L’ORA DELLE ZONE ECONOMICHE MONTANE
POSSONO DIVENTARE VOLANO DI SVILUPPO

di KLAUS ALGIERI – Le Zone Economiche Montane (Zem) rappresentano un patrimonio unico e prezioso chiamato, negli ultimi anni, ad affrontare importanti sfide nello sviluppo economico e sociale.

Proprio per questo, affrontare l’attuazione dell’Agenda Onu 2030 senza occuparsi di aree interne e di montagna, come previsto dalla Strategia Nazionale per le Aree Interne (Snai), potrebbe essere sinonimo di fallimento delle politiche e di inefficacia degli interventi previsti.

Il ridimensionamento e la soluzione delle fragilità unitamente all’importanza dell’economia della montagna in Italia necessitano l’elaborazione di iniziative strategiche dedicate. Tra queste sarà di fondamentale importanza il passaggio dalla “fiscalità agevolata, alla fiscalità dedicata” con la costituzione, sulla scia delle Zes, delle “Zone Economiche Montane” (Zem), che abbiano come destinatari i Comuni di montagna e che diano priorità a investimenti (nazionali e esteri) relativi alla transizione green per tutelare il patrimonio ambientale della montagna pur garantendone lo sviluppo e alla transizione digitale al fine di superare le “barriere infrastrutturali e naturali”.

Le Zem così costituite porteranno alla valorizzazione e al consolidamento delle attività economiche già presenti sul territorio (commercio, filiera agro-alimentare-boschiva, turismo, etc.) e all’attrazione e creazione di nuove imprese e centri di ricerca sulla biodiversità e sull’economia sostenibile in stretto collegamento con le Università. Consentiranno di porre un freno al declino demografico e all’invecchiamento della popolazione nei Comuni montani e attrarre i giovani.

Attraverso di esse si potrà creare, quindi, una alternativa alla polarizzazione urbana della popolazione e alla fuga di capitale umano verso i centri urbani, sostenuta da una incisiva attività di formazione e politiche attive del lavoro. Il tema delle Zem è molto importante e non va trascurato lo dicono i dati, lo ha ribadito anche il mio Presidente Nazionale Carlo Sangalli nel corso dell’Assemblea Pubblica di Confcommercio.

Auspico che il Presidente Occhiuto in virtù del ruolo che ricopre a livello nazionale si faccia portavoce di questa proposta sui tavoli che contano e che dalla Calabria parta un progetto pilota, che mostri a tutti le potenzialità delle aree montane.

Le aree di montagna sono realtà fragili per condizioni fisico-geografiche, ambientali e per processi modificativi della vita sociale intervenuti nel tempo dove si gioca il futuro della conservazione e rigenerazione di biodiversità del nostro Paese. Tuttavia, in questi territori sono presenti limiti, ma anche nuove opportunità con specificità differenti (come quelle che distinguono territori alpini da quelli appenninici) e tante forme di imprenditorialità intergenerazionale.

Nelle aree montane e interne lo spopolamento è la minaccia maggiore. Infatti, l’impatto demografico negativo colpirà entro 10 anni, secondo l’Istat, nove Comuni su dieci nel caso di Comuni di zone rurali con l’ampliarsi del fenomeno della “desertificazione demografica” di molte aree del Paese in particolare a Sud.

Oggi, in un contesto di globalizzazione e di alta mobilità della popolazione, contrastare lo spopolamento di questi territori sempre meno può significare trattenere soltanto la popolazione, specialmente giovanile, e sempre più richiede una capacità dei territori non urbani di essere attrattivi: la capacità di attrarre imprese e giovani è tra gli argomenti più efficaci da giocare per radicare il progetto di vita di un numero sufficientemente ampio di giovani (nativi e non) nelle aree montane con nuove attività di lavoro, impresa o studio.

Secondo il criterio statistico di Istat, l’Italia risulta caratterizzata, per la sua conformazione orografica, da un territorio prevalentemente collinare (41,6% della superficie complessiva, che contiene il 38,9% della popolazione residente in Italia), seguìto da quello di montagna (35,2% del territorio e 12,4% della popolazione) e di pianura (23,2% del territorio e 48,7% della popolazione).

