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Politeama CZ

IL RICORDO / Franco Cimino: Vent’anni di Politeama

di FRANCO CIMINO – Mi accorgo solo ora di non aver detto una sola parola per il ventennale della nascita del nuovo Politeama di Catanzaro. Sono passati anche ventidue giorni da quell’anniversario, direi storico per noi, che abbiamo piccole e preziose cose, le quali, nel sentimento catanzarese, dovremmo tenere care come ci hanno insegnato i nostri padri, e non ho detto una parola.

Pensavo potesse bastare il buon Sergio Dragone, che a più riprese ha saputo, da par suo, trasformare la cronaca di questi vent’anni in una bella pagina di storia. Una pagina ben scritta. Da conservare. Ovvero, sintetizzare in un depliant o libricino che mi auguro la Fondazione vorrà, pure potendo, confezionare, non solo per ricordare ma anche per pubblicizzare la bellezza del nostro Teatro. Forse, non ne ho scritto per merito suo, di Dragone.

Non è che io creda che ciò che penso interessi alla gente, fossero anche i pochi o molti che mi leggono. Sono solito, però, non risparmiarmi nel pensare e nel sentire e nell’esprimere ad alta voce ciò che penso e che sento. Lo facevo e l’ho fatto, e spero di poterlo fare ancora, dalle diverse tribune e dalle cattedre da cui ho parlato intensamente. Lo faccio, attraverso la scrittura, adesso per me. Per non perdere il gusto del pensare, il piacere di sentire. Il dovere di dire.

Per non perdere memoria di me. Forse, anche, illusoriamente, di non far perdere memoria di me. E per non far cessare il battito del mio cuore, che dinanzi al vissuto, e in esso al mio vedere la realtà, si emozione e batte forte. Lo faccio per me, sì. Per non invecchiare morendo o per non perdere la fanciullezza perdendo i capelli e la forza muscolare. Lo faccio per me, sì, per il dovere di prendermi cura anche della mia persona al fine anche di poter sostenere il bene che io auspico per gli altri. Per la nostra Città, in particolare, che io amo tanto. E che vorrei servire, per come potrò, e oltre le mie risorse, sempre.

Questa volta non ho scritto forse per paura, la prima volta che la sentirei, di questi vent’anni. Eh, vent’anni! Gioia e tristezza insieme. Di esserci, innanzitutto, e di esserci in una situazione di intrecciati cambiamenti. Vent’anni, eh! Sono tanti o pochi? Vai a darla la risposta! Ma proviamo. Sono tanti nella vita di una persona. Sono pochissimi nella vita di una comunità. Un sospiro del vento per la nostra Catanzaro. Il tempo, tuttavia, non andrebbe misurato.

Di certo non con la nostra “ metronomica” convenzionale, quella dell’orologio e del calendario. Neppure per quella che passa sulle nostre singole vite, attraverso la modificazione del nostro aspetto e della nostra forza fisica. La misura più corretta del tempo, anche se resta come tutte le cose umane imperfetta, è quella di valutare con serietà e rigore la qualità del suo passaggio, le cose in esso avvenute. I fatti realizzati. Il bene e il male prodotti. Il quanto del primo e il quanto del secondo. Meglio ancora, verificare il grado di rapporto tra idea iniziale e e loro realizzazione, tra progetto e fatto, tra sogno e vita vissuta. Tra bisogno e desiderio.

Il Politeama è il mezzo con il quale applicare tutto questo nella vita delle persone e in quella della nostra comunità, a prescindere da quanti catanzaresi abbiano direttamente partecipato alla sua camminata ventennale nelle vene di questa Città. Ma è soltanto un teatro! Direbbero in tanti. Sì, è soltanto un teatro, appunto. Ma il Teatro è vita, alimento della cultura, palestra educativa, fonte di innovazione della civiltà. È una chiesa laica per la formazione delle coscienze laiche e di quel senso critico che anima la democrazia e contribuisce a vestire quel potere che nudo si fa cinico e corruttore di se stesso e degli uomini.

Quel ventinove novembre di vent’anni fa si apriva una pagina nuova per una Catanzaro ancora avvolta in una crisi profonda. Quella lunga crisi che l’aveva bloccato in tutti i suoi ambiti. Una crisi così profonda che, dalla caduta progressiva di quella borghesia elitaria ma “producente”, di cui sarebbe lungo il parlarne, ha intrecciata fortemente quella di due mondi, della cultura e della politica, rimasti lungamente separati. Il solo fatto che si sia data conclusione alla costruzione di una delle tante opere da tempo sospese fu il segnale che si stava imboccando una strada nuova. Quella del progresso, dell’efficienza anche amministrativa, della costruzione di una nuova ricchezza. Una ricchezza più vera e produttiva, più equamente diffusa nelle tasche dei catanzaresi in quanto foriera di sempre più larga e stabile occupazione e di animazione di quel circolo virtuoso fatto dal guadagno e dai consumi, strettamente collegati insieme al risparmio, di cui i catanzaresi sono stati cultori. Una ricchezza anche cultura, anche se questa rappresenta un bene in sé e non di consumo. Il sogno riprese a vivere. Più scuole. Più campi di calcio nelle periferie.

