È stata inaugurata, al Tribunale di Lamezia Terme, la mostra Sub Tutela Dei dedicata a Rosario Livatino, primo magistrato beato nella storia della Chiesa Cattolica e visitabile fino al 1° marzo.
L’esposizione, allestita su impulso della Diocesi di Lamezia Terme, dell’Azione Cattolica e dell’Ordine degli Avvocati di Lamezia Terme, in collaborazione con l’Associazione Do Well, è stata realizzata nel 2022 per il Meeting di Rimini da Libera Associazione Forense, Centro Studi Rosario Livatino e Centro Culturale Il Sentiero, scandaglia attentamente ogni aspetto della formazione, dell’operato professionale e del costante accostamento alla fede.
L’esposizione si compone di pannelli dedicati alla formazione ed al contesto in cui il giudice Livatino è vissuto (un contesto connotato dall’imperversare di una diffusa e feroce criminalità a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90), al suo lavoro come magistrato presso la Procura di Agrigento prima e presso il Tribunale penale della medesima città poi, al suo martirio – ampio spazio è dedicato anche alla figura di Piero Nava, il testimone che con il suo insostituibile contributo consentì alla magistratura inquirente la rapida individuazione degli autori materiali dell’omicidio ed in seguito dei mandanti. Ed infine alla beatificazione e al lascito che Livatino consegna a tutti noi con la sua testimonianza di vita.
«La disfatta dello Stato italiano l’abbiamo vista ieri mattina in fondo ad una valle senza alberi. (…) Era un giudice, uno di quei giudici siciliani che aveva onore e non conosceva paura. E adesso eccolo qui, disteso tra gli arbusti, gli occhi sbarrati, i capelli neri sporchi di terra, la faccia insanguinata. Ha scelto lui di morire quaggiù, rotolando nella scarpata, cercando la fuga con la disperazione dell’uomo braccato e ferito», ha dichiarato la presidente vicaria della Corte di Appello di Catanzaro, Gabriella Reillo, prendendo in prestito le parole del primo paragrafo dell’articolo scritto dal cronista Attilio Bolzoni, all’indomani dell’uccisione del giudice Rosario Livatino, per i suoi saluti istituzionali nel convegno Fede e Giustizia, che ha inaugurato l’esposizione.
«Quei macellai che l’hanno ammazzato gli sono corsi dietro, hanno giocato al tiro al bersaglio. Il giudice è morto al rallentatore, inseguito per almeno tre o quattro minuti, finito sul letto del torrente in secca con una scarica di pallettoni. Gli hanno sparato in bocca. La mafia siciliana anche questa volta non ha colpito a caso. Rosario Livatino non solo era un magistrato che conosceva i segreti dei clan, era soprattutto un magistrato che da dieci anni faceva il suo dovere. La morte di un giudice incorruttibile è stata segnata al km 10 della statale Caltanissetta-Agrigento, una veloce che somiglia ad un otto volante, incroci ad alto rischio, un mazzo di fiori sempre freschi dietro ogni curva», ha concluso.
Della figura di Livatino in quanto magistrato “giusto”, e non “giustiziere”, ha parlato il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Catanzaro, dott. Giuseppe Lucantonio, ricordando quella convinzione sempre perseguita secondo cui «la redistribuzione della materia illecita a chi è stata ingiustamente sottratta deve essere un dovere dello Stato, della magistratura e delle Istituzioni».
Il convegno ha dato il via a quattro giorni di eventi dedicati a conoscere ed esplorare l’esperienza umana, professionale e spirituale del magistrato ucciso dalla mafia.
Dopo i saluti istituzionali della Presidente Reillo e del Procuratore Lucantonio, sono intervenuti il Presidente del Tribunale dott. Giovanni Garofalo, il Procuratore della Repubblica dott. Salvatore Curcio, il Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati dott. Giuseppe Pandolfo e il Vescovo della Diocesi di Lamezia Terme Mons. Serafino Parisi. L’incontro, alla presenza delle autorità civili e militari e ad una nutrita rappresentanza di studenti, è stato moderato dal dott. Luca Torcasio, presidente diocesano dell’Azione Cattolica.
