima o poi dovranno pronunciarsi sul merito delle scelte. Finora hanno finto di non vedere e hanno lasciato fare, fino a quando potrà andare avanti senza compromettere l’unità di diritti fondamentali e dell’attività economica del nostro paese?

Intanto una buona notizia. Le firme raccolte in calce alla legge di iniziativa popolare promossa dal Coordinamento per la Democrazia costituzionale e dai sindacati della scuola per cambiare gli attuali articoli 116.3 e 117 della Costituzione, che Calderoli usa strumentalmente per le sue scelte per aiutare la “secessione dei ricchi”, sono oltre il traguardo delle 50.000 firme, il risultato finale sarà tra 60 e 70.00. La proposta di legge arriverà al Senato mentre ancora si discuterà la proposta del governo sull’Autonomia regionale differenziata e grazie al consenso che ha avuto potrà influenzare una discussione fin troppo sottovalutata. Esistono dunque le condizioni per una ferma battaglia parlamentare per bloccare chi vuole oggi dividere quello che prima il Risorgimento e poi la Resistenza hanno unito: l’Italia. (fv)

Venerdì il ministro Roberto Calderoli in Calabria

Venerdì 28 aprile il ministro Roberto Calderoli sarà a Vibo Valentia, dove incontrerà i segretari-commissari delle regioni del Sud e discuterà con il partito calabrese dell’autonomia differenziata.

Lo ha reso noto il commissario regionale della Lega, Giacomo Saccomanno, sottolineando come l’incontro sarà «un momento di approfondimento, formazione e conoscenza che consentirà di conoscere le modalità di costruzione e di successiva applicazione del nuovo strumento che dovrà, naturalmente, anche rilanciare il Mezzogiorno».

L’appuntamento è per le 15.30 all’Hotel 501. Saranno presenti il sindaco di Vibo Valentia, Maria Limardo, il presidente della Provincia, Corrado Andolina, il presidente della Giunta Regionale, Roberto Occhiuto, e quello del Consiglio Regionale, Filippo Mancuso. Parteciperanno tutti i responsabili e militanti del partito calabrese.

«Una iniziativa di grande spessore e di confronto sulle problematiche delle regioni meridionali – ha concluso Saccomanno –. Un momento di confronto che potrà, finalmente, far elaborare una strategia comune e di sostegno alle tante criticità del Mezzogiorno». (rcz)

MISSIONE «AUTONOMIA DIFFERENZIATA»
COSÌ IL NORD “RUBERÀ” RISORSE AL SUD

di DAMIANO BRUNO SILIPO – Il DDL sull’autonomia differenziata prevede che le regioni a statuto ordinario possono chiedere «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» in 23 materie, tra cui istruzione, salute, ambiente, infrastrutture e trasporti, produzione di energia, internalizzazione delle imprese, tutela e sicurezza del lavoro.

Unitamente al trasferimento delle funzioni, vengono trasferite alle regioni le relative risorse umane, strumentali e finanziarie, necessarie per attuare l’autonoma nelle materie richieste. Per la gestione delle materie oggetto di autonomia, le regioni possono trattenere i tributi equivalenti. Il trasferimento delle funzioni attinenti alla realizzazione dei diritti civili e sociali (scuola, lavoro, previdenza, etc.) è legato alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e dei relativi costi e fabbisogni standard, comunque da definire entro un anno. Altre materie però (infrastrutture, porti, aeroporti, zone economiche speciali, ferrovie, protezione civile, energia) che sono il piatto forte, possono essere trasferite senza aspettare la definizione dei LEP.

Il meccanismo previsto dal DDL Calderoli è simile a quello delle regioni a statuto speciale.

Il punto sostanziale che caratterizza queste regioni è quello di trattenere per sé gran parte delle imposte: la Valle d’Aosta si tiene il 100% di Irpef, Ires (imposta sulle società), Iva e accise sui carburanti; le Province autonome di Trento e Bolzano il 90% e l’80% di Iva; il Friuli-Venezia Giulia il 59% e il 30% delle accise; la Sicilia il 71% dell’Irpef, il 100% dell’Ires e il 36% di Iva; e  la Sardegna il 70% su tutto e il 90% di Iva. Con questi soldi si pagano: sanità, assistenza sociale, trasporti e viabilità locali (che però si pagano in proprio anche Regioni come Lombardia, Toscana e Lazio), manutenzione del territorio, infrastrutture per l’attrazione turistica. La Valle d’Aosta e le due province del Trentino si finanziano anche l’istruzione, ovvero gli stipendi degli insegnanti.

Lo Stato paga tutto il resto: le spese per la giustizia (procure e tribunali), le forze dell’ordine, le infrastrutture di carattere nazionale (come la rete ferroviaria, i trafori, pezzi di autostrada, a partire da quella del Brennero), i servizi Inps, oltre alla macchina politica e amministrativa statale. Tutte spese che sono finanziate dalla fiscalità generale, alle quali queste regioni non partecipano, o lo fanno in piccola parte.

La similitudine fra le regioni a statuto speciale e il DDL Calderoli consiste nel principio che ogni Regione possa negoziare con lo Stato i settori che intende gestire in proprio, trattenendo i tributi equivalenti.

