AZZERAMENTO DEL DEBITO DELLA SANITÀ
OGGI A ROMA I 400 SINDACI DI CALABRIA

di SANTO STRATI – A memoria, sembra sia la prima volta che tutti i sindaci di un’intera regione si trovino a manifestare tutti insieme, indipendentemente dall’appartenenza politica, davanti a Palazzo Chigi. I 400 sindaci calabresi che con ogni mezzo sono arrivati a Roma, hanno ben chiaro cosa vogliono dal Governo: intendono rappresentare «l’allarme crescente che si coglie nelle popolazioni dei comuni calabresi» di fronte al disastro sanità in cui la regione sta sprofondando ogni giorno di più. Il nuovo decreto Calabria – che proroga con qualche discutibile correttivo il precedente obbrobrio varato dal Conte 1 – è una nuova sciagura per la Calabria e i calabresi. Si ribadisce il commissariamento (anche se trovare un commissario sta diventando una corsa a ostacoli), e si sottrae ancora una volta la gestione della sanità ai calabresi.

Chi ha provocato i guasti della sanità calabrese? Al di là delle responsabilità penali su cui dovrà indagare la magistratura, c’è un responsabile istituzionale dello sfascio: il Governo. A fine luglio 2010 veniva cancellata la figura dell’assessore regionale alla Sanità e la responsabilità veniva acquisita dal Governo che avviava il commissariamento affidandolo al presidente della Regione Giuseppe Scopelliti. Il ministro delle Finanze dell’epoca era Giulio Tremonti, in carica c’era il Governo Berlusconi IV, il sessantesimo dalla nascita della Repubblica, e sarebbe rimasto in sella fino al 16 novembre 2011. Il commissariamento – secondo Tremonti – «doveva gestire il settore – affiancato dalla Guardia di Finanza – per sancire il ritorno dello Stato». I risultati sono noti, fino agli ultimi disastri firmati Cotticelli. La responsabilità è decisamente di chi ha scelto i vari commissari per sanare il deficit e non ha controllato cosa si stesse facendo: sempre il Governo.

Per questa ragione, già solo a titolo di risarcimento, il Governo dovrebbe azzerare il debito della sanità calabrese e permettere alla regione di ricominciare da zero. E ci sono le condizioni, vista l’ “elasticità” finanziaria concessa agli Stati per l’emergenza Covid, perché si possa davvero pensare ad azzerare tutto. Già, perché questa è una conditio sine qua non contro la quale neanche il più brillante mago della finanza riuscirà mai, nelle vesti di commissario dai super poteri (come indicato dal decreto Sanità che attende di essere convertito in legge), a risanare i conti. È molto evidente: non si sa quanti sono i debiti, chi sono i creditori, chi s’è fatto pagare tre volte la stessa fattura e chi è fallito per i mancati pagamenti di forniture reali: non esistono documenti contabili da anni, sembra fosse in uso la pratica della contabilità “orale”, una cosa che se per scherzo prova a praticare qualsiasi imprenditore finisce in galera e buttano via la chiave. Invece, l’allegra contabilità della sanità calabrese non è mai stata controllata dai vari commissari che, a loro volta, non sono stati controllati da chi li ha nominati. Un pasticciaccio brutto (Gadda non c’entra, purtroppo, almeno avremmo buona letteratura) che ormai ha scatenato un irreversibile processo di indignazione popolare. Quella che andranno oggi pomeriggio a rappresentare al presidente Conte i sindaci dei cinque capoluoghi (Giuseppe Falcomatà, Maria Limardo, Sergio Abramo, Vincenzo Voce e Mario Occhiuto) accompagnati dal vicepresidente vicario di Anci Calabria Franco Candia a nome delle 400 fasce tricolori che occuperanno simbolicamente Piazza Colonna in un sit-in statico, che avrebbe meritato anche l’attenzione del Presidente Mattarella.

I calabresi non ne possono più, non vogliono sentir più parlare di colonizzazione (commissari scelti dall’altro, senza consultazione né confronto col territorio), ma, soprattutto, non accettano di passare per cittadini di serie b, in particolar modo nell’ambito della salute. Un emiliano ha 90 euro per curarsi contro i 15 di un calabrese: come la vogliamo chiamare? Disuguaglianza, disparità o inammissibile vergogna? Lasciamo la scelta ai nostri governanti.