«Una testimonianza di fede e giustizia quella del giovane Livatino che ha molto da dire ancora oggi a tutti noi, e in particolare a chi lavora nel mondo del diritto. Il suo è stato un magistero polare – ha dichiarato il presidente Pandolfo –. I sentimenti di carità e compassione che guidavano le sue azioni e persino i suoi rapporti con indagati e pregiudicati dovrebbero essere alla base dei comportamenti umani e professionali adottati da ciascuno di noi».
Il Presidente del Tribunale Garofalo ha ripercorso la vita professionale del giudice fino alla sua uccisione violenta, «da solo e senza scorta sulla sua utilitaria», la medesima riservata ad altri servitori dello Stato (“anche Lamezia ebbe la sua vittima”), lui che apparteneva alla stessa generazione di giudici definiti “ragazzini”. Un uomo, Livatino, che ha trasformato l’ordinarietà della sua vita in un’esperienza di fede e testimonianza. Abbiamo fortemente voluto ospitare questa iniziativa, per affermare ancora di più che anche il tribunale rappresenta la città ed è al suo servizio.
La riflessione è ruotata intorno al tema dell’attualità della sua figura, offrendo un quadro esaustivo delle qualità umane e professionali. La sua esistenza immolata per il bene comune è l’esempio suggerito ai tanti giovani studenti presenti come colui che ha indicato la via per operare in totale onestà ed osservanza delle leggi e delle regole.
«Livatino è un modello di riferimento non soltanto per i magistrati, ma per tutti coloro che operano nel campo del diritto, per la coerenza tra la sua fede e il suo impegno di lavoro, e per l’attualità delle sue riflessioni – ha detto nel suo intervento il Procuratore Curcio –. Non appartiene alla città di Canicattì o Agrigento, ma è un patrimonio di tutti. Rappresenta quei valori e quei principi a cui tutti dobbiamo affidare le nostre scelte per dare un contributo concreto in termini di miglioramento alla nostra società».
«La sua storia, al di là della sua professione di magistrato – ha aggiunto – ci insegna l’importanza di perseguire determinati valori. Fu ucciso non solo perché magistrato integerrimo, irreprensibile e inavvicinabile ma in quanto testimone di una scelta di vita che sottraeva terreno e consensi alle organizzazioni malavitose di tipo mafioso. Ricordando le parole di Paolo Borsellino in occasione del trigesimo dei caduti nella strage di Capaci, con tutti loro abbiamo un debito d’onore che dobbiamo pagare gioiosamente continuando la loro opera, restituendo agli stessi il loro sacrificio e dimostrando a noi stessi che vivono ancora con il loro esempio».
Al Vescovo della Diocesi di Lamezia Terme Mons. Serafino Parisi sono state affidate le conclusioni del convegno, dopo una lunga e approfondita analisi del rapporto tra Fede e Giustizia, un chiaro riferimento alla conferenza “Fede e diritto” tenuta dal Beato Livatino a Canicattì presso le suore vocazioniste il 30 aprile 1986 in cui spiegava l’importanza del Diritto canonico per la vita della Chiesa. Mons. Parisi ha parlato di «giustizia capace di andare oltre, per mezzo della Carità, che dà alla norma la possibilità di superare sé stessa per potersi esprimere pienamente».
Il messaggio forte è sicuramente un invito alla coerenza, a essere testimoni credibili del Vangelo e del messaggio della vita buona che scaturisce dall’esempio della vita di un uomo martire della giustizia e indirettamente della fede.
Tra gli eventi collaterali, venerdì 1° marzo il Tribunale ospiterà la tavola rotonda Il bene comune e il prendersi cura, perché anche sull’ambiente e sull’educazione si parte sempre dal mettersi in gioco per primi», ha illustrato il Presidente diocesano dell’Azione Cattolica Luca Torcasio.