Per capire cosa cambia con il DDL Calderoli, basta considerare l’esempio della sanità. Con l’avvento del Sistema Sanitario Nazionale ad ogni regione fu assegnata nella spesa sanitaria una cifra pro-capite eguale, corretta con indici di bisogno sanitario, sulla base del principio che a tutti i cittadini devono essere garantiti i livelli essenziali di assistenza. Il fabbisogno standard fu quindi identificato con la spesa media nazionale, introducendo così la regola di un gioco a somma zero: le regioni con una spesa sanitaria storicamente superiori alla media dovevano cedere risorse alle regioni più svantaggiate. Difatti al Lazio, che partiva da 33% di spesa sanitaria superiore alla media, fu ridotto lo scarto all’11% e alla Calabria, che partiva da -21%, fu ridotto lo scarto a -12%. Per avere la stessa spesa pro-capite in sanità, oggi sette regioni del Sud ricevono fondi perequativi da quelle del Nord, per un ammontare di 5-6 miliardi all’anno. Con il DDL Calderoli tutto questo non sarà più possibile, perché, se tutte le regioni del Nord chiederanno l’autonomia in sanità, non dovranno più contribuire ad alcun fondo perequativo. Le regioni del Mezzogiorno potranno contare solo sulle proprie entrate fiscali o sul contributo di uno Stato indebolito nelle proprie capacità fiscali e d’indebitamento.

Se si aggiunge che secondo la riforma del Titolo 5, le regioni potrebbero realizzare intese tra di loro per costituire organi comuni per la gestione di infrastrutture o altro, la realizzazione della Macroregione del Nord diventerebbe lo Stato sostanziale dentro uno Stato formale che sarà svuotato di poteri e contenuti.

Nella discussione sul provvedimento grande rilievo è stato dato alla definizione dei LEP. Quand’anche fosse vero che i LEP verranno definiti in tempi brevi, cosa cambia per il Mezzogiorno? L’autonomia differenziata di Calderoli non è subordinata alla realizzazione dei LEP. Anzi, essa comporterà che i LEP non verranno mai realizzati su tutto il territorio nazionale.

In passato lo Stato è intervenuto con la regola della golden share per impedire che settori strategici come l’energia, l’acqua, le reti di comunicazione e mobilità venissero acquisite da imprese straniere o private. Con il trasferimento di questi settori alle regioni viene meno anche il concetto di  interesse nazionale, perché ogni regione può decidere cosa fare di queste risorse. Cosi come, di fronte ad una futura crisi energetica, invece di avere  Draghi o Meloni che vanno a trattare con altri Stati per avere più gas o petrolio, potremmo avere 20 presidenti di staterelli sovrani che vanno a contrattare la stessa cosa. Per non parlare dell’istruzione o della ricerca, dove ogni regione potrà perseguire obiettivi diversi, comunque su una scala ridotta. Così, l’Italia, che già sconta un deficit nella ricerca, sarà definitivamente condannata a rimanere ancora più indietro, perché le dimensioni di scala nella ricerca sono fondamentali. Le maggiori spese in ricerca e sviluppo di alcune regioni non potranno mai compensare la perdita nella capacità di progettare il futuro di un intero sistema universitario e produttivo nazionale nella ricerca.

Comunque, il DDL Calderoli non motiva mai perché spostare questi poteri dallo Stato alle regioni potrebbe migliorare la situazione per i cittadini italiani, e come le stesse regioni potrebbero far fronte ai nuovi poteri, del tutto simili a quelli di uno stato sovrano. Efficienza vuol dire che con le stesse risorse le regioni sarebbero in grado di produrre di più dello Stato, non significa che produce di più chi ha più risorse. E non c’è molta evidenza al riguardo.

Le conseguenze per il Mezzogiorno

Ipotizziamo che le regioni del Nord chiedano l’autonomia in tutte le 23 materie previste. Esse quindi potranno trattenere gran parte o tutte le entrate fiscali e, come avviene già oggi nelle regioni a statuto speciale, potranno garantire stipendi più alti ai propri lavoratori o favorire ancora di più le imprese, o migliorare ulteriormente i servizi sanitari. Oggi nelle regioni a statuto speciale la spesa pro-capite per i propri cittadini è di 7.096 euro, contro i 3.688 delle altre regioni.

Per converso, ipotizziamo che nessuna delle regioni meridionali chieda l’autonomia. Non avendo sufficienti entrate fiscali proprie, continueranno a chiede il sostegno dello Stato, per garantire i servizi essenziali o altro. Però lo Stato potrà contare solo sulle entrate fiscali delle regioni meno ricche e si ridurrà anche la propria capacità d’indebitamento. Tra l’altro, il processo di riduzione del divario nei servizi sanitari tra regioni s’interromperebbe.

I cittadini meridionali, attratti da opportunità di lavoro e servizi migliori, salari più alti avranno ancora di più l’incentivo a trasferirsi al Nord, per lavorare, studiare o curarsi.

Il Meridione perderebbe attrattiva anche come mercato di sbocco delle merci prodotte al Nord, perché si ridurrebbe la capacità di spesa delle regioni meridionali. Se si considerano gli effetti dell’ulteriore perdita di capitale umano che subirà il Meridione, è facile prevedere le conseguenze di questo DDL sull’ulteriore allargamento del divario Nord-Sud. È prevedibile anche che una ulteriore divaricazione tra regioni più ricche e regioni più povere creerà tensioni tra i cittadini del Sud e del Nord, ed andrà a lacerare l’unità nazionale.

Le conseguenze per l’Italia

La conseguenza più devastante del DDL Calderoli non è però l’allargamento del divario Nord-Sud, ma il fatto che lo Stato perde gran parte della propria ragion d’essere, ovvero la capacità d’imporre tasse e di spendere. La politica economica nazionale e la legge di bilancio diventerebbero poco rilevanti per la vita dei cittadini.

