di CHIARA PENNA – Per motivi professionali, ho approfondito da tempo le dinamiche relative ai reati a sfondo sessuale, il rapporto duale autore-vittima, le diverse tipologie del c.d. Sex- offender, nonché la personalità del predatore sessuale ed ogni qual volta si verifica un fatto riconducibile a questo ambito, l’elemento ridondante, è la comparsa dei vari dispensatori di soluzioni provenienti dal mondo dei mass media, della politica e finanche del diritto che affermano come l’unico modo per contrastare la devianza sessuale – ma tutti i comportamenti antisociali – sia l’inasprimento del sistema sanzionatorio.
In realtà è bene subito chiarire che non sono disponibili, ad oggi, evidenze scientifiche pacifiche circa l’esistenza di “cause organiche” comuni del comportamento sessualmente aggressivo così come del comportamento antisociale in genere e, dunque, chi afferma di conoscerle, individuarle e rimuovere tali “radici” del crimine richiamando determinismi di varia origine e natura afferma qualcosa di scientificamente infondato.
È certo che i sex offenders agiscano per via di una lacuna – di tipo fisico, psicologico, sociale o “multifattoriale”– ma non c’è condivisione circa l’esistenza di inconfutabili certezze che gli autori di tali comportamenti (come di quelli dei comportamenti antisociali e/o violenti in genere) siano “affetti” da “patologie” che ne influenzerebbero le scelte.
Pertanto, chi si affanna periodicamente per mera propaganda ad esaltare l’introduzione della castrazione chimica quale strumento punitivo o quale mezzo volto a dissuadere da eventuali comportamenti sessualmente violenti e prevenire agiti criminali o mente o è profondamente ignorante.
Prima di tutto perché, come già accennato, non c’è condivisione nella comunità scientifica circa l’esistenza di evidenze che comprovino l’efficacia di “trattamenti” contrastanti la reiterazione di tali comportamenti, in secondo luogo perché se si spiegasse cosa si intende per castrazione chimica, forse, molti di coloro che esaltano con rabbia soluzioni enfatiche di questo tipo, ne rimarrebbero delusi.
Essa, infatti, attualmente prevista in 13 Paesi europei, 8 Stati degli Usa, Argentina, Australia, Nuova Zelanda e Israele, con molte differenze, è una pratica che non prevede alcun tipo di intervento fisico o chirurgico, ma è una terapia farmacologica attraverso cui vengono ridotti gli ormoni sessuali e, di conseguenza, anche la libido, le pulsioni sessuali e la funzionalità del soggetto che subisce il trattamento.
Inoltre si tratta di una terapia per lo più reversibile, che cessa di agire nel momento in cui viene sospesa la somministrazione dei farmaci, anche se su questo aspetto la comunità scientifica non è unanimemente d’accordo. Altra caratteristica fondamentale riguarda la volontarietà del trattamento: nei 13 Paesi europei in cui è prevista – Germania, Svezia, Finlandia, Francia, Regno Unito, Belgio, Polonia, Norvegia, Lituania, Ungheria, Estonia, Islanda – l’adesione avviene, in generale, sempre per via volontaria. Ciò vuol dire che il condannato può scegliere se fare ricorso alla terapia oppure no (salvo alcune eccezioni). Inoltre in Svezia, Finlandia e Germania la castrazione chimica, pur essendo opzionale, è sempre vietata al di sotto una certa soglia d’età, che varia dai 20 ai 25 anni e, poiché questa azione non viene strettamente intesa come una pena da infliggere al condannato, quanto piuttosto come una terapia che possa contribuire a ristabilire la salute psichica del soggetto, per esservi sottoposto è necessaria una perizia psichiatrica che attesti come egli sia colpito da impulsi incontrollabili che lo possano portare in futuro a commettere di nuovo reati a sfondo sessuale.
Diverso è, naturalmente, l’approccio in California, Florida, Georgia, Louisiana, Montana, Oregon, Texas e Wisconsin, dove la volontarietà non è contemplata, poiché la castrazione chimica è intesa come pena da infliggere al condannato.
Niente di sorprendente: in tutti questi stati menzionati, fatta eccezione per il Winsconsin, permane la pena di morte come opzione in caso di reati più gravi.
Ad ogni modo, dovrebbe essere chiaro che la pratica della castrazione chimica, che ha come effetto una modificazione nel desiderio maschile, può avere una efficacia in caso di impulsi sessuali incontrollabili, pensieri ossessivi e compulsivi, unendo i farmaci alla psicoterapia, ma è sostanzialmente inutile per chi ha agito questo tipo di crimine violento per altre motivazioni intrapsichiche, come ad esempio per via di diffusi pregiudizi e stereotipi di genere.
Ad ogni modo, una risposta del genere da parte del sistema penale, non garantisce che il soggetto non compia più azioni violente a carattere sessuale o di altra natura, soprattutto quando la motivazione è da ricercare, appunto, nei modelli culturali, affettivi e comportamentali di riferimento.
È da rilevare, del resto, che in Italia, prescindendo nei fatti da ogni forma sostanziale di consenso dell’interessato, è già prevista non solo la possibilità per i sex offenders di essere sottoposti ad un “trattamento” volto a contrastare la recidiva, ma esiste anche la misura di prevenzione che consiste in un piano terapeutico che possa portare il sottoposto, attraverso la presa di coscienza del disvalore delle sue condotte, a fare in modo di controllare i propri impulsi sessuali.
Sarebbe dunque il caso non solo di evitare di ingenerare confusione nell’opinione pubblica racchiudendo in un unico alveo tutti gli autori o presunti tali di reati sessuali, ma apparirebbe dignitoso se chi si erge a divulgatore de “la cultura del rispetto” la smettesse di strumentalizzare le vittime di crimini così complessi e aberranti per scopi elettorali, intervenendo senza competenze in questioni che investono le radici della nostra civiltà giuridica e la tutela dei diritti umani fondamentali, perché non si possono dare risposte a nessuno, se non si è prima in grado di formulare appropriate domande. (cp)
(Chiara Penna è avvocato penalista, criminologa e consigliere comunale di Cosenza)