Più Università nella Città. Più Politica e più partecipazione alla vita democratica in quel fiume corrente sempre pulito, portatore continuo di nuova classe dirigente a tutti i livelli. Anche in quello imprenditoriale, affinché si potesse costruire una nuova economia. Nuova e sana, che sapesse coniugare imprenditoria moderna e forza lavoro competente e aggiornata sulle continue innovazioni. Il Politeama, il Teatro della Città perché sarebbe stato fruibile dall’intera Città, con quelle doppie serate in ogni spettacolo che consentissero la più ampia partecipazione, con abbonamenti e prezzi per tutte le tasche. E con con quella pur timida iniziativa, che avremmo voluto si istituzionalizzasse, di aprire il Politeama stabilmente a tutte le scuole con abbonamento premio per i ragazzi bisognevoli e meritevoli. Anche quella borghesia, vestita di abiti elegantissimi e di gioielli, che abbiamo visto in quel primo anno, che tanti hanno conosciuto fisicamente per la prima volta proprio lì, a teatro, appariva salutare. Anche simpatica.

Di buon auspicio per una società, la nostra, che, mai vittima della feroce invidia sociale, ha soltanto auspicato il bene e la crescita di tutti, convinta che una Città serena sia il luogo della pace e della solidarietà. Dell’unione e della felice identità. Misurati questi vent’anni con la verifica della loro qualità, cosa possiamo dire? Possiamo dire che c’è poco da far festa. Il Politeama che ieri rappresentava la misura delle nuove grandi ambizioni, proprie e della Capoluogo, rappresenta, contraddittoriamente a una bella realtà artistica che si muove altrove, e a due passi, la spia luminosa di una grave crisi che attraversa il capoluogo.

La Città è diventata più povera. Di quella povertà che si è estesa in quelle fasce sociali che, nella propria sicurezza di status, garantivano un certo benessere quasi generale. È povera di persone che la vogliono abitare e in essa vivere e camminare, specialmente sul Corso storico sempre più vuoto. È più povera di cultura e di uomini che la rappresentino. Con coraggio e devozione. E più povera di relazioni. All’interno con le Università e i centri di formazione, Chiesa cattolica, anch’essa in difficoltà, compresa. E all’esterno, con il resto del territorio, cui essa, per dono della natura e di Dio, si affaccia per abbracciarlo, proteggerlo, guidarlo. È povera di sicurezza, sotto tutti i profili in cui essa venisse concepita e dei quali abbiamo più volte parlato. Come della sua mancanza di unità territoriale, che quella insicurezza aggrava unitamente alla crescente povertà dello spirito di unità e di identità cittadina.

Quello spirito che in altre parti del mondo fa forti le città e resistenti e vincenti rispetto alle crisi e alle avversità. È povera sul terreno della Politica e della sua condizione e culturale e morale rispetto, innanzitutto, al sentimento per Catanzaro e alla sacra cultura delle istituzioni, la casa più sicura di tutti i cittadini. L’intreccio Politeama-Città lo si ritrova in queste settimane, nelle quali per la prima volta si registra quasi l’impossibilità, almeno finora, di allestire una qualsiasi programmazione, anche, e purtroppo, in progressione rispetto alle non poche ultime di progressivo meno robusto spessore. Scaricare le colpe sulle situazioni esterne, guerre e costi energetici tra questi, che pure gravano, ma su tutti i teatri del mondo, è assai riduttivo. Come anche inutile e disturbante sarebbe andare, qui, alla ricerca delle responsabilità, che tuttavia appaiono evidenti. C’è tempo per analizzarle tutte ed intervenire con la necessaria efficacia e il dovuto coraggio. E con l’intelligenza che la questione richiede. Oggi si festeggia con una certa melanconia e preoccupazione, perché negarlo. Un stato dell’animo collettivo che potrebbe, tuttavia, modificarsi se nel frattempo faremo appello all’orgoglio per questi vent’anni (moltissimi di altissimo livello e qualità) e alla certezza che il Politeama, Teatro tra i più belli in Italia, c’è, ben solido anche se bisognevole di ritocchi leggeri alla struttura. C’è con una sua bella storia.

C’è, soprattutto, con le sue enormi potenzialità. Sia oggi, pertanto, festa. E giorno della speranza. Per la ripresa piena del Teatro, questo nostro, e il rafforzamento del Comunale che ha saputo, e da solo negli anni, sostenere tanta fatica buona e generosa per garantire programmazione differenziate di alto livello artistico e di basso costo del biglietto. Sia un giorno di rinascita della Cultura. E della Città, che ha bisogno di un dignitoso presente per un luminoso avvenire. Io questa sera ci sarò.

Finito di scrivere questa riflessione e fatto pranzo correrò a prepararmi. Mi vestirò bene con l’abito più elegante, indosserò le migliori cose che ho. Le andrò tutte a prendere nell’armadio di vent’anni fa. E ci andrò. Con gioia per quella serata lontana, che ricordo in ogni suo attimo, come in ogni metro percorso a piedi da casa fino a quel gioiello anche architettonico, checché se ne voglia dire. E con tristezza dolce, che si fa nostalgia serena e non dolore. Vent’anni fa mi accompagnava una donna bellissima, magnifica creatura.

Il mio amore per sempre. È anche per sentire quella presenza, oltre che per rispondere sempre sì alla Città che chiama, che sono stato continuamente presente in questi vent’anni. Mai mancato, tranne quel periodo dell’inutile lotta, a uno spettacolo. Mai saltato un abbonamento. Sempre seduto, in quella poltroncina che fu sua, la numero 5 della fila D. Sarà così per tutto il mio per sempre. Grazie Politeama. Con la mano sul cuore e i miei occhi al cielo. (fc)