Se la burocrazia statale perde potere, tutte le rimanenti quindici regioni a statuto ordinario potranno trasformarsi in piccoli stati sovrani, ciascuno con leggi, funzioni e risorse differenziate. La complessità amministrativa crescerebbe esponenzialmente, questa volta su tutto il territorio nazionale, con il rischio di rendere la vita a imprese e cittadini assai difficile, dovendo confrontarsi con 20 legislazioni regionali differenti sulle stesse funzioni. Esattamente l’opposto di quanto chiede l’Unione Europea per l’erogazione dei fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Un governo responsabile non farebbe nulla per peggiorare la situazione burocratica del Paese, almeno fino al 2026, entro cui bisogna realizzare i progetti del PNRR.

Quello che è più preoccupante è che il DDL aumenterà la possibilità di default dello Stato italiano. Al riguardo, si può dire che il DDL Calderoli si configura come un atto eversivo. Il difficile equilibrio tra elevato debito pubblico e capacita’ di vendere il debito sui mercati si basa sulla fiducia che lo Stato, con le sue entrate fiscali, sarà in grado di ripagare il debito. E’ utile ricordare che il governo Berlusconi è stato costretto a dimettersi proprio per la necessità di ristabilire questa fiducia. L’autonomia differenziata mina dalle fondamenta questa fiducia, perché toglie al governo centrale gran parte del potere reale di coprire eventuali buchi di bilancio con nuove tasse o tagli di spese, essendo questi poteri in gran parte trasferiti alle regioni. D’altra parte, riproporre, come si fa adesso con le regioni a statuto speciale, un meccanismo con cui lo Stato prima attribuisce generose compartecipazioni ai tributi alle regioni per poi toglierle in parte per finalità di solidarietà nazionale o per ripagare il debito, appare quanto meno singolare. Al riguardo, non può essere certamente il presidenzialismo il contro-bilanciamento all’autonomia differenziata.

Questa legge è frutto della vittoria del centro-destra, ma anche degli errori del centro-sinistra. Infatti, è stato un governo di centrosinistra che nel 2001, con l’illusione di sterilizzare le spinte federaliste del Nord, che ha attuato la riforma del Titolo V della Costituzione. Inoltre, fu un governo di centrosinistra che nel 2018 sottoscrisse le pre-intese con Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna per il trasferimento di funzioni alle regioni,  ed in entrambi i casi non evitò al centrosinistra di perdere le elezioni.

Tra l’altro, il DDL dà il via libera alla realizzazione delle pre-intese con le tre regioni per la realizzazione dell’autonomia differenziata.

L’autonomia differenziata nasce da spinte secessioniste delle regioni ricche, ma viene giustificata con la necessità di dare una scossa al Mezzogiorno, che sarebbe costretto ad usare in modo più efficiente le risorse. Ma il principio di Pareto sostiene che una nazione sta meglio quando una parte dei propri cittadini migliora la propria condizione senza peggiorare quella degli altri. L’autonomia differenziata di Calderoli determinerà il miglioramento della condizione di alcuni a discapito di altri.

Non c’è dubbio che le classi dirigenti meridionali, con il loro ascarismo e gattopardismo, abbiano alimentato questo disegno. Non c’è dubbio che la sinistra quando è stata al governo nazionale o alla guida delle regioni meridionali non ha saputo mettere in campo un programma di sviluppo per il Mezzogiorno in grado di ridurre il divario. Ma il DDL Calderoli, più che contro il Meridione, si configura come un atto eversivo contro la Nazione, contro i governi nazionali, che non sarebbero più in grado di fare politiche nazionali,

Nel breve periodo le regioni del Nord trarranno vantaggi dall’autonomia differenziata. Ma siamo sicuri che, in una dimensione globalizzata, ridurre il potere del governo di fare politiche globali e nazionali sia vantaggioso per le stesse regioni del Nord? Comunque, questo DDL mina alla base la possibilità di ridurre il divario tra Mezzogiorno e Centro-Nord, acuirà le tensioni ed aumenterà la povertà nel Mezzogiorno. Per non distruggere anche il sogno di costruire un’Italia e un Mezzogiorno migliori di come sono oggi occorre reagire, essere capaci di fare proposte alternative, su cui creare una mobilitazione popolare. Qui le strade possono essere due.

Riproporre, come ha fatto il presidente Giorgia Meloni nel 2014, anche provocatoriamente, di abolire le regioni, oppure, più realisticamente, fare una controproposta in cui una qualche forma di autonomia viene garantita alle regioni, salvaguardando però le competenze e il ruolo dello Stato nella realizzazione degli obiettivi macroeconomici, tra cui quella della riduzione del divario tra Mezzogiorno e Centro-Nord, e la sua capacità di ripagare il debito pubblico. Il che comporta l’impossibilità per le regioni di trattenere interamente o quasi le tasse nei propri territori. Questo però è possibile solo se si riuscirà ad impedire al DDL Calderoli di andare avanti.

(Courtesy OpenCalabria)

Damiano Bruno Silipo è professore di Banking and Finance all’Università della Calabria. Ha conseguito il Ph.D. in Economics alla University of York (UK) ed ha insegnato in varie università straniere, tra cui Queen Mary University of London e la University of Connecticut (USA). I suoi principali interessi di ricerca riguardano l’economia dell’innovazione, il comportamento bancario e lo sviluppo territoriale.

