di SANTO STRATI – Nessuno slogan facile “basta tragedie in mare” con cui il Governo Meloni poteva lavarsi la coscienza, mondandosi dal peccato originale di aver ereditato due leggi infami sull’immigrazione (la Bossi-Fini e il decreto Salvini) di cui ha aggravato ulteriormente le conseguenze. Invece, è stato varato un decreto immigrazione – votato all’unanimità – con un obiettivo preciso: inasprire la lotta ai trafficanti di morte, aumentando le pene (da 20 a 30 anni) ed estendendo la giurisdizione anche fuori delle acque italiane. Un impegno, a parole, encomiabile e degno di considerazione, anche se – duole dirlo – non si sconfigge la tratta di esseri umani aumentando le pene (che quasi sempre poi non vengono eseguite per varie ragioni), ma andrebbe affrontato il tema delle partenze alla radice.
Innanzitutto c’è da dire che gli scafisti sono altri disperati che prendono ordini da chi effettivamente organizza e gestisce i viaggi della disperazione. È come per il traffico di droga: il pusher è l’ultima ruota del carro, l’ultima pedina, dietro ci sono organizzazioni criminali che da questi traffici finanziano sicuramente terrorismo, guerre e altre losche attività di respiro internazionale. Chi scappa (da guerre, violenza, miseria) è costretto a sottostare agli infami ricatti dei trafficanti di morte che li tengono ostaggio del primo imbarco disponibile. Se non c’è un’intesa internazionale – come auspicato dal ministro degli Esteri Tajani – con i Paesi da cui partono i viaggi della disperazione sarà difficile, se non impossibile interrompere la tratta di esseri umani e il Mediterraneo continuerà a essere il cimitero dei migranti. Quante morti ignote, quanti scomparsi in mare, quanta sofferenza di cui si sa sempre troppo poco. Non bastano il cordoglio e la solidarietà alle vittime, il ringraziamento ai soccorritori (a Cutro è stata collocata una targa in memoria delle vittime), ma servono provvedimenti di altra natura. Il nostro compito – ha detto la Meloni – è cercare soluzioni ai problemi, fare quello che si deve fare. Aggiungiamo noi, “trovare” le soluzioni significa individuare intese anche trasversali perché l’opposizione non può solo stare a contestare le scelte, deve contribuire a indicare percorsi e alternative, in nome di quell’umanità che è un vanto del nostro Paese. E ai calabresi il premier ha espresso il ringraziamento del Governo e la vicinanza a tutto il Mezzogiorno, punto d’attracco preferito dei disperati.
Sostanzialmente il premier Giorgia Meloni esce benissimo da un imbarazzo che il suo staff le aveva provocato: una sua visita immediata a Cutro (prima di partire per l’India) sarebbe stata non solo auspicabile, ma avrebbe evitato le polemiche sulle dichiarazioni improvvide del ministro dell’Interno Piantedosi. Avrebbe mostrato una notevole sensibilità del Governo nei confronti della tragedia. In altri termini le avrebbe giovato in reputazione e si sarebbe evitata gli attacchi (strumentali, bisogna dirlo per onestà intellettuale) di una sinistra che non può vantare a suo favore una politica dell’immigrazione (negli anni in cui governava) degna di questo nome.
La convocazione del Governo a Cutro è stata una mossa tattica per recuperare terreno, «un segnale simbolico e concreto» – ha detto la Meloni – ma serve a marcare una linea politica di intransigenza che dichiara apertamente (ma con armi spuntate) una feroce lotta ai trafficanti di esseri umani del Mediterraneo. Pero, gira intorno al problema della disperazione. Forse, non sarebbe male che nei Paesi da cui partono le carrette del mare – previo accordi internazionali con gli Stati – si creassero di punti di ascolto e di contatto per venire incontro alle migliaia di disperati. Anche se in alcuni Paesi come l’Afghanistan – ha fatto presente il Presidente Occhiuto – non c’è nemmeno l’ambasciatore italiano.