Secondo i dati dell’Uncem (Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani) il territorio montano comprende attualmente 3.524 comuni totalmente montani e 652 comuni parzialmente montani, per un totale complessivo di 4.176 su 7.901 comuni italiani (al 1° gennaio 2023). In termini di estensione territoriale, su un totale di 302.073 kmq che definiscono il territorio italiano, circa 147.517 kmq sono occupati dai comuni montani, rappresentando, quindi, il 49% del territorio nazionale.

L’Italia, secondo Eurostat, è il primo Paese dell’Unione europea a 27 per Pil realizzato in province montane, territori in cui almeno metà della superficie e/o della popolazione è in aree montane: nel 2019 è ammontato a 805,6 miliardi di euro, il 44,9% del totale nazionale, una quota più che doppia rispetto al 20,7% registrato dalla media delle aree montane nell’Ue. Il valore dell’economia italiana della montagna, infatti, supera anche i 776,3 miliardi di euro della Spagna (62,4% del Pil), i 417,5 miliardi della Francia (17,1%) e i 241,5 miliardi della Germania (7%).

Nell’economia italiana della montagna, a fronte del 47,8% della popolazione nazionale, si concentra nel 2021 il 51,1% delle presenze turistiche totali e il 50,7% delle presenze turistiche straniere.

Secondo un recente studio, sono 63 le province montane in Italia che contano 2.077.826 micro e piccole imprese (MPI), attive con 5.137.434 addetti, i quali sono il 47,3% degli addetti nazionali delle MPI. Nel perimetro delle province che rappresenta l’economia italiana della montagna, le MPI rappresentano il 69,4% degli addetti delle imprese totali di tali province, una quota ampiamente superiore al 63,4% della media nazionale.

In particolare, nelle province montane sono localizzate 536.282 imprese artigiane con 1.349.075 addetti, pari a oltre la metà (53%) degli addetti dell’artigianato italiano e al 18,2% degli addetti nazionali, quota superiore al 14,8% della media nazionale.

In chiave settoriale l’economia della montagna presenta una quota più elevata per il valore aggiunto delle costruzioni (48,8%) e del manifatturiero esteso (48,6%), settori in cui è più alta la vocazione artigiana.

Secondo uno studio pubblicato alla fine 2022, sono 63 le province montane in Italia che contano 2.077.826 micro e piccole imprese (MPI) con 5.137.434 addetti, i quali sono il 47,3% degli addetti nazionali delle Mpi. Nel perimetro delle province che rappresenta l’economia italiana della montagna, le MPI rappresentano il 69,4% degli addetti delle imprese totali di tali province, una quota ampiamente superiore al 63,4% della media nazionale.

In particolare, nelle province montane sono localizzate 536.282 imprese artigiane con 1.349.075 addetti, pari a oltre la metà (53%) degli addetti dell’artigianato italiano e al 18,2% degli addetti nazionali, quota superiore al 14,8% della media nazionale.

Inoltre, grazie alla diffusa presenza di imprese manifatturiere, l’economia della montagna realizza il 47,2% delle esportazioni nazionali, pari a 232,6 miliardi di euro.

Da un punto di vista occupazionale nelle province montane, a fronte del 47,3% di occupati totali nel 2021, si concentra il 49,8% degli occupati indipendenti – imprenditori, professionisti e lavoratori autonomi – che rappresentano il 23% degli occupati di tali province, quota superiore di 2,2 punti al 20,8% delle altre province non montane.

Unioncamere-Anpal, infine, indicano che nel trimestre novembre 2022-gennaio 2023 nelle province montane sono state previste 553mila entrate di lavoratori, pari al 46% di quelle nazionali. Un dato che mette in evidenza l’importanza dell’economia di montagna anche in termini occupazionali. (ka)

[Klaus Algieri è presidente di Confcommercio Calabria e vicepresidente nazionale Unioncamere]