 


Il disegno di legge Calderoli sull’autonomia differenziata, approvato il 2 febbraio scorso, è l’atto più importante dall’avvento della Repubblica, che cambierà l’Italia come la conosciamo oggi ed avrà conseguenze decisive sul futuro della nazione e sulla vita dei cittadini. Mette in discussione la stessa natura dello Stato. Eppure è passato quasi in silenzio, come se fosse una qualsiasi legge: scarsissimo dibattito e scarsa opposizione nel Paese. Certamente ha pesato la scarsa consapevolezza degli italiani, che presi dalle difficoltà quotidiane, non hanno percepito la portata e le conseguenze di questo provvedimento, Ma ha contribuito anche la modalità di approvazione del DDL, che ha esautorato il parlamento dall’intero processo. Che cosa cambia con il DDL Calderoli? Si potrebbe dire che non cambia nulla per cambiare tutto. Non cambia nulla, nel senso che tutto viene realizzato a legislazione vigente. Cambia tutto, perché le conseguenze nel lungo periodo saranno la fine dello stato unitario come lo conosciamo oggi. (OpenCalabria)

SUD, DALLA CHIESA UN GRIDO DI ALLARME:
AUTONOMIA È CONTRO GIUSTIZIA SOCIALE

di MIMMO NUNNARI – Quel che magari era logico attendersi con chiarezza, i toni giusti e senza strabismi, dalla politica, dal sindacato e dagli enti locali meridionali, in tema di Autonomia differenziata, arriva invece dalla Chiesa. Con un no, chiaro e forte dei vescovi al progetto voluto dalla Lega e portato avanti – con martellante determinazione – dal ministro per gli Affari Regionali Roberto Calderoli, un politico di lungo corso noto come fabbricatore di milioni di emendamenti che in passato hanno tenuto in ostaggio Parlamento e democrazia. Altresì famoso per le magliette anti Islam indossate da Bruno Vespa a Porta a porta e per l’insulto indecoroso contro il ministro Cecile Kyenge del Governo Letta, paragonata ad un “orango”.

Senza dimenticare le insofferenze contro Napoli, e oggi dimenticate: “Napoli? Una fogna che va bonificata. Infestata da topi, da eliminare, con qualsiasi strumento…”.  Con questa predisposizione d’animo il dentista prestato alla politica ha scritto la riforma con cui si tenta di scavare un solco ancora più profondo tra Nord e Sud del Paese. Sul filo di lana del traguardo – anche se l’iter legislativo appare disseminato di ostacoli, che in qualche caso provengono dalla stessa maggioranza governativa –  s’intravede però un’ancora di salvataggio, con il progetto di legge d’iniziativa popolare – primo firmatario il costituzionalista Massimo Villone – che mira ad arginare gli effetti della riforma già approvata dal governo Meloni e approdata all’esame del Parlamento.

In appoggio all’iniziativa, sostenuta in tutto il Paese, giorni fa c’è stata una manifestazione anche in Calabria, a Lamezia Terme: “È l’ultimo tentativo – ha scritto Agazio Loiero ex presidente della Giunta regionale calabrese e già ministro per i rapporti col Parlamento –  per garantire l’unità della Repubblica e l’uguaglianza dei diritti nell’Intero Paese”. Ma l’affondo più forte, contro il progetto Calderoli, nella fase più delicata, e con le opposizioni che hanno posizioni ambigue, arriva con l’avvertimento – lanciato da tempo e adesso riaffermato – della Chiesa italiana: “Se si fa [la riforma] il Sud finirà dissanguato”.

La sintesi, così netta e inequivoca, è dell’arcivescovo di Benevento monsignor Felice Accrocca, titolare della diocesi campana che mesi fa ospitò un meeting dei presuli italiani sulla questione delle aree interne, presente il presidente Cei Matteo Maria Zuppi, il quale nelle settimane scorse è tornato sull’argomento: “Ho sentito la preoccupazione di molti vescovi del Meridione di fronte al progetto delle autonomie, tema molto più serio e profondo di una zuffa politica. Dobbiamo guardare al futuro davvero, e quindi anche alle differenti posizioni, sperando di avere a cuore la stessa cosa; cioè, che le diversità siano una ricchezza e non una divisione, perché solo pensandoci insieme, e nella solidarietà, troviamo le soluzioni per tutti quanti”.  E ancora, alla vigilia della Pasqua, il vicepresidente Cei e vescovo di Cassano monsignor Francesco Savino, è stato ancora più esplicito, rivolgendosi alle donne e agli uomini della Calabria: “Vi chiedo di schierarvi aspramente, contro quelle scelte che intendono tradire la giustizia sociale e l’equità. Mi riferisco alla tanto dibattuta “secessione dei ricchi”, o autonomia differenziata, che di fatto recinta i sogni, le aspettative e le contaminazioni sociali, culturali, economiche ed umane per cui qualcuno, prima di noi, ha dato la vita, ha lasciato terra ed affetti, ha sacrificato l’appartenenza, per il riscatto. Stiamo mettendo a rischio la nostra economia, il nostro lavoro, l’istruzione, la tutela della nostra salute. Stiamo mettendo a rischio la sacralità della Costituzione e determinando una più ampia forbice di disuguaglianza: la stessa sacralità del Vangelo”.

Perentorio anche monsignor Fortunato Morrone, arcivescovo metropolita di Reggio e presidente della Cec: “Non possiamo pensare a un’Italia a due, tre o quattro velocità. Come è stato detto in passato dai vescovi italiani, con riferimento all’unità nazionale, ed all’urgenza di solidarietà, o ci salviamo insieme, o non si salva nessuno”.