Sia ben chiaro, l’Italia non è in grado di dare accoglienza a tutti, né la modifica del decreto flussi ridurrà il numero di quanti scappano pagando il doppio di un biglietto aereo di prima classe per una scommessa sulla vita. Né si può immaginare – come richiede il Governo Meloni – di selezionare solo chi ha fatto corsi di formazione per far arrivare risorse fresche in agricoltura e nell’industria: parliamo di Paesi sottosviluppati, spesso piagati da guerre, carestie, miseria: ma quale formazione professionale? Eppure, tra i migranti disperati ci sono medici, professionisti, tecnici che scappano utilizzando l’unica via possibile, quella illegale. La vera modifica del decreto flussi dovrebbe essere la possibilità di poter venire incontro – selezionando con criteri di sicurezza, ovviamente – chi scappa. Giacché la condizione di profugo è troppo genericamente affidata a una burocrazia insopportabile. Parliamo di rifugiati: tutti quelli che viaggiano per mare – tranne pochi criminali in cerca di fortuna in un Paese che applica male la legge e facilita l’impunità – sono rifugiati, non sono migranti clandestini. La loro clandestinità è una condizione necessaria per scappare, visto che per loro non ci sono visti di uscita né sufficiente spazio nei cosiddetti corridoi umanitari. E allora, il problema è duplice: salvataggio e accoglienza prima (quando necessari) e condizioni di vita dignitosa una volta arrivati sul suolo italiano. Questo non vuol dire spalancare le frontiere, ma sicuramente richiede di affrontare con occhio diverso il problema.
Le norme attuali – ancor più penalizzanti per chi ha l’onere del soccorso – sono stringenti, ma chi viene soccorso in mare e portato a terra non può essere accusato di immigrazione clandestina. Ma non può nemmeno essere “buttato” in uno dei tanti centri di accoglienza che hanno fatto la fortuna di alcuni avventurieri italiani che ne hanno preso in più occasioni la gestione. E bene ha fatto il ministro Piantedosi a sottolineare l’esigenza di poter ricorrere al commissariamento dei centri di permanenza temporanea .
La Meloni si è detta convinta che la lotta ai trafficanti sia il primo obiettivo: ribadiamo, non sono gli scafisti (che vanno comunque perseguiti e condannati pesantemente) ma occorre individuare e colpire i veri boss della migrazione clandestina. L‘intelligence serve proprio a scovare i responsabili: occorre un intervento internazionale, sotto l’egida dell’Onu, che scopra i centri veri del traffico di esseri umani. L’aumento delle pene per i trafficanti potrà intimorire appena un po’ gli scafisti (ripetiamo altri disperati, pur senza coscienza, al soldo dei veri trafficanti) ma non stronca il traffico. In buona sostanza, bisogna individuare e colpire i veri trafficanti, le menti di questo infame mercato di nuovi “schiavi”.
Il modello di inclusione Mimmo Lucano, da molti disprezzato e oltraggiato, in realtà è il percorso che si dovrebbe seguire ripopolando i borghi abbandonati, ripristinando le case diroccate, offrendo opportunità di inserimento e crescita sociale, perché la lotta – più che giusta annunciata dalla Meloni – ai mercanti di carne umana va fatta senza tregua, ma senza dimenticare l’obbligo cristiano dell’accoglienza e della fraternità verso chi fugge dalla propria terra.
Una curiosità: il Consiglio dei Ministri in Calabria non è una novità: l’aveva già convocato Giuseppe Conte, quando in pompa magna la ministra Grillo alla Prefettura di Reggio presentava, con malcelato orgoglio, sostenuta dalla truppa pentastellata calabrese, il decreto per la sanità calabrese che tanti guasti ha poi provocato. Come se già non fosse abbastanza disastrata la sanità calabrese, che il “buon” Occhiuto sta perigliosamente cercando di rimettere in sesto (e su cui si giocherà l’eventuale bis da governatore).
Ma oggi non parliamo di sanità, parliamo di umanità, che i calabresi hanno dimostrato di avere in quantità industriale e di come il Governo pensa di risolvere il problema. Il nuovo decreto immigrazione non è esaustivo e mostra diverse lacune. Il nuovo reato che va a integrare il testo unico sull’immigrazione prevede responsabilità precise a carico degli scafisti. È un deterrente, non una soluzione per interrompere i viaggi della disperazione. In attesa di una soluzione che pur appare lontana, questo provvedimento non distolga dagli obblighi di accoglienza. (s)