IL DOPO CUTRO: MODELLO DI SOLIDARIETÀ
LA CALABRIA VUOLE RIPENSARE IL FUTURO

di MIMMO NUNNARI –Bontà loro, giornali e televisioni nazionali, storicamente indifferenti o pieni di pregiudizi verso la Calabria e i calabresi, si sono spesi in elogi generosi, sulla bella pagina di Steccato di Cutro, dove, nella tragedia del mare, è emersa l’umanità, la pietà e la capacità di accoglienza di un popolo che ha saputo compensare errori e balbettii di un Governo che ancora dobbiamo capire perché è sceso a tenere un consiglio dei ministri in quel di Cutro, ignorando il dolore dei superstiti e senza neppure un saluto alle salme dei naufraghi. Cutro ha impartito una lezione di umanità all’Italia e all’Europa, a cui bisognerebbe chiedere quanti naufragi e quanti morti ancora ci vorranno, per smuoverla e farle tendere la mano alla gente del Mediterraneo in fuga da guerre, violenze e povertà.

Cutro, con l’essenzialità della gente umile, ha spiegato che per poterci salvare in questo nostro mondo egoista e smarrito, abbiamo bisogno di salvare l’altro. Cutro è come una lente attraverso la quale riflettere sul presente, che scarseggia di speranza e dove qualcuno come il ministro dell’Interno italiano Matteo Piantedosi definisce “carico residuale” una porzione di disperata umanità.

Abbiamo definito pagina di Vangelo quel che è accaduto sulle spiagge dello Jonio: una pagina, che ha pure mostrato come in un Paese come l’Italia sempre più scristianizzato, in Calabria, invece, permane un sentimento antico di umanità e religiosità popolare, simboleggiata in quella povera croce realizzata coi legni della barca naufragata a solo poche decine di metri dalla spiaggia salvifica.

Quello che i giornali e le televisioni nazionali non hanno colto, o saputo cogliere, è che Steccato di Cutro è una pagina “normale” di Calabria: non è un’eccezione. È nella consuetudine e nella tradizione dei calabresi l’accoglienza. Fa parte di quel senso di comunità che privilegia l’ospitalità all’ostilità, l’apertura delle braccia al respingimento, le porte aperte alle porte chiuse. Giustamente, il presidente della Giunta regionale Roberto Occhiuto ha fatto notare: «La Calabria si sta confermando, ancora una volta, la regione della solidarietà. Abbiamo accolto 18 mila migranti nel 2022, e lo abbiamo fatto sempre, senza polemiche, e senza mai parlare alla pancia dei cittadini: abbiamo fatto dell’accoglienza un nostro carattere distintivo». Belle parole, ma c’è la necessità di fare rete, di organizzare l’umanità e la speranza della Calabria, e Occhiuto potrebbe guidare questo processo. Con Cutro, dobbiamo ricordare la quotidianità degli sforzi generosi di Roccella Jonica, di Reggio e di altri centri, mai indifferenti, di fronte allo “straniero”, ma pronti ad accogliere.

Ovviamente, si fa da altre parti, nel Sud, quel che si è fatto a Cutro: con l’eroica Lampedusa prima di tutti. Sono tutti luoghi in cui l’altro è visto come qualcuno da ospitare e non come ostacolo, come muro, come qualcosa che sottrae qualcosa alla nostra vita. Di questo modello di umanità di Cutro – ma è giusto non dimenticare Riace, modello che lo Stato ha smantellato –  dovrebbero prendere esempio in Europa e nel resto del Paese, e imparare a guardare alla Calabria per i suoi aspetti positivi: “normali”.

Da Cutro, la Calabria ha l’occasione per ripartire, per ritrovare le motivazioni e le energie per scriversi da sola il proprio futuro, cominciando col recuperare quel patrimonio immenso di sapere popolare e di faticosa vita vissuta che i calabresi hanno impresso nell’anima. Scrivere il proprio futuro, significa prendere atto che niente o poco è stato buono di quel che finora è arrivato da fuori, spesso come elemosina, o interessata elargizione, per ottenere consensi elettorali. Quel poco di sviluppo promosso da fuori che c’è stato, è stato uno sviluppo distorto: un modello che non ha tenuto conto della storia, dell’identità culturale, dei valori, ma è stato imposto secondo logiche ed esigenze decise altrove. Il passato – ma anche un certo presente –  è fatto di finti buoni propositi e di promesse e ricette che sono come l’acqua fresca. Sappiamo, per esperienza, che spesso si tratta di promesse fasulle, di discorsi fatti a vanvera, di chiacchiere al vento, anche irritanti. Nel dopo Cutro, serve immaginare un “patto per la Calabria”, ampio, inclusivo, apartitico. Occorre evocare un momento di unità reale, riunendo Chiesa, segmenti intermedi della società, università, sindacati, categorie imprenditoriali e sindaci. Dovrebbe farsene carico il presidente della Giunta regionale Roberto Occhiuto, un politico che ha maturato esperienza a livello nazionale e sembra avere l’ambizione di svoltare in Regione, rispetto al vivacchiare deleterio del passato. Quali sono i problemi della Calabria li conosciamo e sappiamo che per superare gli ostacoli occorre un’azione corale, che coinvolga tutti, e non lasci fuori nessuno. Si può scrivere un futuro diverso per la Calabria cominciando anche col fare l’elenco delle cose che funzionano: delle imprese, dei servizi, dei centri educativi, degli enti locali virtuosi. Bisogna attingere a questi esempi. Occorrono nuove regole del gioco, cominciando col valutare l’efficienza della burocrazia regionale, il cui ruolo è determinante per il cambiamento e la modernizzazione della regione. Servono, accanto ai buoni propostiti, azioni complesse su più fronti trasversali e uniti, per creare un combinazione tra politica imprese, sindacato, cultura. Servono anche dignità e schiena dritta, e non più quel vendersi per un piatto di lenticchie a interessati e fasulli “benefattori” che cercano consensi rivolgendosi a sudditi ubbidienti accaparratori di potere. Per voltare pagina servono segnali distensivi, parole costruttive, posizioni non ideologiche, amministrazioni trasparenti, opposizioni all’altezza, e coinvolgimento degli “invisibili” del volontariato, che è una risorsa strategica per la crescita della Calabria. Cutro, nella tragedia e nel dolore, rappresenta un’opportunità. Occorre però far presto, a squarciare il velo sull’abbandono della Calabria e sui suoi mali, che mettono a nudo una situazione di vuoto in territori dove lo Stato non c’è e l’insidia maggiore è quella mafiosa, che si propone di colmare i vuoti sociali ed economici della regione. Il patto rappresenta la rivoluzione attesa per aiutare i calabresi onesti a riprendersi la loro terra, purché sino disposti a metterci le mani per ripulirla. ν