Posizione chiare, nette, della Chiesa cattolica italiana, già espresse peraltro nella dichiarazione finale dell’incontro di Benevento: “Qualora entrasse in vigore l’Autonomia differenziata, ciò non farebbe altro che accrescere le diseguaglianze nel Paese”. Vedremo come andrà a finire, ma non c’è dubbio che, nel flusso stanco di messaggi incolori che ci giungono dalla politica di destra e sinistra e degli slogan lanciati da alcuni amministratori del Nord come il sindaco di Milano Beppe Sala (“Date i soldi a chi li sa investire”) la giusta direzione è rimasta solo quella indicata dalla Chiesa, che rifiuta convinzione e chiarezza un progetto di riforma che mira a costruire un Paese diverso e con più differenze di quante ce ne siano già adesso. (mn)

PASSA IL DISEGNO DI LEGGE DI CALDEROLI
MA QUESTA ‘AUTONOMIA’ DIVIDERÀ L’ITALIA

Il disegno di legge sull’autonomia differenziata (vecchio pallino di Zaia, Fontana e Bonaccini, quest’ultimo oggi dissidente) firmato dal ministro leghista Roberto Calderoli ha avuto l’approvazione del Consiglio dei Ministri. È un primo step su un provvedimento che già divide l’Italia a partire dai principi che lo ispirano. Il rischio maggiore riguarda la continuità del criterio della spesa storica, in attesa dei provvedimenti legislativi che dovrebbero equilibrare (e uniformare per tutti gli italiani, quelli del Nord, del centro e del Sud e delle Isole) i livelli essenziali di prestazione. Si registra già un coro di proteste e mugugni da ogni parte d’Italia, a partire dai 425 sindaci della rete Recovery Sud: ma il Governo evidentemente non s’accorge del sentiment del Paese e nessuno, evidentemente, si chiede il perché di questa protesta che non è di ieri, ma sta accompagnando l’orrendo (pur se modificato) progetto di Calderoli. Sarà anche questa un’altra porcata? Il dubbio,  che però non sfiora l’establishment governativo, ci sta tutto. (s)

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di PIETRO MASSIMO BUSETTA – Una lunga introduzione che fa il panegirico del valore di un Paese unito, di diritti di cittadinanza uguali per tutti, dell’esigenza che tutte le parti contribuiscano al progresso nella premessa del disegno di legge sull’autonomia.

Quegli stessi  argomenti che poi, con con notevole capacità di affabulazione, vengono riproposti da Calderoli nella conferenza stampa fatta con Raffaele Fitto e Maria Elisabetta Alberti Casellati, nella quale parla della locomotiva che tira e di un’altra dietro che deve spingere nella stessa direzione.

E proprio in tale dichiarazione di principio vi è la subdola strategia che propone da un lato l’individuazione dei LEP, livelli essenziali delle prestazioni, di livelli uniformi come sarebbe corretto non se ne parla, che dopo essere stati individuati ovviamente non potranno trovare attuazione, poiché le risorse questo Paese non le ha per realizzarli; dall’altro invece si evidenzia la statuizione del diritto a trattenere il residuo fiscale ed andare a diverse velocità senza tener conto di quello che è accaduto perlomeno dalla fine della seconda guerra mondiale in poi. Perché deve essere chiaro a tutti lo sviluppo del Nord non è merito dei soli veneti e lombardi ma è stato fatto con lo sforzo di tutti. Il miracolo economico si è compiuto con il sudore dell’exodus dei meridionali. Ed il mercato del Sud ha consentito una riserva indiana per le aziende del Nord, mentre il piano Marshall è stato usato prevalentemente per rimettere in moto la cosiddetta locomotiva.

Il testo dimostra tutta la volontà di superare il Parlamento nazionale con scadenze catenaccio che consentano alla Presidenza del Consiglio,  con accordi con le singole regioni, di andare avanti indipendentemente da qualunque discussione e decisione.

Traspare in modo evidente l’esigenza di portare lo  scalpo alle prossime elezioni lombarde per cercare di avere quel consenso in pericolo, in conseguenza della pessima gestione del Covid che ha portato anche alle dimissioni dell’assessore Giulio Gallera e alla nomina di Letizia Moratti.

E poi quella di congelare la spesa storica. Infatti in molte parti della normativa del disegno di legge proposto si fa riferimento al fatto che le competenze dello Stato vengono trasferite senza aumento di costi. Ad un occhio superficiale sembrerebbe questo un modo corretto di procedere e dà alla Lega la possibilità di dichiarare che nessuno perderà nulla.

Evidentemente dimenticando che ogni anno si consuma uno scippo di 60 miliardi dal Nord al Sud, se si accetta il principio che la distribuzione della spesa sia fatta con equità, dando al bambino che nasce a Reggio Calabria la stessa quantità di risorse del bambino che nasce a Reggio Emilia.

Ma oggi non è cosi e la autonomia differenziata fa sì che questo meccanismo, che finora è stato adottato e che ha portato ad un furto all’italiana, con l’applicazione sbandierata subdolamente della modifica del titolo V, l’errore che con la complicità del PD ha aperto una breccia per consentire tutto quello che sta accadendo, diventi legittimo. D’altra parte come si possono avere uguali diritti di cittadinanza se le risorse a disposizione non lo consentono? Altrimenti, se fosse stato possibile, probabilmente già sarebbero stati realizzati! Penso all’infrastrutturazione, alla diversa sanità, al diritto all’istruzione, settori che registrano differenze importanti.

Nascondersi dietro l’attuazione della Costituzione, quando è rimasta totalmente inattuata fin dal primo articolo che recita  “l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro” e quando oltre tre milioni di meridionali non ne hanno alcun diritto, e ha consentito che per cercare una occupazione 100.000 persone all’anno da decenni sono costrette ad emigrare, è da favola bella per spiriti candidi.

