di ORLANDINO GRECO – Quella di ieri è stata una domenica diversa, particolare, perché, con la presentazione delle candidature per le prossime elezioni politiche, si dà il via ad una campagna elettorale sicuramente inattesa ed avventata ma che pur sempre consegnerà al Paese un nuovo parlamento ed un nuovo governo.
Sono diverse, infatti, le ragioni che spingono i più a considerare queste elezioni un becero esercizio di riposizionamento della classe politica. Erano e sono tanti i motivi per i quali la legislatura precedente doveva continuare. Emergenze quali la crisi energetica, gli equilibri mondiali legati alla politica internazionale, il PNRR ed il continuo aumento di divari tra nord e sud dovevano spingere i partiti a superare gli egoismi ed i particolarismi evitando, oggi, il rischio di riconsegnare al Paese, a causa di una legge elettorale canaglia, l’ennesimo governo instabile e precario nei numeri.
Sarebbe stata auspicabile, quindi, quantomeno una riforma elettorale per fare il pari con una insensata riduzione orizzontale del numero dei parlamentari. Come è noto, ciò non è avvenuto e allora la premessa di questo pantano che apprestiamo a rivivere è che al taglio dei parlamentari (peraltro lineare alle due camere e quindi non produttivo di effetti benefici in termini di snellimento dei processi decisionali e di iter, dal momento che permane un sistema di bicameralismo paritario) andava necessariamente accoppiata una riforma della legge elettorale in senso proporzionale e con le preferenze, proprio per compensare gli effetti negativi del taglio e cioè l’allargamento a dismisura dei collegi elettorali e la riduzione della rappresentanza.
Il suddetto combinato disposto, che sostanzialmente fa si che i candidati siano tutti, di fatto, paracadutati dall’alto, per usare un lessico comune, determinerà sempre di più una divaricazione fra elettore ed eletto, con tutte le conseguenze negative che conosciamo in termini di astensionismo dal voto e di sfiducia verso la politica e le istituzioni. D’altronde, soffermandoci sul modello elettorale con il quale andremo a votare, la parte proporzionale del cosiddetto “rosatellum”, che eleggerà il 61% complessivo dei parlamentari, è basato su listini corti e bloccati e non su un sistema di preferenze che avrebbe invece quantomeno limitato gli effetti negativi della riduzione dei parlamentari in quanto a libertà dell’elettore di poter scegliere democraticamente il proprio rappresentante. Ne fa fede, in queste convulse giornate d’agosto, la corsa sfrenata dei tanti aspiranti parlamentari ad accaparrarsi il primo posto del cosiddetto listino bloccato nei collegi plurinominali proporzionali.
Per non parlare della parte maggioritaria della legge elettorale, fondata sui collegi uninominali e che eleggerà il 36% dei deputati e senatori. La quale apparentemente preserva il diritto dell’elettore di scegliersi i propri rappresentanti ma che, di fatto, lo espropria da ogni possibilità decisionale perché le candidature nei vasti collegi sono il frutto di alchimie e composizione di equilibri interni alle correnti di partito, in cui la parte del leone per la decisione finale la fanno in ogni caso i cosiddetti capi partito, affiliando sodali che spesso non rappresentano le istanze territoriali ma brillano solo per fedeltà comprovata al capo. E comunque, a valle dell’iter di scelta dei candidati, che non risponde di certo a principi di democrazia e partecipazione, l’elettore si troverà di fronte a una scheda elettorale nella quale, nella stragrande parte dei casi, di tutti i candidati paracadutati nei collegi uninominali (in Calabria 7 fra Camera e Senato) già si conoscono i nomi dei probabilissimi sette vincitori, con tutti gli altri a fare da comparse o al più da semplici portatori d’acqua a beneficio dei capilista dei listini bloccati.
Perché un altro perverso elemento di questa pessima legge elettorale è appunto la commistione e la promiscuità fra componente maggioritaria (collegi uninominali) e componente proporzionale(collegi plurinominali bloccati), con i candidati perdenti nei collegi a fare da traino alle liste bloccate.
Dunque, a fronte del desolante quadro, ciò che mi e vi domando è: a cosa serve recarsi alle urne, o addirittura mobilitarsi per affermare le proprie idee e il proprio punto di vista, quando l’esito della deputazione è perlopiù già scontato e scritto, al netto di qualche residuale postazione? Quale entusiasmo alla partecipazione si può suscitare se i cosiddetti leader di partito, gli stessi che selezionano i propri fidi, si candidano a loro volta capilista in più regioni al fine esclusivo di garantirsi il paracadute elettorale? Per chi crede nella democrazia, nel primato della politica e delle idee, nella sovranità del popolo e nelle autonomie locali, la risposta a questa domanda non è di certo incoraggiante. (og)