E meno male che dal cappello a cilindro il presidente Conte ieri sera non ha estratto il nome del quarto commissario destinato a occuparsi della sanità calabrese: visto che oggi pomeriggio incontra i sindaci, provi a trovare una soluzione condivisa, com’è giusto che sia. Visto che, data l’emergenza, un commissario responsabile della sanità serve con estrema urgenza, nel vuoto politico che s’è creato nella Regione. Il Consiglio regionale è formalmente sciolto, la Giunta si può occupare solo di ordinaria amministrazione, ma intanto la gente soffre e muore. Serve un commissario capace e competente che abbia a disposizione una squadra locale di scienziati, ricercatori, tecnici, amministratori: tutte professionalità di cui la Calabria è ampiamente ricca. Non basta la competenza amministrativa, servono conoscenza medico-sanitaria e conoscenza del territorio. Diversamente sarà un’impresa che parte già con freno a mano tirato.

Sono arrivate le tende-ospedali – grazie – ma dove sono i medici, gli infermieri specializzati, i tecnici necessari a offrire l’assistenza che serve? Ci sono una decina di ospedali in disuso, abbandonati, pronti, ripristinabili quasi subito, e in Calabria che si fa? Si montano le tende. La precarietà è ormai una consuetudine della regione, ma l’orlo è colmo, siamo arrivati alla fine del viaggio. Il Governo, lo Stato non può ignorare, trascurare, dimenticare la Calabria e i calabresi.

L’Associazione dei Comuni Italiani (Anci) Calabria l’11 novembre ha votato un documento già trasmesso a Palazzo Chigi con cui indica le priorità da raggiungere. Cinque punti con i quali si mettono in evidenza le seguenti necessità:  superare la fase di commissariamento nella sanità calabrese; abbattere e ripianare il debito storico provocato dalle stagioni commissariali; potenziare il personale sanitario superando i vincoli imposti dal precedente decreto Calabria scaduto il 3 novembre; attivare il Piano Covid con allestimento di posti letto di terapia intensiva e subintensiva (con assunzione di medici e paramedici) e acquisto della strumentazione necessaria; coinvolgere i sindaci nelle Conferenze sanitarie regionali.

Può sembrare tanto, ma è piccola cosa rispetto ai danni provocati. Ma non si pensi che la mobilitazione dei 400 primi cittadini finirà oggi pomeriggio con un prevedibile “volemose bene” da parte del Governo. I calabresi non vogliono cortesie, ma esigono di essere rispettati e che siano rispettati i loro diritti di italiani, a cominciare dal diritto alla salute. Lo tenga ben presente il premier Conte, con la Calabria si gioca la sua futura carriera politica: il Governo non può cadere, data l’emergenza, e non ci sono alternative, ma il tempo scorre in fretta e le legittime ambizioni politiche di “Giuseppi” dovranno fare i conti con le azioni e le scelte di oggi.

Chieda ai sindaci, Presidente Conte, come si può uscire dal baratro della sanità calabrese e quante risorse umane di altissimo livello ci sono in Calabria pronte a mettersi in gioco con l’orgoglio di fare qualcosa di buono per la propria terra. Quel qualcosa che molti nostri giovani laureati, ricercatori, professionisti sono stati costretti a donare, arricchendoli, ad altri Paesi, per assenza di opportunità nella terra che li ha visti nascere. Perché noi calabresi abbiamo una marcia in più e basta guardarsi in giro, in ogni parte del pianeta: la Calabria è nel mondo, con fior di scienziati, uomini e donne delle istituzioni, professionisti e imprenditori che danno lustro alla propria terra lontana e soffrono a vedere com’è ridotta. La Calabria ha bisogno di ripartire, cominciando proprio dalla sanità. (s)

In copertina: i 97 sindaci della Città Metropolitana di Reggio Calabria davanti alla Prefettura qualche settimana fa (foto di Attilio Morabito, courtesy Comune di Reggio)