La dizione del costituzionalista Michele Ainis di una autonomia zoppa e barocca rende bene la mala fede che sta dietro al disegno. Perché non è incompetenza, tutto si può dire a Calderoli tranne che sia incompetente, ma perfetta mala fede. Così come con una malafede evidente sono stati condotti i colloqui con i Presidenti delle  Regioni meridionali, alcuni dei quali, come il siciliano Schifani,  hanno fatto finta di non capire per non andare in rotta di collisione con il partito di appartenenza, altri come Occhiuto hanno precisato i propri distinguo.

I due Presidenti di Campania e Puglia hanno dichiarato la loro contrarietà, anche se le dichiarazioni di Calderoli parlavano di adesione, immediatamente smentita. Non condivisione del  metodo scelto, dell’accelerazione sospetta, nonché del merito per cui viene definito il disegno  “irricevibile”.

D’altra parte la Lega secessionista ed eversiva  pensava, visto che il Mezzogirono spesso è stato un corpo morto che non ha dato nessun segnale di reazione, che poteva consentirsi qualunque cosa. In altri Paesi dell’Unione ci sarebbero cortei e barricate per un disegno di legge simile. In Francia probabilmente brucerebbero i palazzi del potere.

Calderoli è il nostro Putin, come il secondo ha occupato la Crimea, senza reazione alcuna, ed ha pensato di arrivare a Kiev, così il primo dopo aver visto come si era potuto gestire la conferenza delle Regioni ha pensato che potesse rendere legittimo lo scippo annuale e che si potesse passare dall’individuo soggetto di diritto al territorio.

Forse come Putin non si aspettava la reazione che sta montando, ma sappia che avrà altre e numerose sorprese e che il cammino dell’autonomia non sarà né veloce né semplice. Stupisce che  un uomo così accorto non abbia valutato le conseguenze nefaste sul Paese di un disegno di legge che Adriano Giannola, Presidente della Svimez, ha definito eversivo, e che molti costituzionalisti, in testa Massimo Villone, ritengono devastante per il Paese.

Invece di pensare a mettere a regime il Sud, una forza politica naif, che è riuscita a mettere le mani nei gangli vitali dello Stato, grazie al gioco di maggioranze, con la complicità colpevole del PD, oggi ufficialmente pentito, sta portando il Paese a spaccarsi. Cosa fare è difficile a dirsi se anche i Fitto e le Casellati tengono il sacco ad un Calderoli, “genio” del pastrocchio, meglio di un disegno “zoppo e barocco”!

L’aspetto positivo che sta avendo tale accelerazione è la spinta ad organizzarsi delle forze meridionaliste, che finalmente si sono rese conto che devono abbandonare presenzialismi e protagonismi per trovare un progetto condiviso per contrapporsi alla Lega ladrona. Se avverrà dovremo ringraziare l’insipienza di Calderoli. (pmb)

(Courtesy Il Quotidiano del Sud/L’Altravoce dell’Italia diretto da Roberto Napoletano)

CALDEROLI HA PERSO LA SUA BATTAGLIA
MA ATTENTI ALLE INSIDIE DELL’AUTONOMIA

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – «Non ho mai inteso dividere il Paese, né favorire Regioni che già viaggiano a velocità diversa rispetto alle aree più deboli dell’Italia, il mio auspicio è che tutti aumentino la velocità: il Nord che con l’autonomia può accelerare e un Sud che finalmente si avvicini alla velocità del Nord. In questo modo cresce tutto il Paese».  Queste ultime dichiarazioni di Calderoli ovviamente non possono che essere condivise. E come dire che vogliamo bene alla mamma, o che auspichiamo la pace nel mondo. Chi non è d’accordo che il Sud si avvicini alla velocità del Nord? E chi non è d’accordo sull’affermazione che in tal  modo cresce tutto il Paese?

È la prima parte che è contestabile, quella in cui dice che non non ha mai inteso dividere il il Paese. Magari non è stata la Sua intenzione, ma il  decreto sull’autonomia differenziata, poi retrocesso a bozza, ma ripresentato più o meno uguale al Governo non va nella direzione auspicata.

Non è vero che  non favorisce le Regioni che già viaggiano a velocità diversa rispetto alle aree più deboli dell’Italia. Perché statuisce che le risorse vengano distribuite in base alla spesa storica, il che vuol dire che, a parità di popolazione tra Reggio Emilia e Reggio Calabria, anzi con Reggio Calabria un po’ più popolata, rimarrà la differenza, per cui alla prima verranno date risorse per gestire 60 asili nido e alla seconda per gestirne tre.

In realtà Calderoli la sua battaglia l’ha già persa, perché un’operazione come quella che voleva attuare era possibile solo se fosse stata fatta velocissimamente e nel silenzio dei media, bypassando il Parlamento.

Per fortuna l’operazione di stoppaggio è riuscita grazie alla grande mobilitazione di molti intellettuali meridionali, del Quotidiano del Sud, di alcuni attenti giornalisti, che hanno aperto gli occhi a Presidenti di Regioni e a Sindaci, facendo capire quale posta é in gioco con l’autonomia differenziata.

Non ha potuto ripetere l’operazione  del federalismo fiscale del 2009, quando si decise di attribuire le risorse  per sanità, scuola e trasporto pubblico locale in base alla spesa storica. Quella volta non vi fu la mobilitazione di adesso e, grazie anche al contributo “scellerato” del PD, si cominciò quel viaggio che ci ha portato a una perdita per il Sud di 60 miliardi l’anno.

Anzi come disse all’audizione in Commissione Finanze l’allora ministro per gli affari regionali Francesco Boccia erano allora 61,2 miliardi.

L’insistenza di Veneto e Lombardia, ma anche di Emilia-Romagna con l’aggiunta recente della Toscana, per l’autonomia differenziata è dovuta ad un motivo di sopravvivenza.

Finora l’attribuzione delle risorse sulla base della spesa storica è stata assolutamente anticostituzionale, e come affermava recentemente il direttore del Quotidiano del Sud / L’Altravoce dell’Italia Roberto Napoletano in un suo editoriale: «Si ritiene di poter fare strame dei diritti di cittadinanza  di 20 milioni di persone nonostante i solenni, ripetuti richiami del capo dello Stato, Sergio Mattarella».

Ma da quando la situazione è diventata più chiara la partita è diventata pericolosa per il Nord, perché il rischio di avvicinarsi all’idea di attuare una spesa pro capite analoga per tutte le parti del Paese, così come prescrive la Costituzione, metterebbe in crisi le realtà settentrionali che hanno un welfare, una scuola, una sanità, una infrastrutturazione, basata sulla spesa storica.

La diminuzione di risorse per consentire uguali diritti di cittadinanza anche al Sud, in costanza di crescita con incrementi di zero virgola qualcosa porterebbe ad un rivolgimento difficilmente gestibile.

Perché puoi anche non dare alcuni servizi, sperando che non vi siano particolari rimostranze visto la che la gente è abituata a non averli, ma è complessissimo togliere a chi è stato abituato ad avere servizi sociali di buon livello senza sconvolgimenti popolari.

Per questo fare a meno  delle autonomie differenziate, che tengano le risorse prodotte da ciascuna realtà senza conferirne parte per le esigenze dello Stato nazionale, diventa estremamente complicato. Probabilmente l’autonomia così come è stata concepita, malgrado la forza e la determinazione di Calderoli,  non passerà perché prima si vorrà la determinazione dei Lep.

Ma fatta la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, che dovrebbero essere in realtà i livelli uniformi, passare alla seconda fase cioè quella dell’attuazione di essi non sarà semplice e richiederà una massa di risorse che il nostro Paese non ha disposizione.  

Ed allora quello che accadrà e che resteremo nell’incostituzionalità dei diversi diritti di cittadinanza. Quindi non passerà la legge sulle autonomie differenziate, magari saranno individuati i Lep, ma pensare che possano essere in tempi brevi attuati è cosa estremamente complicata, perché presuppone risorse che non sono disponibili.

Soprattutto per la spesa corrente, perché è possibile anche che con il Pnrr alcune infrastrutture relative alla scuola, alla sanità, alle strade autostrade, alle  ferrovie possano essere anche fatte,  ma che poi si abbiano risorse sufficienti per poter far andare avanti la macchina è cosa tutta da vedere.

Per questo il nostro Paese non può che puntare ad una crescita sostenuta del suo Pil, cosa che potrà ottenersi soltanto mettendo a regime il Mezzogiorno, attraendo investimenti dall’esterno dell’area, puntando alla piattaforma logistica naturale finora trascurata, avendo un piano per uno sviluppo turistico che faccia i conti con numeri consistenti.

In realtà quello che serve è che il Paese si concentri finalmente su questa parte, che abbia programmi, obiettivi, controlli dell’attuazione di questi, verifiche in itinere.

Cioè un progetto vero che venga tenuto in considerazione ogni qualvolta si prenda una decisione importante, evitando di andare in controtendenza rispetto ad un obiettivo come è accaduto con la Intel a Verona.

Se invece quando si tratta di raggiungere obiettivi strutturali,  come nel caso degli asili nido messi a bando, o quando si tratta di gestire leggi pur con obiettivi importanti,  come le Zes, si lascia che si trasformino in strumenti per raccogliere consenso per una politica estrattiva, allora è evidente che tutto rimarrà come è stato per decenni, e magari si darà la responsabilità del fallimento alle norme, che saranno cambiate con altre, ma che in realtà non sono state mai applicate. Ricominciando il rito da zero che porta all’eterno fallimento.

(pmb)

QUELLA MALIZIOSA VOGLIA DI AUTONOMIA
CHE FA ESPLODERE IL DIVARIO NORD-SUD

di GIUSY STAROPOLI CALAFATI – Se l’autonomia è una bella cosa, non credo valga lo stesso quando questa diventa differenziata. Almeno non per il Sud rispetto al Nord, e in Italia. Dove parlare di secessione o autonomia differenziata, il principio è lo stesso. E non per caso coincide con quello della prova dell’addizione, secondo la quale pur cambiando l’ordine degli addendi, il risultato con cambia.

Il ministro Calderoli arriva in Calabria a parlare di autonomia differenziata, e si presenta in perfetta uniforme. E quel che più inquieta non è tanto la sua interlocuzione, ben ponderata a Roma per essere restituita a noi senza sbavature, ben istruita, quasi quasi accattivante, ma la divisa che porta. Quella cravatta verde color Padania con la quale a noi del Sud vorrebbero mettere un cappio al collo, e far finire la storia.

Da qui la meraviglia del come tanti meridionali, possano far da cornice all’avvio della questione “Sud” del nuovo millennio. Altro che terra dei padri, piuttosto covo di figli ingrati. Ma davvero noi calabresi possiamo credere a chi con tanto di propaganda vuol farci intendere che masturbarsi è più piacevole che fare l’amore? È questa l’autonomia? Fare da soli anche le cose che andrebbero fatte in due?

Ricordo qui le parole di Mario Draghi, ancora presidente del consiglio, quando lo scorso anno, a Napoli, nel cuore della città partenopea, con consapevolezza e onor di Patria, intese ricordare che c’è ancora una questione meridionale da risolvere che il paese si trascina da oltre 150 anni, per via della quale rimane ancora in crisi l’equità nazionale. Ed è la stessa questione che, oggi, con l’avvallo di molti dei nostri, Calderoli intende intensificare con la genialata-porcata di un’autonomia che altro non sarebbe che la messa in pratica di quel vecchio detto senza speranza secondo cui: i sordi fannu sordi e i peducchj fannu peducchj.

E non si rende necessario andare tanto a fondo nella questione, basta pensare ai Bronzi di Riace, e a chi si adopera a lanciare un’immagine desertificata della Magna Grecia pur di deviare verso il Nord i flussi turistici che si addensano in Calabria da ogni parete del mondo; o al Porto di Gioia Tauro per il quale la propaganda anziché ricordalo e promuoverlo come uno degli scali più strategici del Mediterraneo, lo consolida come il sito ufficiale di smistamento della cocaina mondiale. 

Essere autonomi consente di non dover dare conto a nessuno, è vero, ma se è autonomo un povero esso muore di fame, nulla aveva e nulla avrà: Se invece lo è un ricco, mangia per lui e per il povero. E lo sanno bene il Veneto, la Lombardia… 

La Costituzione italiana però, i cui padri non erano certamente quattro sciocchi politici rappresentanti di partiti di cani e di porci, ma uomini lungimiranti e di valore, è ben chiara. E non friziona il paese in 21 regioni, ma parla all’Italia. Tutta quanta è.

La Calabria, e vi prego tentate almeno di estrarre verità dalle vostre memorie, ha rimesso il suo sangue per l’unità del paese, ed è anche solo per questo che a nessuno deve essere consentito di saziarsi ancora delle poche gocce rimastele con cui sopravvivono i nostri figli. Di cui, da allora, si nutrono le generazioni. Restati e spatriati.

Potrete, cari signori delle bische politiche italiane, avere anche il consenso dei politici locali, che ovviamente non sarebbero più nostri rappresentati ma vostri complici, ma mai la nostra adesione ad un’Italia frantumata e derelitta. Io mi dissocio. Nascere in Calabria non si sceglie, essere calabresi sì. E la mia Calabria è differente. La mia Italia pure. 

Nei giorni scorsi il nostro lago Ampollino, nella Sila, dove pare vi sia, che lo vogliate o no, l’aria più pura d’Italia, è stato quasi svuotato. Nessuno parla della questione, eppure la gestione delle acque vende l’energia che ne ricava proprio al grande Nord. E nei nostri paesi di montagna, a Natale, è mancata addirittura l’acqua.

È questa l’autonomia di cui vorreste farci andare fieri?

Ministro Calderoli, la prossima volta, in Calabria, venga pure con la cravatta rossa, almeno sapremo sin da subito che è il nostro sangue che cercate per rendere più verde il Nord del paese.

Ma è al Presidente Occhiuto che la domanda sorge spontanea: “Presidente, cosa intendeva esattamente quando affermò di voler fare vedere all’Italia la Calabria che l’Italia non si aspetta?”

Certamente in questi giorni stiamo vedendo una Calabria che i calabresi non si sarebbero mai aspettati. E sì, perché dopo il palaghiaccio alla stazione centrale di Milano, realizzato a nostre spese, accogliamo festanti Calderoli che fa il suo ingresso in Cittadella regionale come fosse il salvatore della Patria. Col cazzo che ci salveranno mai questi del Nord! Occhi aperti, schiena dritta, pancia in dentro e petto in fuori, Calabria.

Sappiamo tutti che nella scuola italiana si studia Alessandro Manzoni nato a Milano, mentre invece resiste l’ingresso di Corrado Alvaro, nato a San Luca. A Calderoli potrebbe sembrare normale questa struttura, magari anche giusta, non sa però che Alvaro ha fatto la storia della letteratura e anche della politica, mi sia consentito, del nostro paese. A noi infatti, normale non sembra per niente. Ma state a vedere che sulla base dell’autonomia ci verrà detto: studiate chi cazzo ci pare! Mentre l’obbligo del Manzoni resterà a vita. 

Ma come è possibile sbraitare di autonomia come soluzione possibile all’allineamento del paese da Nord a Sud, sapendo che le prestazioni delle regioni più fragili non potranno mai essere uguali a quelle delle regioni più ricche? La lotta si fa pari non impari. 

Il paese con l’autonomia differenziata non potrà mai correre tutto alla stessa velocità, è una questione naturale. E chi insite, mente. La verità è che la Calabria resterà sempre più povera e la Lombardia sempre più ricca. Dai primi del ‘900 quando i meridionali partivano, agli anni 70 quando i meridionali partivano, al 2000 quando i meridionali partono ancora, che cosa è cambiato al Sud? Che nel 2023 partiranno il doppio. 

La Calabria, e qui chiudo, perché tutti lo sanno, i calabresi per primi, è così piccola e così fragile che da sola non potrà fare altro che avviare una campagna di liquidazione totale di tutte le sue cose. In fondo in tempo di saldi fuori dalle porte vi sono sempre lunghissime file. E noi vogliamo che arrivi fino a qui più gente possibile?

Grazie Italia, ché questa fine qui davvero non ce l’aspettavamo. (gsc)